Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 maggio 2023, n. 15211

Tributi - Istanza di rimborso - IRPEG, IRAP e imposta sostitutiva - Utili fittizi - Condotta delittuosa o illecita - Inesistenza totale o parziale dell'obbligazione tributaria - Errore del contribuente - D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 - Principio della capacità contributiva - Rilevanza ai fini tributari del comportamento illecito - Dichiarazione integrativa - Rinuncia di adempimento dell'impegno - Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1. La Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna ha rigettato l'appello proposto da (...) s.p.a. contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Parma che aveva a sua volta rigettato l'impugnazione del diniego dell'istanza di rimborso proposta dalla società e dalla (...) s.p.a. in amministrazione straordinaria (poi chiusa), per la somma di Euro 37.587.071,00 versata per Irpeg, Irap e imposta sostitutiva in relazione all'anno di imposta 2002 in misura maggiore di quanto dovuto, in conseguenza dell'evidenziazione in bilancio di utili fittizi confluiti nella dichiarazione dei redditi e tassati in misura piena.

In particolare, la C.T.R. evidenziava in fatto che non fosse contestato che la società avesse esposto in bilancio utili non conseguiti per circa 196 milioni di Euro e pagato di conseguenza le imposte su tali utili fittiziamente dichiarati.

Osservavano i giudici d'appello che il pagamento di imposte su utili inesistenti era stato voluto ed accettato dalla società nell'ambito di un disegno criminoso volto a dare all'esterno un'immagine di solidità e che ciò non configurava alcuna delle ipotesi che davano luogo al diritto al rimborso (errore, duplicazione di versamento e anche inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento). In particolare, tale ultima ipotesi ricorrerebbe ove comunque vi sia stato un errore del contribuente nell'interpretazione della legge che abbia determinato un versamento di imposte non dovute mentre esisterebbe un principio generale nel diritto tributario secondo il quale il contribuente che pone in essere condotte delittuose o comunque illecite risponde delle conseguenze del proprio operato ed è quindi tenuto al pagamento dei tributi anche ove questi abbiano una base imponibile inesistente.

Ne', ad avviso dei giudici di appello, poteva avere rilevanza nel caso di specie la giurisprudenza della Corte in tema di emendabilità della dichiarazione, che concerne solo il caso del contribuente caduto in errore in buona fede e non autore di un illecito; inoltre la dichiarazione non poteva essere emendata neppure facendo riferimento alla disciplina del d.p.r. n. 322 del 1998, art. 2 commi 8 e 8-bis, in quanto non sussisteva un errore, era ormai decorso il termine di decadenza, e perché essa costituiva una dichiarazione di volontà; e comunque, infine, l'istanza di rimborso non poteva sostituire la dichiarazione integrativa omessa.

Evidenziava ancora la C.T.R. che l'annualità 2002 era stato oggetto di altro contenzioso, deciso con sentenza della medesima C.T.R. n. 2092/2014 che aveva escluso la possibilità di tener conto dell'esistenza di imponibile fittizio in assenza di una dichiarazione integrativa, non essendo idonea l'istanza di rimborso a contrastare in sede contenziosa la maggior pretesa tributaria, con conseguente cristallizzazione della pretesa tributaria per l'anno 2002.

2. Contro tale sentenza propone ricorso per cassazione (...) s.p.a. con cinque motivi.

Resiste l'Agenzia delle entrate con controricorso.

Il pubblico ministero ha presentato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.

La causa è stata discussa all'udienza pubblica del 16/03/2023, per la quale la ricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo d'impugnazione, proposto in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la società deduce la violazione del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 e della Cost. art. 53 censurando la decisione della C.T.R. laddove ha ritenuto infondata l'istanza di rimborso affermando che l'inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento presupponga un errore incolpevole del contribuente e laddove ha affermato esistente un principio di carattere generale secondo il quale, in caso di dichiarazione compiuta nell'ambito di un comportamento illecito, la parte sia tenuta al pagamento delle imposte anche se non esista la relativa base imponibile, non potendosi invece configurare, in caso di imposizione diretta, alcuna ipotesi di responsabilità fiscale oggettiva, svincolata dall'esistenza di un reddito effettivo, anche alla luce di una lettura ispirata al principio costituzionale della Cost., art. 53.

La ricorrente specifica, peraltro, che nel caso di specie l'insussistente reddito tassato non derivava da costi appostati in contabilità per l'acquisto di merci inesistenti di cui si fosse poi simulata la vendita a terzi con indicazione di ricavi altrettanto inesistenti ma da una posta di ricavi per un contratto fittizio di licenza e know how (tra (...) s.p.a. e (...)) senza alcuna imputazione in bilancio di costi inesistenti. In realtà il provento indicato in bilancio era inesistente, come provato dalle sentenze penali che avevano accertato la falsità dei bilanci di (...) e (...), dal rapporto (...) sul dissesto del gruppo (...), dalla sentenza del Tribunale di Parma che aveva dichiarato nulla la delibera assembleare che aveva approvato il bilancio di esercizio 2002 di (...) s.p.a., accertandone la non conformità alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione, dalla Relazione sulla ricostruzione contabile della situazione patrimoniale e finanziaria di (...) s.p.a. dei CC.TT.UU. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Parma, dal verbale di ispezione della Guardia di Finanza che aveva proceduto alla ricostruzione dei bilanci di (...) s.p.a. rettificando le operazioni fittizie.

Con il secondo motivo, proposto in relazione all' art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la società deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., lamentando, in ordine alla ritenuta esistenza di un giudicato relativo all'annualità 2002, che nessuna delle parti aveva prodotto in giudizio la sentenza n. 2094/2014 della C.T.R. dell'Emilia-Romagna e tanto meno l'attestazione di suo passaggio in giudicato ai sensi dell'art. 124 disp. att. c.p.c.

Col terzo motivo, proposto in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la società deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 324 c.p.c., evidenziando che tale sentenza della C.T.R., assunta come giudicato esterno, era stata oggetto di ricorso per cassazione, nel cui giudizio (...) s.p.a. aveva presentato istanza di definizione agevolata ai sensi del d.l. n. 193 del 2016, art. 6 in relazione alla cartella susseguente all'avviso di accertamento impugnato, con contestuale rinuncia al giudizio, ed entrambe le parti avevano presentato istanza di estinzione con cessazione della materia del contendere, il che esclude ogni efficacia sostanziale dell'accertamento.

Col quarto motivo, proposto in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 e del d.p.r. n. 322 del 1998, art. 2 comma 8-bis, laddove la C.T.R. ha ritenuto che l'istanza di rimborso non potesse sostituire l'omessa dichiarazione integrativa di cui all'art. 8-bis ed ove ha ritenuto che la dichiarazione non fosse emendabile in considerazione della sua natura di dichiarazione di volontà. In ordine alla prima questione ha infatti evidenziato che rimborso e dichiarazione integrativa siano rimedi non alternativi ma concorrenti e che quindi la mancanza della seconda non pregiudichi la proponibilità del primo; in ordine alla seconda questione, che l'aver esposto volontariamente un utile inesistente non determini che la dichiarazione dei redditi abbia assunto natura di manifestazione di volontà, come peraltro ammesso anche nei casi di pagamento con riserva di ripetizione.

Con il quinto motivo, proposto in relazione all' art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la società deduce il vizio di ultrapetizione per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione alla statuizione circa la non emendabilità della dichiarazione dei redditi, questione mai proposta dalle parti.

1.1. L'eccezione di inammissibilità del controricorso per tardiva notificazione è fondata.

Il controricorso, ai sensi dell'art. 370 c.p.c., deve infatti essere notificato entro venti giorni dalla scadenza del termine previsto per il deposito del ricorso dall'art. 369 c.p.c. che a sua volta è di venti giorni dall'ultima notificazione; a tal fine il dies a quo deve identificarsi con la ricezione dell'atto da parte del destinatario (Cass. 3/12/2015, n. 24639), anche perché diversamente opinando si porrebbe a carico del controricorrente l'alea dei tempi di notifica del ricorso, ovvero un elemento che sfugge alla sua possibilità di controllo e si ridurrebbe in dipendenza di tale elemento il lasso di tempo a disposizione del controricorrente per predisporre le sue difese e portarle a conoscenza della controparte.

Nel caso di specie il ricorso risulta pervenuto all'Avvocatura dello Stato il 29/01/2020, data da cui decorreva il termine di venti giorni per il deposito del medesimo (con scadenza quindi al 18/02/2020) e di qui l'ulteriore termine di venti giorni per procedere alla notifica del controricorso, termine che sarebbe scaduto il 9/03/2020 (in quanto il mese di febbraio 2020 era composto da 29 giorni); operando la sospensione dei termini (prevista dal d.l. n. 18 del 2020, art. 83 comma 2, conv. dalla l. n. 27 del 2020 e, successivamente, dal d.l. n. 23 del 2020, conv. dalla l. n. 40 del 2020) dal 9/03/2020 all'11/05/2020, il termine è venuto a scadere il 12/05/2020; il controricorso risulta invece spedito il 13/05/2020 alle h. 00.02, con conseguente sua tardività e inammissibilità.

2. Il primo ed il quarto motivo vanno esaminati congiuntamente, perché pongono questioni connesse, e sono fondati.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente evidenzia l'erroneità della decisione dei giudici di appello ove hanno ritenuto che non costituisse una ipotesi di inesistenza totale o parziale dell'obbligazione tributaria il caso in esame, in cui l'esposizione in dichiarazione di utili fittizi è parte di un complessivo disegno criminoso, avente rilevanza penale, finalizzato a rappresentare all'esterno una situazione patrimoniale della società più solida di quella reale; ciò in base ai principi per cui, in primo luogo, anche in tal caso occorra, ai fini della ripetizione, un errore del contribuente, incompatibile con un reato doloso, e, in secondo luogo, il contribuente che pone in essere condotte delittuose risponda comunque delle conseguenze del proprio operato e quindi sia tenuto al pagamento delle imposte anche se l'obbligo abbia come base imponibile una posta inesistente in dipendenza dell'artificio posto in esse.

Le due affermazioni sono inestricabilmente connesse e pongono il tema se la inesistenza dell'obbligo postuli comunque un errore scusabile del contribuente nel versamento o anche nell'individuazione della debenza del tributo, errore che escluderebbe l'ipotizzabilità della ripetizione in caso di comportamento doloso.

Con il quarto motivo la società deduce l'erroneità della sentenza sia laddove ha ritenuto che la dichiarazione dei redditi non potesse essere emendata tramite istanza di rimborso sia ove ha ritenuto che l'indicazione del reddito nella dichiarazione fosse un comportamento volontario irretrattabile.

2.2. Il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 autorizza la presentazione dell'istanza di rimborso, oltre che in caso di errore materiale, in quello di "inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento", con disposizione che, secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte, opera in maniera indifferenziata in tutte le ipotesi di ripetibilità del versamento indebito, a prescindere dalla riferibilità dell'errore al versamento, all'an o al quantum del tributo (Cass. 17/04/2019, n. 10693; Cass. 7/08/2015, n. 16617; Cass. 6/03/2015, n. 4578; Cass. 16/11/2011, n. 24058; Cass. 22/05/2006, n. 11987). In particolare, Cass. 10693/2019 ha riconosciuto la ripetibilità dell'importo versato anche nel caso in cui il versamento oggetto del rimborso domandato era conseguente ad un comportamento volontario del contribuente, di mancata esposizione delle perdite in dichiarazione.

Anche la fattispecie in cui l'istante chiede il rimborso per l'inesistenza fin dall'origine dell'obbligo fiscale ricade poi nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 comma 1, (Cass. 27/03/2019, n. 856).

2.3. Per questa Corte le norme sulla imposizione diretta, ispirate al principio costituzionale della capacità contributiva, non contemplano infatti ipotesi di responsabilità fiscale "oggettiva", indipendente dall'esistenza di un reddito effettivo; tale ipotesi, invece, si rinviene nella disciplina dei tributi indiretti, come l'Iva, che è dovuta per l'intero ammontare della fattura, anche se emessa per operazione inesistente, ai sensi del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 21 comma 7, o l'imposta di registro, dalla quale non è dispensato l'autore di atto nullo o annullabile ex d.p.r. n. 131 del 1986, art. 38.

Tali considerazioni sono state già espresse da questa Corte in diversi precedenti; in tal senso Cass. 25/09/2019, n. 23879; Cass. 17/07/2019, n. 19191; Cass. 20/11/2008, n. 27569, quest'ultima in riferimento proprio al caso, analogo a quello in esame, di soggezione a tassazione di ricavi inesistenti dichiarati al solo fine di ottenere dei proventi illeciti, come indebiti rimborsi Iva, indebite sovvenzioni, mutui, e ove è stato precisato che oggetto dell'imposizione diretta non possono essere i ricavi - pacificamente inesistenti - risultanti da una contabilità riconosciuta fittizia o ulteriormente desumibili da appostazioni passive ugualmente false e che se un reddito illecito effettivamente esiste, questo potrebbe essere determinato solo sinteticamente, in base ai dati ed alle notizie comunque venuti in possesso dell'ufficio che, in tal caso, è autorizzato a prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, e ad avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Infatti, in ambito tributario vige il principio, di carattere generale, per cui il comportamento illecito posto in essere dal contribuente assume comunque rilevanza ai fini tributari, in quanto il relativo provento è tassabile, ai sensi del D.P.R. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, che disciplina l'imponibilità, ai fini delle imposte dirette, dei redditi derivanti da fatti, atti o attività che costituiscono illeciti civili, penali o amministrativi, se non già sottoposti a sequestro o confisca penale, da determinarsi secondo le ordinarie regole del t.u.i.r.

2.3. D'altro canto, l'affermazione della ripetibilità dell'imposta non dovuta (e non solo di quella versata in conseguenza di un errore di versamento) è connessa all'affermazione per cui la dichiarazione dei redditi non costituisce la fonte dell'obbligo tributario, né produce effetti assimilabili a quelli di una confessione, attesa l'indisponibilità dei diritti e degli obblighi tributari, cui si riferisce, ma rappresenta unicamente un momento essenziale del procedimento di accertamento e riscossione delle imposte sul reddito e non può precludere al contribuente - anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva - la dimostrazione, con le forme e nei termini previsti dal citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e con onere della prova a suo carico, dell'inesistenza, anche parziale, di presupposti di imposta erroneamente dichiarati (cfr. in primo luogo Cass., sez. un., 25/10/2002, n. 15063; successivamente, tra le tante, Cass. 20/12/2002, n. 18163; Cass. 6/07/2011, n. 14932; Cass. 6/03/2015, n. 4578).

Il che del resto è a sua volta connesso alla considerazione che di regola le dichiarazioni fiscali, in particolare quelle dei redditi, non sono atti negoziali o dispositivi, né costituiscono titolo dell'obbligazione tributaria, ma sono dichiarazioni di scienza, sicché possono, in linea di principio, essere liberamente emendate e ritrattate dal contribuente, anche in sede processuale, se ne possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, ciò anche ai sensi della Cost., art. 53 (Cass. 4/02/2011, n. 2725), salvi i casi in cui vengano in rilievo delle scelte negoziali il che accade quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall'erario; in tal caso, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall'amministrazione (Cass. 22/01/2013, n. 1427; Cass. 23/11/2018, n. 30404).

2.4. Ne' l'istanza di rimborso è preclusa dall'omessa presentazione della dichiarazione integrativa ai sensi del d.p.r. n. 322 del 1998, art. 2 comma 8-bis, non sussistendo alcuna interferenza tra l'autonoma facoltà di emendare gli errori mediante dichiarazione integrativa e la presentazione dell'istanza stessa, operando la prima nell'ambito dell'accertamento del debito tributario e la seconda nell'ambito del procedimento di riscossione.

Tale impostazione è ampiamente condivisa da questa Corte, la quale, in linea con i principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza 7/06/2016, n. 13378, ha, anche di recente, ribadito che l'emenda o la ritrattazione contenuta nella dichiarazione integrativa (D.P.R. n. 322 del 1988, ex art. 2, comma 8-bis), che si salda con l'originaria dichiarazione presentata, da un lato, e l'istanza di rimborso (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38), da proporre entro 48 mesi, nel caso d'inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento, dall'altro, operano su piani diversi del rapporto d'imposta tra Amministrazione finanziaria e contribuente e costituiscono due opzioni concorrenti e non alternative, che l'ordinamento tributario offre all'interessato, a seconda che egli si attivi nel campo applicativo dell'accertamento fiscale (la dichiarazione integrativa) o nel diverso ambito della riscossione dei tributi (l'istanza di rimborso) (così Cass. 16/07/2019, n. 19002, in tema di Irap; nello stesso senso si vedano anche Cass. 15/03/2019, n. 7389, in tema di Ires; Cass. 30/10/2018, n. 27583; Cass. 11/05/2018, n. 11507).

In definitiva, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi in danno del contribuente, la dichiarazione integrativa intesa alla loro correzione deve essere presentata, ex d.p.r. n. 322 del 1998, art. 2 comma 8-bis, non oltre il termine di presentazione della dichiarazione riguardante il periodo di imposta successivo, portando in compensazione il credito eventualmente risultante, mentre, in caso di avvenuto pagamento di maggiori somme rispetto a quelle dovute, il contribuente, indipendentemente dal rispetto del suddetto termine, può in ogni caso opporsi, in sede contenziosa, alla maggior pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria, senza però poter opporre in compensazione tali somme alle maggiori pretese di quest'ultima, e può chiederne il rimborso entro il termine di quarantotto mesi dal versamento, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (Cass. 20/11/2019, n. 30151).

2.5. Da tutte tali considerazioni, inevitabilmente connesse in quanto fondamentalmente tutte ispirate al principio di capacità contributiva previsto dalla Cost., art. 53 discende che il contribuente che abbia, in dichiarazione, assoggettato propri redditi ad imposta che ritiene non dovuta e provveduto al relativo versamento, in via di autotassazione, può chiederne in linea di principio la restituzione nel termine previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 non essendo ciò precluso dalla mancanza di una dichiarazione integrativa e non avendo tale comportamento valore di una scelta negoziale e volontaria.

Ha errato quindi la C.T.R. sia laddove ha ritenuto necessario che ai fini della istanza di rimborso fosse necessario un errore scusabile del contribuente, a tal fine sovrapponendo peraltro il piano del comportamento doloso, che è quello della falsificazione dei dati contabili dell'impresa, a quello relativo alla conseguente errata dichiarazione fiscale; ed ha errato ove ha ritenuto che l'istanza di rimborso fosse preclusa dalla mancanza di una dichiarazione integrativa e che l'assoggettamento a imposizione di una determinata posta contabile fosse espressione di una volontà del contribuente, violando i suddetti principi giurisprudenziali ormai consolidati.

3. Il secondo e il terzo motivo, attinenti ad una diversa ratio decidendi, la presenza di un giudicato preclusivo dell'accoglimento dell'istanza di rimborso, vanno scrutinati congiuntamente e sono fondati.

Occorre premettere che la C.T.R. ha ritenuto che la sentenza n. 2094-2014 della medesima Commissione avesse cristallizzato la posizione debitoria e creditoria della società e che tale posizione non potesse essere messa in discussione, né processualmente né giuridicamente, nel giudizio, così evidentemente ritenendo che tale sentenza precludesse un diverso accertamento, il che è esattamente attribuire efficacia di giudicato alla decisione.

Se il giudicato esterno è rilevabile d'ufficio (ed anche per la prima volta nel giudizio di legittimità), è necessario che la parte che lo invoca produca copia autentica della sentenza, recante attestazione del passaggio in giudicato (Cass. 10/11/2006, n. 24067), laddove, con riferimento al processo tributario, in mancanza di una previsione specifica sulla certificazione del passaggio in giudicato della sentenza, va applicato per analogia legis, secondo la previsione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 1 comma 2, l'art. 124 disp. att. c.p.c., sicché è necessario che il segretario della commissione tributaria, provinciale o regionale, certifichi, in calce alla copia della sentenza contenente la relazione della notificazione alla controparte o alla copia della sentenza non notificata, che nei termini di legge non è stata proposta impugnazione (Cass. 7/02/2019, n. 3621).

Nel caso di specie, in primo luogo, risulta dalla stessa sentenza che la C.T.R. abbia accertato che nessuna delle parti avesse sottoposto al suo esame la sentenza resa nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento del 2002. In secondo luogo, la ricorrente ha evidenziato di aver proposto ricorso per cassazione contro tale sentenza (ricorso iscritto al n. RG 6737/2015, conclusosi poi con ordinanza 05/06/2020, n. 10725, con cui la Corte ha dichiarato estinto il giudizio per avvenuta definizione agevolata ai sensi del d.l. n. 193 del 2016, art. 6).

Cass. 3/10/2018, n. 24083 ha chiarito che la particolarità della rinuncia di adempimento dell'impegno cui allude il  d.l. n. 193 del 2016, art. 6 si individua nella circostanza che gli effetti della fattispecie di rinuncia sono qui direttamente disciplinati dalla legge con le previsioni dello stesso art. 6 e non sono invece riconducibili, come accade di regola in presenza della rinuncia ex art. 390 c.p.c., dall'art. 338 c.p.c., che è norma idonea a disciplinare anche gli effetti della rinuncia al giudizio di cassazione. Ne consegue che la rinuncia de qua e la dichiarazione di estinzione cui (ravvisatane la ritualità) procede la Corte di Cassazione non fanno passare in cosa giudicata la sentenza impugnata, ma comportano, per volontà di legge, che la situazione dedotta in giudizio sia sostituita, per previsione di legge, dalla disciplina emergente dalla dichiarazione di avvalimento nei termini indicati dalla comunicazione ex comma 3. Con la conseguenza, indicata dall'art. 6 comma 4, per il caso di inadempimento totale o parziale, la quale si identifica nell'attribuzione all'esattore del diritto di procedere al recupero di quanto oggetto della dichiarazione ai sensi del comma 2 e, dunque, di quella somma, determinata ai sensi del comma 1 dell'art. 6, per la quale il debitore aveva fatto dichiarazione di avvalimento della procedura di definizione agevolata.

Pertanto, nel caso di specie la C.T.R. ha errato nel ritenere sussistente un giudicato in atti cui doversi obbligatoriamente adeguare.

4. Il quinto motivo resta quindi assorbito.

5. Di conseguenza, dichiarata la tardività del controricorso, vanno accolti primo, secondo, terzo e quarto motivo, assorbito il quinto; la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per regolare le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l'inammissibilità del controricorso; accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per regolare le spese del giudizio di legittimità.