Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 maggio 2016, n. 11334

Tributi - Condono fiscale - Istanza di definizione agevolata ex Legge n. 289 del 2002 - Successiva liquidazione dell'imposta ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 - Ammissibilità

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza depositata in data 19/9/2008 la C.T.R. Calabria confermava la sentenza di primo grado che, in accoglimento del ricorso proposto dalla R.T.S. S.p.A., aveva annullato la cartella di pagamento nei suoi confronti emessa ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per il complessivo importo di € 19.747,04 a titolo di interessi e sanzioni per tardivi versamenti degli acconti IRPEG ed IRAP relativi all'anno di imposta 1999.

Rilevavano i giudici d'appello che, in tale ipotesi, a parte la preclusione derivante dall'avere la società presentato istanza di condono ex art. 9 legge 27 dicembre 2002, n. 289 (c.d. condono tombale), per gli anni dal 1997 al 2001, le sanzioni e gli interessi pretesi non avrebbero potuto comunque essere iscritti a ruolo utilizzando la procedura ex art. 36-bis, ma la contestazione avrebbe dovuto essere effettuata a norma del d.lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 471, essendo a tal fine anche necessaria l'indicazione, nella specie omessa, del responsabile della sanzione, ai sensi dell'art. 98 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e degli artt. 2 e 27 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate, affidato a due motivi (corredati da quesiti di diritto).

L'intimata non ha svolto difese nella presente sede.

 

Motivi della decisione

 

3. Con il primo motivo di ricorso l'agenzia delle entrate deduce - ai sensi dell'art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ. - violazione dell'art. 9, comma 10, e dell'art. 9-bis legge 27 dicembre 2002, n. 289, per avere la C.T.R. ritenuto preclusa dalla definizione con condono tombale l'applicazione di sanzioni e interessi scaturenti da omessi versamenti. Rileva che, ai sensi dell'art. 9, comma 10, I. cit., tale preclusione è riferibile solo alle sanzioni connesse a maggiori imponibili accertati, mentre quelli scaturenti da omessi versamenti sono sanabili unicamente ai sensi dell'art. 9-bis della stessa legge, secondo la procedura ivi prevista nella specie non attivata dalla contribuente per l'anno in questione (1999).

Rimarca che l'attività posta in essere nel caso in esame dall'amministrazione finanziaria non è riconducibile alla tipologia dell'accertamento, trattandosi, invece, di controllo formale della dichiarazione, effettuato ai sensi dell'art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i cui effetti sono espressamente fatti salvi dall'art. 9, comma 9, legge 27 dicembre 2002, n. 289.

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ..

Premesso che la società contribuente aveva, con il ricorso introduttivo, esclusivamente contestato la possibilità per l'amministrazione di effettuare accertamenti in rettifica relativamente alle annualità e alle imposte per le quali essa aveva presentato istanza di condono c.d. tombale, lamenta che la sentenza impugnata non si è limitata a pronunciarsi su tale tema di lite, ma ha affermato l'illegittimità della cartella di pagamento impugnata anche perché emessa «in violazione dei d.lgs. 471 - 472/97 con procedimento ritenuto non pertinente alle violazioni contestate» e senza l'indicazione «del responsabile della sanzione».

5. È fondato il primo motivo di ricorso.

Ai sensi della legge n. 289 del 2002, art. 9, comma 9, la definizione automatica per gli anni pregressi (di cui al comma 1) rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione, facendo, tuttavia, salvi gli effetti della liquidazione delle imposte in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis; ne consegue che la detta definizione non può incidere sulla liquidazione ex art 36-bis e su quanto ad essa causalmente collegato (interessi - di per sé stessi di natura accessoria - e sanzioni, riferite al ritardato pagamento di un acconto che la contribuente doveva eseguire sulla base della sua stessa dichiarazione); da tanto discende che se la contribuente intendeva condonare siffatte sanzioni ed interessi (oggetto della cartella impugnata), doveva avvalersi della procedura di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9-bis pacificamente non attivata nella fattispecie (v. in fattispecie analoga Cass., Sez. 5, n. 26725 del 29/11/2013).

6. È altresì fondato il secondo motivo di ricorso.

Come può univocamente ricavarsi dalla parte narrativa della sentenza impugnata, a fondamento del ricorso introduttivo la contribuente aveva dedotto l'illegittimità della cartella di pagamento esclusivamente in ragione della prospettata preclusione derivante dall'adesione a condono tombale ex art. 9 legge 27 dicembre 2002, n. 289, nessuna contestazione essendo invece mossa in relazione alla mancata osservanza delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per la irrogazione delle sanzioni, né alcuna allegazione difensiva risultando offerta circa la loro applicabilità nella fattispecie.

Trattandosi di questioni implicanti anche aspetti fattuali estranei al tema del contendere non può dubitarsi che la loro trattazione da parte del giudice di appello incorra nel vizio denunciato.

7. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere quindi cassata.

Non prospettandosi la necessità di ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dalla contribuente, la quale va altresì condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

La natura della controversia ed alcune peculiarità delta vicenda processuale inducono a compensare tra le parti le spese di ambo i gradi del giudizio di merito.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso e, per l'effetto, cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposta dalla contribuente; compensa per intero le spese relative a entrambi i gradi del giudizio di merito; condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità liquidate in € 2.700,00, oltre spese prenotate a debito.