Registrazione di conversazioni con colleghi di lavoro: utilizzo a fini difensivi

4 ott 2022 È legittima la condotta del lavoratore che abbia registrato le conversazioni intercorse con colleghi sul luogo di lavoro per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Corte di Cassazione, Sentenza 29 settembre 2022, n. 28398).

Il caso

La Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad una dipendente e condannava la società datoriale alla reintegra nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria.

I giudici di merito avevano rilevato come gli addebiti contestati alla dipendente fossero privi di riscontro e, comunque, relativi a condotte di inefficienza o negligenza, conosciute e tollerate da parte datoriale ed anzi conformi alla prassi aziendale praticata fin da epoca anteriore all'inizio del rapporto di lavoro con la lavoratrice in questione.
Tali addebiti non avevano carattere di gravità e non giustificavano l'irrogazione della sanzione espulsiva, essendo al più sanzionabili con una misura conservativa, secondo le previsioni del contratto collettivo applicabile.

Tuttavia, secondo il giudizio della Corte territoriale, andava escluso, nel caso di specie, il carattere ritorsivo del licenziamento, in quanto lo stesso non poteva considerarsi provato in base alle deposizioni testimoniali raccolte né attraverso le registrazioni di conversazioni tra la predetta lavoratrice e un collega, considerate dai giudici di appello "abusive e illegittimamente captate", pertanto non idonee a costituire fonte di prova.

Nell’ambito del giudizio di legittimità instaurato a mezzo ricorso proposto dalla società datrice, la lavoratrice, con ricorso incidentale, ha censurato la sentenza d’appello, per avere escluso la ritorsività del licenziamento muovendo da un presupposto errato, ossia la non utilizzabilità delle registrazioni dei colloqui tra presenti, in contrasto con l'orientamento di legittimità e sebbene controparte non avesse in alcun modo contestato lo svolgimento dei colloqui registrati e il relativo contenuto.

La decisione della Corte

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso della lavoratrice, ribadendo preliminarmente che l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra, contemperando la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.
Ciò posto, i Giudici di legittimità hanno rilevato che deve ritenersi legittima la condotta del lavoratore che, come nel caso sottoposto ad esame, abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

Sulla base di tali presupposti il Collegio ha cassato la sentenza impugnata, la quale, pur citando consolidati precedenti di legittimità, aveva deciso di discostarsene sul presupposto che le conversazioni tra la lavoratrice e il collega fossero di per sé "abusive e illegittimamente captate e registrate", senza in alcun modo indagare sulla ricorrenza dei requisiti a cui è subordinata la legittimità a fini di prova delle registrazioni di conversazioni tra presenti, senza farsi carico del contemperamento dei concorrenti diritti fondamentali e senza fornire alcuna spiegazione della soluzione adottata. Adempimenti tanto più necessari in relazione alle difficoltà di assolvimento dell’onere probatorio gravante sul lavoratore che denunci la ritorsività del licenziamento intimatogli.