Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 aprile 2024, n. 10513

Tributi - Avviso di liquidazione imposta di registro - Contratto di locazione - "Addenda" - Accoglimento parziale

 

Fatti di causa

 

La suindicata società contribuente impugnava l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro, annualità 2013, relativamente al contratto di locazione registrato nel 2008, assumendo che la imposta era stata versata (mediante i modelli F23 prodotti in giudizio), in ragione delle modifiche alle obbligazioni negoziali apportate con la sottoscrizione di "Addenda", debitamente registrati, aventi effetto dal 1 luglio 2009, e non del canone originariamente pattuito per il complesso immobiliare sito in R, Viale dell'A.

La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva il ricorso, nella contumacia dell'Agenzia delle entrate, ma la decisione veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che accoglieva l'appello dell'Ufficio ed affermava la sussistenza di "una fattispecie innovativa non continuativa" in quanto, valutati il contratto originario di locazione ed i due "Addenda", il rapporto negoziale risultava "modificato nella sostanza e nella forma giuridica (...) determinando la formazione di nuovi contratti di locazione" atteso che "il corpo di fabbrica C prima individuato nella sua interezza veniva locato ricorrendo a due diversi contratti detti Addendum che avevano ad oggetto parti distinte, parti destinate una ad uso Uffici ed un'altra ad uso Agenzia Bancaria."

Concludeva, quindi, il giudice tributario di appello che "l'Ufficio aveva ben operato emettendo alla scadenza dell'annualità (in data 1/02/2013) l'avviso di accertamento opposto", per l'appunto, "trattandosi di risoluzione contrattuale (eliminazione di un precedente contratto e stipula di due nuovi), ex art. 17 DPR (...)" che "doveva essere perfezionata entro trenta giorni con il pagamento della tassa fissa, non essendo sufficiente la mera risoluzione di fatto del contratto."

Avverso detta sentenza la contribuente propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi d'impugnazione.

L'Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del combinato disposto degli artt. 17 e 43, comma 1, lett. h) del D.P.R. n. 131 del 1986 (in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ.), per avere la CTR erroneamente interpretato l'art. 17 citato e conseguentemente ritenuto che, in caso di omessa registrazione dell'intervenuta risoluzione del contratto di locazione immobiliare per effetto di altro contratto avente efficacia novativa e risolutiva, le parti restano obbligate al pagamento dell'imposta di registro relativa al contratto risolto, in violazione dell'art. 43, comma 1, lett. h), che, invece, nei suddetti casi prevede che la base imponibile del tributo sia data dal canone di locazione previsto dal contratto risolto, anziché dal canone previsto dal nuovo contratto.

Con il secondo motivo di deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 36, comma 2, n. 4) del D.Lgs. n. 546 del 1992 (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4) cod.proc.civ.), in quanto assolutamente priva di motivazione in ordine alle ragioni di ordine logico e giuridico in virtù delle quali sarebbe dato ritenere, come fatto appunto dalla CTR, che l'accordo novativo e, come tale, risolutivo di un preesistente contratto di locazione tra le parti, avrebbe altresì l'effetto, ai fini dell'imposta di registro, di far conservare alle parti medesime l'obbligo di assolvere l'imposta assumendo quale base imponibile la misura del canone di cui al contratto originario e risolto (e, dunque, in base ad un corrispettivo non più dovuto), anziché il canone previsto dal nuovo contratto. Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all'art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.) e, precisamente, per non aver reso alcuna statuizione in ordine all'eccezione di inammissibilità dell'appello (sollevata dalla ricorrente con l'atto di controdeduzioni in appello), in ragione dell'indebito tentativo di integrazione della motivazione originaria dell'avviso operato, in quella sede, dall'Ufficio mediante l'allegazione di fatti e considerazioni di ordine giuridico del tutto nuovi. Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 36, comma 2, n. 4) del D.Lgs. n. 546/1992 (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.), in quanto corredata di motivazione meramente apparente o, tutt'al più, perplessa (e, dunque, sostanzialmente assente), nella misura in cui conferma la fondatezza dell'avviso impugnato, per un verso, sull'assunto che gli "Addenda" - pacificamente registrati nei termini di legge -avessero determinato la risoluzione del Contratto e, per altro verso, sull'assunto che tale risoluzione non fosse stata efficacemente comunicata ai fini dell'imposta di registro e perfezionata con il pagamento ex art. 17, D.P.R. n. 131 del 1986, della tassa fissa.

Va, preliminarmente, disattesa l'eccezione di inammissibilità (per tardività) del ricorso per cassazione notificato a mezzo PEC (come da relata di notifica) il 27/12/2021, in quanto il termine lungo semestrale d'impugnazione non andava a scadere il 25/12/2021, pur essendo stata depositata la sentenza di appello il 24/12/2020, per effetto dell'applicazione della proroga di diritto al primo giorno non festivo successivo alle festività (art.155, comma 4, cod. proc. civ.).

Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto, mentre vanno disattese le ulteriori censure, per le ragioni di seguito precisate.

Assume la società Intesa San Paolo che il contratto di locazione dell'ampio complesso immobiliare costituito da tre fabbricati (Corpo A, Corpo B e Corpo C) cui si riferisce l'avviso impugnato, stipulato e registrato nel 2008, è stato successivamente - nel corso del medesimo anno - modificato, con decorrenza dal 1 luglio 2009, per effetto di accordi, dichiaratamente non novativi, denominati "Addenda", regolarmente registrati, cui aveva fatto seguito il pagamento di canoni, rideterminati al ribasso, per le parti ad uso uffici e di quelle ad uso Agenzia bancaria, con versamento dell'imposta di registro in misura corrispondente all'1% del canone annuo rideterminato, mediante delega di pagamento mod. F23. Assume, altresì, ex art. 5, comma 1, lett. a-bis, della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.

La contribuente si duole perché l'Agenzia delle Entrate ha ciò non di meno richiesto il pagamento della imposta di registro (nella misura di Euro 140.0053,89), sull'erroneo presupposto che la base imponibile fosse quella del canone annuo (Euro 10.404.520) originariamente pattuito e dovuto, come se gli "Addenda", pacificamente registrati, non fossero opponibili, pur essendo stato portato comunque a conoscenza dell'Ufficio, mediante la registrazione, il rinnovato assetto contrattuale tassabile.

Lamenta, in particolare, che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto dovuta l'imposta di registro, commisurata al canone iniziale, a causa della mancata rituale comunicazione all'Agenzia delle entrate dell'intervenuta anticipata risoluzione del contratto di locazione, effetto derivante dalla conclusione degli "Addenda", trattandosi di accordi di natura novativa, senza considerare che, sulla base delle suesposte circostanze, l'Ufficio avrebbe potuto - al più - richiedere l'assolvimento della imposta di registro in misura fissa dovuta in presenza di risoluzione anticipata del contratto di locazione e non dell'importo recato nell'avviso impugnato, confermato dalla sentenza della CTR, concernente il mancato pagamento dell'imposta proporzionale di registro sul canone inizialmente pattuito e riguardante il complesso immobiliare nella sua interezza. Orbene, la sentenza impugnata, sulla base dell'interpretazione circa la portata degli effetti giuridici degli "Addenda", ha ritenuto che l'originario contratto di locazione pluriennale del complesso immobiliare oggetto di causa fosse stato da due "nuovi contratti di locazione consensualmente risolto e sostituito", in quanto gli "Addenda" non integrano "semplici modifiche" di quello precedente, come invece sostenuto dalla contribuente.

Va, in proposito, ricordato come costituisca principio di diritto, del tutto consolidato presso questa Corte, quello secondo il quale, con riguardo all'interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, il sindacato di legittimità non può riguardare l'indagine ermeneutica, riservata esclusivamente al giudice di merito, che può essere censurata in sede di legittimità solo per difetto della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465/2015; n. 7280/2019).

In difetto, pertanto, di un apparato censorio rispondente ai criteri sopra indicati, ad avviso del Collegio, deve restare ferma l'acclarata natura novativa dell'accordo sotteso agli "Addenda", frutto del vaglio compiuto dalla CTR campana e, sotto tale profilo, il secondo ed il quarto dei motivi di ricorso vanno senz'altro disattesi.

Va, infatti, considerato che, contrariamente a quanto lamentato dalla ricorrente, il giudice tributario di secondo grado ha adeguatamente motivato le ragioni del proprio convincimento, evidenziando, tra l'altro, "la mancanza di prova documentale della circostanza" riguardante l'adempimento del correlato obbligo di comunicazione di cui all'art. 17, D.P.R. n. 131 del 1986.

E neppure è oggetto di discussione il fatto che della anticipata risoluzione contrattuale non sia stata fornita rituale comunicazione all'Ufficio finanziario, in quanto la stessa contribuente ha inteso valorizzare, come subordinato argomento difensivo, l'intervenuta registrazione degli "Addenda", quale fonte di conoscenza, da parte dell'Ufficio, della risoluzione contrattuale medesima, in prima tesi, negata.

D'altronde, come più volte ha affermato questa Corte, in siffatti casi, la parte contraente è tenuta a fornire adeguata prova documentale della circostanza, con particolare riferimento alla sua data certa, quale indispensabile elemento di fini della opponibilità dell'atto a terzi tant'è che in mancanza di una data certificata il documento prodotto non ha valore nei confronti della controparte (Cass. n. 12297/2020).

Nella specie, come ha rilevato la CTR, non risulta effettuata né la comunicazione, entro 30 giorni dalla data di risoluzione stessa, né tantomeno eseguito l'adempimento oggetto del preciso obbligo procedurale previsto dall'art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 131 del 1986, (il comma, soppresso dal 1 gennaio 2016, recitava "L'attestato di versamento relativo alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe deve esser presentato all'ufficio del registro presso cui è stato registrato il contratto entro venti giorni dal pagamento"), in caso di cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di locazione ed affitto di beni immobili.

Da ciò la CTR campana ha fatto discendere la legittimità della ripresa fiscale, da parte dell'Ufficio, per il pagamento dell'imposta di registro dovuto fino alla data di naturale scadenza del contratto (nel controricorso, a pag. 6, si riferisce che gli avvisi relativi alle annualità 2010, 2011 e 2012 non sono stati impugnati dalla contribuente).

Il giudice di appello ha - sia pure implicitamente - disatteso i sollevati profili di illegittimità dell'atto impositivo emesso per il mancato versamento della imposta di registro per annualità (2013) successiva alla prima, ivi compresa anche l'eccepita estensione, non consentita in grado d'appello (art. 57, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992), del thema decidendum, avuto riguardo al letterale tenore della motivazione dell'atto impugnato, atteso il naturale sviluppo delle attività meramente difensive, sempre consentite, nella specie riguardanti le sorti del rapporto di locazione tassato - questione oggetto di discussione anche in primo grado - e la rilevanza dei fatti estintivi dedotti dalla contribuente, che con i motivi del ricorso introduttivo del giudizio aveva investito l'intero debito impositivo, donde l'infondatezza anche del terzo motivo di ricorso per cassazione (Cass. n. 2413/2021).

La decisione impugnata, tuttavia, appare censurabile perché trascura di considerare il fatto che le inadempienze ai sopra ricordati obblighi procedurali nei confronti dell'Ufficio, in capo alle parti contraenti del contratto, avrebbero potuto rilevare per l'anno di imposta in cui la risoluzione anticipata del contratto è intervenuta ma - di certo - non consentono il protrarsi indefinito dell'obbligo di pagamento dell'imposta di registro in relazione ad un contratto di locazione ormai risolto, vieppiù laddove si consideri la - non contestata - circostanza che, a seguito della registrazione dei contratti di locazione stipulati con i ricordati "Addenda", l'Amministrazione finanziaria era venuta a conoscenza, pur in mancanza di una comunicazione ex art. 17, D.P.R. n. 131 del 1986, della cessazione del contratto avente ad oggetto il complesso immobiliare, in precedenza corrente fra le parti e registrato nell'anno 2008 e, inoltre, che alcuni versamenti frazionati dell'imposta ("Euro 4.846,04 ed Euro 27.966,96, corrispondenti, nel complesso, all'1% del canone annuo") erano stati effettuati.

In definitiva, va affermata l'infondatezza della pretesa impositiva - riferibile all'omesso versamento dell'imposta di registro (per annualità successive alla prima) relativamente al contratto di locazione registrato nell'anno 2008 -considerato che, a far data dal 2009, non è stato ricavato alcun corrispettivo dal predetto contratto di locazione, già cessato e non più produttivo di effetti tra le parti, ed ancora che l'Agenzia delle entrate aveva diritto di percepire l'imposta di registro sui successivi contratti di locazione riguardanti i fabbricati facenti parte del medesimo compendio immobile oggetto dell'originario - unico - rapporto locativo, con la conseguenza che una ulteriore pretesa violerebbe, altrimenti, il divieto di doppia imposizione (v. Cass. n. 29559/2018).

All'accoglimento del primo motivo di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 2, cod. proc. civ., accoglie l'originario ricorso della società ed annulla l'avviso di accertamento impugnato.

Attesa la peculiarità della fattispecie esaminata, nella quale la parte ricorrente, secondo la ricostruzione operata dal giudice tributario, non ha adempiuto all'obbligo di tempestiva comunicazione della risoluzione dell'originario contratto tassato, appaiono sussistere giusti motivi per la compensazione delle spese processuali dei gradi di merito, mentre le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, respinge i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso della società ed annulla l'avviso di accertamento impugnato. Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna la controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, ed accessori di legge.