Prassi - AGENZIA DELLE ENTRATE - Risposta 22 settembre 2020, n. 387

Interpello Articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212. Restituzione dell'IVA e della ritenuta d'acconto IRPEF in seguito all'intervento di sentenze di riforma che compensano le spese del processo. Art. 26, comma 2, dPR n. 633/1972 ; Art. 10, comma 1, lett. dbis), dPR n.917/86

 

Con l'istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

 

Quesito

 

L'istante rappresenta che X con sentenze del Tribunale veniva condannato alla refusione delle competenze professionali in favore dell'interpellante, nella sua qualità di difensore distrattario.

X provvedeva a liquidare i compensi professionali sulla base della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, corrispondendo quanto stabilito in sentenza comprensivo di IVA e ritenuta d'acconto; l'interpellante quindi emetteva la relativa fattura.

Le sentenze, confermate in appello, venivano, invece, riformate dalla Corte di Cassazione, con ordinanze con cui la Corte, rigettando la domanda originaria, compensava le spese dell'intero processo.

Il venir meno, in via definitiva e con efficacia "ex tunc" del titolo delle attribuzioni impone all'interpellante l'obbligo della restituzione nei confronti di chi ha effettuato il pagamento.

X ha richiesto all'interpellante (che dichiara di essere attualmente soggetta al regime forfettario) di restituire oltre all'imponibile, anche la ritenuta d'acconto e l'IVA che l'interpellante ha versato all'Erario.

Ciò premesso, l'interpellante chiede di conoscere:

1. quale sia il soggetto obbligato a richiedere all'Erario la restituzione della ritenuta d'acconto indebitamente percepita dall'Erario, sulla base della sentenza di riforma;

2. quale sia la procedura per portare in detrazione l'IRPEF relativa a fatture per le somme che si andranno a restituire;

3. quale sia la procedura da adottare per la restituzione dell'IVA;

4. quale sia il soggetto obbligato a chiedere all'Erario la restituzione dell'IVA indebitamente percepita dall'erario sulla base della sentenza di riforma.

 

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

 

L'interpellante osserva che l'IVA corrisposta all'interpellante da X e versata all'Erario non può essere portata in detrazione ai sensi dell'articolo 26 del DPR n. 633 del 1972, essendo decorso il termine di un anno dalla effettuazione dell'operazione imponibile.

Inoltre, ritiene che l'IVA gravi su X come unico obbligato e quindi unico soggetto legittimato a chiederne eventualmente la restituzione all'Erario.

 

Parere dell'agenzia delle entrate

 

Ai sensi dell'articolo 93 del codice di procedura civile (cpc) «il difensore con procura può chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese, distragga in favore suo e degli altri difensori gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipate».

Per quanto riguarda il trattamento fiscale, anche ai fini IVA, degli onorari e delle spese corrisposti da parte dei soccombenti nel giudizio, agli avvocati nominati distrattari della controparte vittoriosa, la scrivente, con circolare 6 dicembre 1994, n. 203/E-III-7-1260, ha fornito i seguenti chiarimenti.

L'Avvocatura generale dello Stato, concordando con l'orientamento reso dalle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione, ha precisato che "la sentenza del 12 giugno 1982, n. 3544, si pone come definitivamente risolutiva del contrasto giurisprudenziale verificatosi in ordine alla comprensione dell'IVA nella pronuncia attinente al capo delle spese processuali, in ipotesi di distrazione di onorari non riscossi e delle spese anticipate a favore del difensore, e tale contrasto ha risolto in senso affermativo, sul presupposto della spettanza alla parte vittoriosa del diritto di conseguire dal soccombente, condannato al pagamento delle spese processuali, il rimborso dell'IVA che ha corrisposto (o dovrà corrispondere) al proprio difensore a titolo di rivalsa e con l'avvertimento che il pagamento dell'IVA al difensore della controparte vittoriosa, effettuato dalla parte soccombente, non trova titolo, e non lo può trovare, nella rivalsa, che è propria del rapporto sinallagmatico cliente avvocato e non può fuoriuscire da quell'ambito, ma piuttosto nella sentenza di condanna".

Nel medesimo documento di prassi si fa presente che la Corte di Cassazione, con la richiamata sentenza, ha inoltre precisato che l'avvocato distrattario è tenuto ad emettere il documento fiscale con addebito del tributo in via di rivalsa verso il proprio cliente, e che l'obbligazione per rivalsa nei rapporti tra cliente ed avvocato viene soddisfatta con l'emissione della fattura quietanza a saldo in cui si evidenzia che non soltanto rispetto all'onorario ma anche rispetto al tributo che vi accede, la "solutio" avviene con denaro fornito dal soccombente, vincolato alla prestazione della condanna.

Inoltre, il soccombente che abbia effettuato il pagamento non può pretendere l'emissione della relativa fattura nei propri confronti.

Pertanto "il difensore distrattario dovrà emettere fattura con addebito, anche dell'IVA, solo nei confronti del proprio cliente, atteso che l'obbligo di adempimento del relativo onere per il soggetto soccombente trova titolo esclusivamente nella statuizione di condanna contenuta nella sentenza, anche in assenza di espressa pronuncia in ordine al tributo".

Il documento di prassi chiarisce inoltre che "nell'ipotesi di distrazione delle spese a favore del difensore della parte vincitrice ex art. 93 del codice di procedura civile, il diritto che, in base alla pronuncia giudiziaria, viene a costituirsi a favore del difensore comporta che egli possa pretendere in linea di principio, nei confronti diretti del soccombente, anche quanto dovutogli a titolo di Iva".

Il soggetto passivo della rivalsa resta, comunque, ai sensi dell'articolo 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 "il cliente, nei confronti del quale va emessa, da parte del professionista, la relativa fattura, nella quale deve essere evidenziato che, con riferimento sia all'onorario che al tributo che vi accede, la "solutio" è avvenuta da parte del soccombente, vincolato alla prestazione per effetto della condanna contenuta nella sentenza".

Inoltre, come precisato dalla Corte di Cassazione, con sentenza 4 aprile 2013, n. 8215 "in caso di riforma (...) della sentenza di condanna di una parte al pagamento delle spese in favore del difensore dell'altra parte, che ne aveva chiesto la distrazione, la condanna alla restituzione deve essere emessa nei confronti del difensore e non della parte".

Per rispondere ai quesiti formulati in materia di IVA nell'interpello in esame occorre verificare se ricorrano i requisiti per l'applicazione della disciplina prevista per le cd. "variazioni in diminuzione" dall'articolo 26, comma 2, del dPR n. 633 del 1972, anche alla luce dei chiarimenti forniti dal citato documento di prassi.

La predetta norma stabilisce che «Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose (...), il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25».

L'articolo 26, comma 2, del dPR. n. 633 del 1972, prevede quindi che, se dopo l'emissione e la registrazione di fattura, l'ammontare imponibile di un'operazione e la relativa l'IVA si riducono, in tutto o in parte, il cedente o prestatore, in linea generale, può effettuare le opportune rettifiche emettendo un'apposita "nota di credito".

In altri termini, il cedente o prestatore, può "annullare", attraverso l'emissione di un documento di segno opposto all'originaria fattura, come la "nota di credito", un'operazione fatturata e registrata che sia successivamente venuta meno (in tutto o in parte) o di cui si sia ridotto l'ammontare imponibile.

In tal modo, il cedente o prestatore restituisce l'importo dell'IVA al cessionario, recuperandola dall'Erario mediante una corrispondente riduzione dell'IVA a debito; il cessionario o committente soggetto IVA, a sua volta, ha l'obbligo di computare il medesimo importo tra l'IVA a debito al fine di controbilanciare la detrazione a suo tempo effettuata per la fattura oggetto di rettifica, riversando così all'Erario tale ammontare.

Come precisato con risoluzione 17 febbraio 2009, n. 42/E, perché possa essere emessa la nota di variazione è necessario che sia assicurata l'identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili (v. sentenze Corte di Cassazione 6 luglio 2001, n. 9188, e 2 giugno 1999, n. 5356). Il diritto alla detrazione spetta al cedente del bene o al prestatore del servizio che deve registrare la nota di variazione ai sensi dell'articolo 25 del d.P.R. n. 633 del 1972, mentre il cessionario (o committente) deve annotare nel registro di cui all'articolo 23 l'imponibile e l'imposta corrispondente.

Con riferimento al caso di specie, si ritiene che la restituzione dell'importo equivalente all'onorario da parte del difensore distrattario nei confronti della controparte processuale, in seguito alla riforma della sentenza che prevedeva la condanna alle spese di lite, non assume rilevanza ai fini IVA. Non si può infatti affermare che l'operazione originaria tra committente e prestatore sia venuta meno in tutto o in parte o che vi sia una riduzione della base imponibile.

Pertanto, nel caso di specie non ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, non risultando integrata alcuna delle ipotesi espressamente previste dalla predetta norma, in seguito alla compensazione delle spese disposte dalla sentenza. Non rileva infatti in senso contrario il fatto che in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto la compensazione delle spese, il soggetto obbligato al pagamento sia il cliente dell'avvocato e non X, né il fatto che in seguito alla sentenza vi sia una diversa ripartizione delle spese di giudizio e del relativo carico fiscale.

Infatti, occorre considerare che il ricorso alla fattispecie di cui al menzionato articolo 26, comma 2, del dPR n. 633 del 1972, presuppone, come si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione 21 giugno 2001, n. 8455 "una variazione del rapporto giuridico tra i due soggetti originari dell'operazione imponibile: cedente e cessionario di un bene, committente e prestatore di un servizio".

Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, considerato che la nota di variazione non può essere emessa nei confronti di un soggetto diverso da quello nei confronti del quale, sulla base degli illustrati chiarimenti forniti dalla circolare n. 203 del 1994, deve essere emessa la fattura originaria.

Il caso in esame si caratterizza per il fatto che la provvista per il pagamento delle spese comprensiva di IVA è stata fornita dal soccombente X e non dal soggetto committente, vale a dire il cliente, parte vittoriosa dei precedenti gradi di giudizio.

Pertanto, si ribadisce che le prestazioni professionali non sono venute meno in tutto o in parte in seguito alla compensazione delle spese disposte dalla sentenza né vi è stata una riduzione della base imponibile, a prescindere dalla diversa e successiva ripartizione del carico fiscale determinata dalla pronuncia riformatrice della Corte di Cassazione.

Nella fattispecie rappresentata dall'interpellante, X, economicamente percosso dal versamento dell'IVA, non è il committente del servizio intestatario della fattura, cui poter applicare l'enunciato meccanismo di cui all'articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972.

Invero, l'avvocato dovrà attivarsi per riscuotere il dovuto nei confronti del proprio cliente e solo dopo avere dimostrato l'infruttuosità delle procedure attivate nei confronti del cliente, avrà titolo per emettere la nota di variazione.

Resta inteso che X, non potendo trovare applicazione la fattispecie di cui all'articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto la compensazione delle spese processuali, vanta un diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate, compresa la quota destinata al pagamento dell'IVA già riscossa dall'Erario.

X, pertanto, può agire in sede giudiziale nei confronti della controparte per la ripetizione delle somme indebitamente versate, e a sua volta l'avvocato può pretendere il pagamento del suo onorario direttamente dal cliente.

In relazione ai quesiti in materia di imposte dirette, si rappresenta, preliminarmente, che la materia della sostituzione d'imposta e delle ritenute alla fonte è essenzialmente disciplinata dal combinato disposto degli articoli 64, nonché 23 e ss. del d.P.R. n. 600 del 1973.

La prima delle citate norme prevede che «Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa» effettuando la ritenuta «se non è diversamente stabilito in modo espresso». A tal fine, i sostituti d'imposta di cui all'articolo 23 del d.P.R. n. 600 del 1973 hanno l'obbligo di effettuare le ritenute «all'atto del pagamento» dei redditi tra cui quelli di lavoro autonomo (cfr. art. 25 del richiamato d.P.R. n. 600 del 1973).

L'articolo 29, commi 1 e 5, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che dette disposizioni si applicano anche alle Amministrazioni dello Stato. Nella fattispecie in esame, X, in qualità di sostituto, ha richiesto all'Istante (attualmente soggetto al regime forfettario) di restituire delle somme percepite a titolo di compenso professionale incrementata della ritenuta d'acconto operata al momento dell'erogazione del compenso.

Al riguardo, si fa presente che ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera d-bis), del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR) sono deducibili dal reddito complessivo, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi, «le somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti».

Tale disposizione non riguarda soltanto i redditi di lavoro dipendente, bensì tutti i redditi assoggettati a tassazione con il criterio di cassa e, quindi, anche i compensi di lavoro autonomo professionale o altri redditi di lavoro autonomo (collaborazioni coordinate e continuative, diritti di autore, ecc.), nonché redditi diversi (lavoro autonomo occasionale o altro).

Successivamente, la portata della citata lettera d-bis) è stata ampliata dall'articolo 1, comma 174, della legge n. 147 del 2013, in base al quale, «L'ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d'imposta di restituzione può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell'imposta corrispondente all'importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze».

Tale disposizione riconosce al contribuente la possibilità di recuperare, nei periodi d'imposta successivi a quello di restituzione, quanto non dedotto per incapienza del reddito complessivo, ovvero di richiederne la restituzione.

Con Decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze 5 aprile 2016, sono state stabilite le modalità di riconoscimento delle somme non dedotte dal reddito complessivo.

In particolare, ai sensi dell'articolo 1 comma 4 di tale decreto ministeriale «In alternativa alla deducibilità dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi, il contribuente può chiedere, entro il termine di cui all'art 2, comma 1, il rimborso dell'importo determinato applicando all'intero ammontare delle somme non dedotte l'aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all'art. 11 del citato TUIR. La richiesta di rimborso è irrevocabile».

L'istanza di rimborso è presentata in carta libera agli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate entro il termine biennale indicato nell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, decorrente dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale sono state restituite le somme, applicando all'intero ammontare delle somme non dedotte l'aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all'articolo 11 del TUIR (pari al 23 per cento).

Per completezza, si ricorda che il decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (di seguito "decreto rilancio") all'articolo 150, comma 1, attraverso l'inserimento nell'articolo 10, comma 2, della lettera 2-bis del TUIR, ha previsto che «le somme di cui alla lettera d-bis) del comma 1, se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili».

Tale disposizione normativa, ai sensi del comma 3 dell'articolo 150 in esame, prevede che la possibilità di restituire le somme al soggetto erogatore al netto delle ritenute IRPEF opera per quelle «restituite dal 1° gennaio 2020», facendo salvi «i rapporti già definiti alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire già definiti alla data dal 19 maggio 2020.

La nuova disposizione non trova pertanto applicazione laddove la restituzione dell'indebito, alla data del 19 maggio 2020, sia già avvenuta al lordo o per effetto di pronunce giurisdizionali sia stabilita la restituzione al lordo.

In relazione al caso in esame assume rilevanza la circostanza che il contribuente, secondo quanto rappresentato nell'istanza, abbia optato per il regime c.d. regime forfetario, la cui disciplina è contenuta nella legge 23 dicembre 2014, n. 190 e successive modificazioni.

In particolare, il richiamato articolo 1, commi da 54 a 89, ha introdotto un regime fiscale agevolato, c.d. regime forfetario, rivolto ai contribuenti persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni in possesso di determinati requisiti. L'articolo 1, comma 692, lett. a), legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020) ha modificato l'ambito di applicazione del regime forfetario che consente la determinazione forfetaria del reddito da assoggettare a un'unica imposta in sostituzione di quelle ordinariamente dovute.

Il comma 64 dello stesso articolo 1 stabilisce che chi applica il regime forfetario determina «il reddito imponibile applicando all'ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività nella misura indicata nell'allegato n. 4 annesso alla presente legge, diversificata a seconda del codice ATECO che contraddistingue l'attività esercitata». Il predetto comma prosegue affermando che i contributi previdenziali si deducono dal reddito determinato ai sensi del comma 64. Pertanto, successivamente alla percezione delle somme, qualora si opti per tale regime, in assenza di altri redditi, ascrivibili ad altre categorie di reddito di cui all'articolo 6 del TUIR, non è possibile applicare la deduzione di cui all'articolo 10, comma 1, lett. d-bis), del TUIR nell'ipotesi in cui le somme erogate dal sostituto di imposta vengano restituite al sostituto al lordo delle ritenute operate.

Dalla documentazione integrativa, si evince che l'Istante ha restituito ad X con nota di credito, esclusivamente la somma complessiva di euro Y per gli onorari liquidati nelle sentenze di primo grado dei relativi contenziosi senza la relativa restituzione della ritenuta di acconto. Successivamente, X ha comunicato di voler procedere alla compensazione della ritenuta non restituita entro la chiusura dell'esercizio finanziario 2019, con il pagamento delle spese di giudizio della controversia.

Pertanto, tenuto conto che X avrebbe operato nel 2019 la predetta compensazione e che il contribuente possiede anche altri redditi, quest'ultimo potrà far ricorso alla procedura di cui all'articolo 10, lettera d-bis) del TUIR, ai fini della deduzione delle somme restituite al lordo, secondo le modalità sopra rappresentate, ovvero chiederne il rimborso entro il termine biennale decorrente dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2019.