Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2023, n. 2339

Tributi - Interposizione di persona - Cessione di quote societarie - Fusione per incorporazione - Tributi non armonizzati - Esclusione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale a carico dell'Amministrazione finanziaria - C.d. prova di resistenza - Rigetto

 

Fatti di causa

 

Con processo verbale di constatazione fatto il 18 giugno 2012, in capo al ricorrente veniva rilevato maggiore reddito imponibile per circa due milioni di euro sull’anno di imposta 2009, in ragione del suo controllo sulla S.T. e P.S.D. s.r.l. di cui era stato socio ed amministratore, donde veniva emesso atto impositivo ai sensi dell’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600/1973, ritenendo trattarsi di interposizione di persona.

Il contribuente ha rilevato di aver ceduto le quote della predetta società alla I.F. s.a., ancora il 23 novembre 2009, cui era seguita la fusione per incorporazione con quest’ultima. Sicché affermava non poter essere beneficiario di maggior reddito e che i documenti relativi all’incorporata erano stati da lui trasmessi al procuratore dell’incorporante, cui solo potevano essere chiesti chiarimenti. Il che era portato a giustificazione della circostanza di non aver dato riscontro agli inviti di chiarimento indirizzatigli dall’Ufficio.

La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale ne rigettava l’appello affermando che mentre l’Ufficio ha evidenziato molteplici elementi presuntivi (omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2009, irreperibilità dello stesso nel luogo di residenza all’epoca della verifica, assenza di qualsivoglia struttura societaria presso la sede sociale, assenza di documentazione riferita alla società presso l’intermediario incaricato della presentazione della dichiarazione dei redditi della società etc.) per contro la parte contribuente non ha fornito alcun elemento documentale (bilanci societari oppure estratti conto della società e/o personali) per confutare la ricostruzione dell’Ufficio e in questo quadro e nell’assenza radicale di scritture contabili risulta legittimo l’accertamento induttivo nei confronti del contribuente ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 600 del 1973, fondato sugli elementi (volume d’affari e totale degli acquisti) desunti dalla dichiarazione dei redditi presentata dalla società, tanto più in ragione della sua irreperibilità e dell’assenza di strutture societarie all’epoca della verifica nonché dell’avvenuta richiesta di informazioni e di documentazione da parte dell’Ufficio rimasta senza esito cosicché era ritenuta infondata la doglianza del contribuente relativa all’asserita violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale e lo stesso contribuente, nel suo appello, espone che non avrebbe potuto fornire all’Ufficio la documentazione richiesta per averla consegnata al procuratore della società I.F. all’atto della cessione della società, senza però enunciare le ragioni che avrebbe potuto far valere.

La parte privata ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, cui replica con tempestivo controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.

L’affare era chiamato all’adunanza della VI sezione di questa Corte per il giorno 8 giugno 2022 ove era rimesso alla trattazione avanti alla Sezione Tributaria. In prossimità di quell’adunanza la parte contribuente depositava memoria a sostegno delle proprie ragioni ed in prossimità dell’odierna udienza ha depositato ulteriore memoria.

 

Ragioni della decisione

 

I. Vengono proposti due motivi di ricorso.

 Con il primo motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge n. 212 del 2000 per avere la sentenza impugnata considerato legittimo l’avviso di accertamento nonostante non fosse stato esperito il contraddittorio preventivo sulla base della considerazione che il contribuente non avrebbe potuto offrire con il secondo motivo d'impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la parte contribuente denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. per essere la motivazione meramente apparente.

 Si ritiene preliminarmente di dover esaminare innanzitutto il secondo dei motivi di impugnazione in quanto ha precedenza da un punto di vista logico-giuridico.

Il secondo motivo di impugnazione è infondato.

Secondo questa Corte, infatti, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza - di "mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e che appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 27899 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014).

Altresì, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 27899 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018).

La Commissione Tributaria Regionale si è attenuta ai suddetti principi laddove - affermando che mentre l’Ufficio ha evidenziato molteplici elementi presuntivi (omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2009, irreperibilità dello stesso nel luogo di residenza all’epoca della verifica, assenza di qualsivoglia struttura societaria presso la sede sociale, assenza di documentazione riferita alla società presso l’intermediario incaricato della presentazione della dichiarazione dei redditi della società etc.) per contro la parte contribuente non ha fornito alcun elemento documentale (bilanci societari oppure estratti conto della società e/o personali) per confutare la ricostruzione dell’Ufficio e in questo quadro e nell’assenza radicale di scritture contabili risulta legittimo l’accertamento induttivo nei confronti del contribuente ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 600 del 1973, fondato sugli elementi (volume d’affari e totale degli acquisti) desunti dalla dichiarazione dei redditi presentata dalla società, tanto più in ragione della sua irreperibilità e dell’assenza di strutture societarie all’epoca della verifica nonché dell’avvenuta richiesta di informazioni e di documentazione da parte dell’Ufficio rimasta senza esito cosicché è infondata la doglianza del contribuente relativa all’asserita violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale e lo stesso contribuente, nel suo appello, espone che non avrebbe potuto fornire all’Ufficio la documentazione richiesta per averla consegnata al procuratore della società I.F. s.a. all’atto della cessione della società, senza però enunciare le ragioni che avrebbe potuto far valere e dunque l’eccezione si configura come pretestuosa - ha infatti fornito una motivazione ragionevole, coerente e chiara, con la quale ha dapprima descritto in maniera pertinente la situazione di fatto e ha successivamente spiegato in maniera sufficientemente adeguata i motivi per i quali ha ritenuto ragionevole che non fosse necessario il contraddittorio endoprocedimentale, in particolare evidenziando da un lato l’avvenuta richiesta di informazioni e di documentazione da parte dell’Ufficio rimasta senza esito e dall’altro lato non ha enunciato le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio preventivo e dunque l’eccezione si configura come pretestuosa.

Il primo motivo di impugnazione è parimenti infondato.

Premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’accertamento compiuto dall’Ufficio si basa sull’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600/1973 e non sull’art. 37 bis dello stesso testo (né -tantomeno sull’abuso del diritto ex art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, in vigore dal 2016 e non applicabile ad un provvedimento del 2012) la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, invero, si è pienamente uniformata all’insegnamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, laddove si è chiarito che in materia di tributi armonizzati l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale nascente dalla normativa UE prescinde dall’accesso presso i locali dell’Ufficio, essendo onere della parte contribuente dimostrare che se fosse stato messo in condizioni di dedurre prima dell’emissione dell’accertamento l’esito del procedimento sarebbe stato ragionevolmente diverso in relazione a quanto dalla stessa parte dedotto (cfr. Cass. S.U. 24823 del 2015; Cass. n. 11560 del 2018; Cass. n. 5015 del 2022).

Si è ulteriormente precisato che se è vero che, secondo il principio ormai consolidato di questa Corte, è da escludere, per i tributi non armonizzati, un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell'Amministrazione finanziaria, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale analoga a quella comunitaria ed essendo pertanto configurabile solo se risulti specificamente sancito, è altrettanto vero che la previsione, viceversa, di un tale obbligo per i tributi "armonizzati" non significa che dalla sua violazione scaturisca sempre e comunque l'invalidità dell'atto, essendo il contribuente tenuto ad assolvere all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, senza proporre un'opposizione meramente pretestuosa (Cass. n. 8303 del 2022).

Ed infatti, il primo motivo si concentra sulla rilevazione dell’effettivo thema decidendum disegnato dell’avviso: se si tratti di fattispecie elusiva tipizzata dall’art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973 o comunque abusiva atipica (in ogni caso protetta da contraddittorio preventivo rafforzato) oppure la fattispecie evasiva di cui all’art. 37 stesso d.P.R. che resta soggetta all’ordinario art. 12, comma settimo, della l. n. 212/2000 secondo la giurisprudenza sopra richiamata e le cui differenze sono enucleate da questa Corte con ordinanza n. 18767/2020.

Preme notare come il collegio d’appello affermi a pag.2 che si tratta di avviso ex art.37 d.P.R. n. 600/1973 ed a pag.4 enumera diversi punti indiziari tipici dell’art. 37 precitato.

Orbene, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha pienamente rispettato tali principi ritenendo non applicabile l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale specificamente dando conto della mancata allegazione da parte del contribuente di elementi capaci di integrare la c.d. prova di resistenza evidenziando altresì l’avvenuta richiesta di informazioni e di documentazione da parte dell’Ufficio rimasta senza esito, da cui emerge che è il contribuente a essersi sottratto al contraddittorio.

Pertanto, ritenuti infondati entrambi i motivi di impugnazione, il ricorso va rigettato; le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio di legittimità a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in € dodicimila/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.