Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 novembre 2016, n. 24121

Licenziamento - Impugnazione - Decadenza - Art. 32 I. 183/2010 - Diritto di difesa

 

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza depositata il 27/11/2014, la Corte d'appello di Ancona, pur emendando la motivazione che aveva ritenuto formatosi il giudicato sulla questione della decadenza a norma dell'art. 6 c. 2 I. 604/1966, in ragione di pregressa pronuncia dello stesso Tribunale n. 152/2013, confermò la pronuncia del giudice di primo grado che aveva rigettato l'opposizione proposta da B.G. avverso l'ordinanza di reiezione dell'impugnativa del licenziamento ex I. 223/1991 intimato al predetto dalla M.R.I. S.p.A. I'8 agosto 2011.

2. La questione controversa tra le parti riguardava l'interpretazione del decreto legge 225/2010, convertito in legge nella I. 10/2011, con riferimento alla posticipazione dell'efficacia dell'art. 6 I. 604/1966, nel testo novellato dall'art. 32 I. 183/2010, al 31 dicembre 2011.

3. I giudici del merito, premesso che non poteva essere condivisa l'improcedibilità rilevata dal Tribunale in ragione della natura meramente processuale della pronuncia richiamata, talché l'impugnazione doveva essere decisa nel merito, e rilevato che al momento dell'intimazione del licenziamento era già in vigore la disposizione di cui all'art. 32 I. 183/2010, osservavano che la previsione contenuta nel decreto legge 225/2010 (art. 2 c. 54: in sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966 n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011) si limitava, in funzione dell'adeguamento graduale alla nuova disciplina, a far decorrere dal 31 dicembre 2011 il dies a quo del termine di decadenza di 270 giorni per l'impugnativa giudiziale successiva alla prima impugnativa stragiudiziale, con la conseguenza che il lavoratore licenziato avrebbe dovuto depositare il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado entro il termine finale del 26 settembre 2012. Ne conseguiva che l'impugnativa sopravvenuta mediante ricorso depositato il 16 settembre 2013 era da ritenere ampiamente tardiva.

4. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore sulla base di tre motivi. Resiste M.R.I. s.p.a. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 32 c. 1 bis della I. 4 novembre 2010 n. 183 in relazione alla parte della sentenza impugnata ove si afferma che l'istante è decaduto dall'impugnazione per tardivo deposito del ricorso, avvenuto dopo i 270 giorni dall'impugnazione del licenziamento ex art. 32 I. 183/2010.

Rileva che la proroga stabilita dal legislatore, in ragione di un'interpretazione letterale e sistematica, deve essere intesa a differire direttamente ad un termine futuro l'operatività della nuova disciplina in materia di impugnativa dei licenziamenti, con rinvio dell'efficacia della stessa al 31 dicembre 2011.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 138 c.p.c., nonché dell'art. 118 disp. att. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva che la sentenza impugnata non chiarisce i motivi per cui il comma 52 del decreto legge 225/2010, convertito nella legge n. 10/2011, avrebbe introdotto un semplice differimento dell'efficacia dell'art. 32 del collegato lavoro e non la sua vigenza.

3. Con l'ultimo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 12 preleggi in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Rileva che la lettura offerta dalla Corte territoriale dell'art. 2 comma 54 del d.l. 29/12/2010 n. 225, conv. nella I. 26/2/2011 n. 10 non è conforme all'interpretazione sistematica secondo l'art. 12 delle preleggi. Rileva che le parole usate dal legislatore sono quelle tipiche con le quali si differisce nel tempo la vigenza di una norma.

4. I motivi possono essere trattati congiuntamente, poiché gli stessi sono tutti volti a censurare l'operazione ermeneutica compiuta dai giudici di merito con riguardo alle disposizioni di cui all’art. 2 c. 54 del decreto legge 225/2010, convertito in legge n. 10/2011, con riferimento alla posticipazione dell'efficacia dell'art. 6 I. 604/1966 nel testo novellato dall'art. 32 I. 183/2010. Stando alla prospettazione del lavoratore il licenziamento intimato in epoca anteriore alla predetta data sarebbe soggetto soltanto alla previgente disciplina e non alla decadenza nella forma aggravata dall'art. 32 I. 183/2010 e ciò in ragione dell'ampia portata della norma che ha disposto il differimento, intesa a differire direttamente ad un termine futuro l'operatività della nuova disciplina in materia di impugnativa dei licenziamenti, con rinvio dell'efficacia della stessa al 31 dicembre 2011.

5. La sentenza impugnata resiste alle censure. Il citato art. 2 c. 54 decreto legge 225/2010, conformemente all'interpretazione avallata dalla Corte territoriale, deve ritenersi inteso soltanto a differire ad un termine futuro la decorrenza del nuovo termine di decadenza fissato per l'impugnazione dalla I. 183/2010, ferma restando l'operatività - per i licenziamenti intimati dopo l'entrata in vigore di tale legge, come nel caso in esame, ma anche per quelli intimati prima, per i quali la situazione sostanziale non si era già esaurita in ragione della pendenza del termine prescrizionale (Sez. L, Sentenza n. 13598 del 04/07/2016, Rv. 640475) - delle nuove disposizioni che stabiliscono un collegamento tra impugnazione stragiudiziale e decorrenza del termine di decadenza per il deposito del ricorso giudiziale, comunque vigenti. Ed invero il tenore della disposizione è limitato al differimento del termine, mentre non contiene alcun differimento dell'entrata in vigore delle nuove e innovative norme in tema di impugnazione dei licenziamenti.

Correttamente la Corte territoriale ha individuato la ratio della disciplina nell'esigenza di assicurare rilievo al diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, rendendo "non immediatamente precluso il diritto di azione a fronte di termini divenuti, improvvisamente (con la I. 183/2010), significativamente ridotti". Come rilevato da questa Corte nella sentenza citata, il termine per proporre l'azione in giudizio "anche per effetto della proroga disposta in sede di prima applicazione dal comma 1 bis, risulta quantitativamente congruo allo scopo di prendere adeguata conoscenza della nuova legge e delle sue modalità applicative ed a predisporre gli atti introduttivi del giudizio (o del procedimento conciliativo o arbitrale)". Questi i fini e la portata della norma, talché l'interpretazione letterale e sistematica in disamina risulta conforme alle regole ermeneutiche e ai criteri enunciati nell'art. 112 delle preleggi.

6. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va integralmente rigettato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.600,00, di cui € 100,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.