Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 giugno 2023, n. 15908

Lavoro - Assegno sociale - Cittadina straniera non titolare di carta di soggiorno - Requisito aggiuntivo dell'effettiva residenza in Italia in via continuativa da almeno dieci anni - Difetto di titolarità del permesso di soggiorno di lungo periodo - Stato di bisogno effettivo - Requisito reddituale - Rigetto

 

Fatti di causa

 

La Corte d'appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe indicata, ha accolto l'appello proposto dall’INPS avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda dell’attuale ricorrente (cittadina straniera non titolare di carta di soggiorno, ora permesso CE - UE, per soggiornanti di lungo periodo, ma di carta di soggiorno per motivi familiari), tesa ad ottenere l'assegno sociale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6.

La Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza formatasi in merito alla disciplina aggiuntiva all’art. 20, co.19, L.n.388 del 2000, introdotta, a decorrere dal 1° gennaio 2009, dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20 conv. in L. n. 133 del 2008 che subordina il beneficio al requisito aggiuntivo dell'effettiva residenza in Italia in via continuativa da almeno dieci anni, ha ritenuto, richiamando precedenti di questa Corte di cassazione (Cass. n. 16989 del 2019) e della Corte costituzionale (Corte cost. n.50 del 2019), che la domanda fosse infondata per difetto di titolarità del permesso di soggiorno di lungo periodo, non essendo sufficiente l’effettiva residenza in Italia o il soggiorno effettivo e che, in ogni caso, era risultato indimostrato il requisito reddituale per accedere al beneficio richiesto.

Avverso tale sentenza ricorre E.H.F., con ricorso affidato a tre motivi, cui resiste l'Inps con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo la ricorrente si duole di violazione del combinato disposto degli artt. 17, 19, 23 d.lgs. n.286 del 1998 in relazione all'art. 80, co.19 L. n.388 dello 2000 che prevede la concessione dell’assegno sociale allo straniero titolare di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno lungo soggiornate UE di cui all'art. 9, d.lgs. n.286 del 1998) e deduce che le prestazioni di assistenza sociale, tra cui quella pretesa, debbano essere garantite a parità di condizioni con i cittadini italiani sia ai cittadini dell’Unione sia ai loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, con la conseguenza che la titolare di carta di soggiorno illimitata, rilasciata quale familiare di cittadino italiano ai sensi dell'art. 17 d.lgs. n.30 del 2007, ha diritto alla prestazione richiesta, che rientra tra quelle di assistenza sociale, al pari dei cittadini italiani.

La ricorrente assume, in sintesi, di rientrare, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, nel campo di applicazione dell'art. 12 della direttiva 2011/987UE (ndr art. 12 della direttiva 2011/98/UE), dovendo affermarsi, al pari di altre prestazione non contributive riservate ai lungo soggiornanti (indennità di maternità, assegno al nucleo familiare numeroso, assegno di natalità), la diretta applicabilità della norma comunitaria con disapplicazione della difforme norma nazionale, tanto più considerato che il regolamento 988/2009, che ha modificato il precedente regolamento 883/2009, ha incluso, alla lettera g, l’assegno sociale.

Con il secondo motivo si deduce inammissibilità del gravame dell’INPS per non avere riproposto, espressamente, l’eccezione relativa al requisito reddituale e, con il terzo motivo, vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per omessa valutazione di elementi istruttori acquisti nel giudizio di merito relativi alla situazione reddituale quale requisito per accedere alla prestazione richiesta.

Il ricorso è da rigettare.

Per quanto interessa il presente giudizio, la normativa di riferimento può rinvenirsi nelle fonti di seguito indicate.

L’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, nr. 335, riconosce il diritto all’assegno sociale ai cittadini italiani che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di età (67 anni dal 1° gennaio 2019), risiedano in Italia e possiedano redditi di importo inferiore ai limiti previsti dalla stessa legge.

Successivamente, la legge n. 40 del 1998, art. 39, ha effettuato l’equiparazione tra cittadini italiani residenti in Italia e gli stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno, ai fini del diritto alle prestazioni assistenziali.

La legge n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, ha, poi, subordinato il diritto a percepire l'assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarità della carta di soggiorno.

La carta di soggiorno è stata sostituita dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi del D.lgs nr. 3 del 2007.

In ultimo, il D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 10, ha stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale di cui alla legge nr. 335 del 1995, art. 3, comma 6, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale.

Nell’esame del ricorso all’esame è assorbente il rilievo che questa Corte ha ormai chiarito che il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale ex art. 3, comma 6, l. n. 335/1995, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dalla condizione oggettiva dell'assenza di redditi o dell'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, senza che assuma rilevanza che lo stato di bisogno debba essere anche incolpevole (così Cass. n. 24954 del 2021).

A sostegno di tale conclusione, si è rilevato che non vi è, né nella lettera né nella ratio dell'art. 3, comma 6, l. n. 335/1995, alcuna indicazione circa il fatto che lo stato di bisogno debba essere anche incolpevole, rilevando, al contrario, nella sua mera oggettività di impossidenza di redditi al di sotto della soglia prevista dalla legge (così già Cass. n. 14513 del 2020), e che, non consentendo il sistema di sicurezza sociale delineato dalla Costituzione di ritenere, in via generale, che l'intervento pubblico a favore dei bisognosi abbia carattere sussidiario, ossia che possa aver luogo solo nel caso in cui manchino obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di provvedervi, il rapporto tra prestazioni pubbliche di assistenza e obbligazioni familiari a contenuto latamente alimentare va costruito sempre in relazione alla speciale disciplina che istituisce e regola la prestazione che si considera, alla quale sola bisogna riferirsi per comprendere in che modo sulla sua corresponsione possa incidere la sussistenza di eventuali obbligati al mantenimento e/o agli alimenti, salvo ovviamente l’eventuale accertamento in concreto di condotte fraudolente che, simulando artificiosamente situazioni di bisogno, siano volte a profittare della pubblica assistenza (così Cass. n. 24954 del 2021, cit., in motivazione; da ultimo Cass. n. 7235 del 2023).

Ebbene, da tanto premesso, deriva che i mezzi d’impugnazione censurano, inadeguatamente, la statuizione della Corte di merito che non solo ha, dunque, accertato la mancanza del permesso di soggiorno di lungo periodo ma ha essenzialmente rimarcato il difetto di allegazione e prova dello stato di bisogno e del requisito reddituale non potendo assurgere a documentazione comprovante la sussistenza del detto requisito, la prodotta dichiarazione reddituale riferita al figlio dell’attuale ricorrente.

Né la doglianza in ordine alla devoluzione, in sede di gravame, della questione inerente allo stato di bisogno e al requisito reddituale, sulla quale la Corte di merito ha statuito, si conforma alle prescrizioni del codice di rito, a mente dell'art. 366, n. 6 cod.proc.civ., atteso che nel ricorso è pur vero che si riportano stralci dei passaggi del gravame ma non si allegano né la sentenza di primo grado, né il gravame per valutarne la specificità.

Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art.13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.