Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TRENTO - Ordinanza 21 gennaio 2021

Violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro - Omessa comunicazione e giustificazione della assenza - Licenziamento disciplinare per giusta causa - Divieti, restrizioni e rischi relativi agli spostamenti - Obblighi di quarantena/isolamento fiduciario - Licenziamento per ritorsione - lngiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore - Finalità ritorsiva costituente il motivo esclusivo e determinante dell’atto espulsivo

 

Osserva

 

il licenziamento intimato al ricorrente dalla società datrice

La ricorrente (...) premesso di aver lavorato a far data dal 17.5.2014 alle dipendenze della società (...) in virtù di contratto a tempo indeterminato e parziale (16 ore settimanali), con inquadramento nel 2° livello CCNL imprese di pulizia e servizi integrati/multiservizi e con mansioni di operaia -

impugna il licenziamento disciplinare per giusta causa intimatole con lettera del 9.9.2020 (doc. 12 fase, ric.), in relazione agli addebiti contestati con lettera dell’1.9.2020 (doc. 10 fase, ric.) del seguente tenore:

"... Le contestiamo di non prestare servizio dal 20 agosto u.s., in gravissima violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro, omettendo di comunicare e giustificare la Sua assenza alla scrivente società secondo le modalità e i termini previsti dalle disposizioni contrattuali e di legge e ponendo in essere condotte di gravissimo rilievo disciplinare in relazione al rapporto di lavoro, oltreché con riflessi in ambiti esterni a quello lavorativo.

Corre preliminarmente l’obbligo di sottolineare che Ella non presta la Sua attività dal 09.07.2020: risulta infatti che Ella prolungava il periodo di ferie concesso (dal 3.8.2020 al 16.8.2020), assentandosi per "Congedo Covid" dal 09.07.2020 al 28.7.2020 e permesso ai sensi della L. 104/92 nei giorni 29,30 e 31 luglio, facendo seguire ulteriori 3 giorni di permesso ai sensi della L. 104/92 nei giorni 17,18 e agosto, 5 giorni di malattia bambino nei giorni 20, 21, 24, 25 e 26 agosto, un giorno di malattia il giorno 27 agosto 2020 e, infine, assenza per quarantena fino al 09.09.2020.

Ciò premesso, Le contestiamo che Ella, stando a quanto da Ella stessa dichiarato, si sarebbe recata in Albania nonostante i ben noti divieti restrizioni e i rischi relativi agli spostamenti e nonostante i altresì ben noti obblighi di quarantena/isolamento fiduciario conseguenti, disinteressandosi quindi completamente dei problemi organizzativi creati all'azienda visti anche l'emergenza sanitaria in essere e il periodo interessato (pieno periodo estivo).

Siamo inoltre a contestarLe che da un'analisi dei fatti avvenuti la Sua assenza risulterebbe essere stata programmata in maniera intenzionale e con gravissima malafede: in particolare in data 20.8.2020 Ella inviava alla scrivente certificazione medica rilasciata in Italia riguardante la necessità di assentarsi per motivi di salute della figlia dal 20.8.2020 al 21.08.2020 sebbene, come da Ella stessa dichiarato successivamente, il 20.8.2020 si trovava in Albania. Ma vi è di più. In data 24 agosto, come poi appurato, sempre dall'Albania, Ella trasmetteva ulteriore certificazione medica, sempre rilasciata in Italia, analoga a quella poc’anzi menzionata, questa volta con date dal 24.08.2020 al 28.08.2020. La Sua responsabile provvedeva a comunicarLe che Ella non aveva a disposizione 7 giorni di malattia bambino e pertanto il 27 agosto 2020 avrebbe dovuto rientrare come confermatoLe anche dal nostro ufficio personale. Risulta poi che Ella avrebbe addirittura chiesto alla Sua responsabile di poter anticipare su agosto i giorni spettanti per il mese di settembre ai sensi della L. 104/92, in modo da coprire la Sua assenza. Tale Sua richiesta veniva chiaramente negata.

Ancora, Le contestiamo che, in ulteriore aggravamento della situazione, il giorno 27 agosto 2020, giornata nella quale Ella avrebbe viaggiato rientrando dall'Albania via Bari, come da Ella stessa dichiarato, Ella trasmetteva il seguente messaggio: "Buongiorno, sono oggi sono malattia il numero 260969580 per ufficio personale", al quale effettivamente corrispondeva, incomprensibilmente, un certificato medico rilasciato in Italia con prognosi dal 27.08.2020 al 27.08.2020.

Vista la situazione, in data 26.08.2020, la scrivente un comunicava "come già comunicatoLe, Le ripetiamo che Ella è tenuta rientrare al lavoro il giorno 27.08.2020. Risultando che Ella avrebbe dichiarato di trovarsi in Albania, Le ricordiamo che è altresì tenuta a verificare gli adempimenti a Suo carico connessi a eventuali spostamenti da Ella effettuati all'estero, previsti da norme e decreti e tali correlati provvedimenti integrativi/attuativi tanto nazionali quanto locali riguardanti obblighi e divieti a carico di chiunque abbia soggiornato ossia transitato negli ultimi 14 giorni in Paesi esteri. Da sottolineare che tale circostanza risulterebbe peraltro incompatibile sia con le richieste e la documentazione medica da Ella presentata, sia con la condotta di diligenza, correttezza e buona fede richiesta nel rapporto di lavoro. La scrivente formula pertanto fin d'ora ogni più ampia riserva in merito a eventuali azioni da intraprendere, anche in considerazione di Sue ulteriori controdeduzioni ", comunicazione che rimaneva senza alcun riscontro da parte Sua. Non solo Ella non forniva alcun riscontro, il giorno 28 agosto 2020 Ella contattata la Sua responsabile perché voleva rientrare al lavoro lo stesso giorno. La responsabile Le rispondeva dì chiamare in sede e, contattata la sede, Le veniva ribadita la necessità di chiamare il numero verde dedicato. Solo in data 31 agosto u.s. Ella comunicava alla scrivente: "Buongiorno sono (...) Ho chiamato i servizi sanitari e mi hanno detto che devo fare la quarantena quindi non mi presenterò al lavoro fino al 09/09/2020. Il certificato da parte del mio medico di base per l'isolamento dovrò mandarglielo domani visto che il mio medico oggi non è in ufficio ".

La Sua condotta, come sopra stigmatizzata, causava oltretutto pesanti problemi organizzativi, visto anche il periodo interessato (pieno periodo estivo) procurando in tal modo grave nocumento all'azienda.

le domande proposte dal ricorrente.

In ordine al licenziamento a lei intimato la ricorrente (...) propone:

1) domanda di accertamento della nullità del licenziamento de quo "per carattere ritorsivo chiede l’applicazione della tutela ex art. 18 co.1 e 2 St.Lav.;

2) domanda di annullamento del licenziamento de quo "per insussistenza della giusta causa con obbligo di reintegra";

chiede l’applicazione della tutela ex art. 18 co.4 St. Lav.;

3) domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento de quo perché "non ricorrono gli estremi della giusta causa",

chiede l’applicazione della tutela ex art. 18 co.5 St. Lav.

i motivi della decisione

1) in ordine alle domande di accertamento della nullità del licenziamento perché ritorsivo

La ricorrente propone domanda di accertamento della nullità del licenziamento perché ritorsivo in quanto "malcelata manifestazione, del risentimento che la datrice di lavoro nutriva nei confronti della ricorrente, per il fatto che la stessa, pur esercitando un suo diritto, avrebbe fruito di troppe giornate di assenza dal lavoro con ferie, permessi ex 104 del 1992 e congedo straordinario Covid recentemente introdotto".

Orbene, ad avviso della Suprema Corte il licenziamento per ritorsione costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona a lui legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità ex art. 1345 cod.civ. del licenziamento, quando la finalità ritorsiva abbia costituito il motivo esclusivo e determinante dell’atto espulsivo (ex multis, anche di recente, Cass. 3.12.2019, n. 31527; Cass. 17.1.12019, n. 1195; Cass. 19.11.2018, n. 29764; Cass. 3.12.2015, n. 24648; Cass. 18.3.2011, n. 6282;).

Ne consegue che, allorquando il lavoratore alleghi che il licenziamento gli è stato intimato per un motivo illecito esclusivo e determinante ex art. 1345 cod.civ., il datore di lavoro non è esonerato dall'onere di provare, ai sensi dell'art. 5 L. 15.7.1966, n. 604, l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; quindi l’indagine in ordine alla sussistenza nonché al carattere esclusivo e determinante del motivo ritorsivo dovrà essere condotta successivamente a quella concernente il presupposto giustificativo addotto dalla società datrice a fondamento del licenziamento intimato e solo nell’ipotesi di accertata insussistenza della stessa; diversamente, infatti, il motivo ritorsivo non sarebbe, per forza di cose, esclusivo e determinante e quindi non renderebbe nullo il negozio estintivo.

In questo senso si è pronunciata di recente la Suprema Corte (Cass. 23.9.2019, n. 23583; Cass. 4.4.2019, n. 9468), la quale ha statuito con cristallina chiarezza: "Per accordare la tutela prevista per il licenziamento nullo (L. n. 300 del 1970. art. 18. comma 1... [oggi anche d.lgs. 23/2015 art. 2], perché adottato per motivo illecito determinante ex art. 1345 c. c.. occorre che il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, per cui la nullità deve essere esclusa se con lo stesso concorra un motivo lecito, come una giusta causa (art. 2119 c.c.) o un giustificato motivo (L. n. 604 del 1966. ex art. 3). Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l'unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L'esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest'ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. Il giudice, una volta riscontrato che il datore di lavoro non abbia assolto gli oneri su di lui gravanti e riguardanti la dimostrazione del giustificato motivo oggettivo, procede alla verifica delle allegazioni poste a fondamento della domanda del lavoratore di accertamento della nullità per motivo ritorsivo, il cui positivo riscontro giudiziale dà luogo all’applicazione della più ampia e massima tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 [oggi anche d.lgs. 23/2015, art.2]. Dunque, in ipotesi di domanda proposta dal lavoratore che deduca la nullità del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica di fatti allegati dal lavoratore richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, che risulti solo allegata dal datore, ma non provata in giudizio, poiché la nullità per motivo illecito ex art. 1345 c.c. richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente... "

In definitiva, l’indagine in ordine alla sussistenza nonché al carattere esclusivo e determinante del motivo ritorsivo addotto dovrà essere condotta successivamente a quella concernente il presupposto giustificativo addotto dalla società datrice a fondamento del licenziamento intimato (qui giusta causa) e solo nell’ipotesi di accertata insussistenza dello stesso (diversamente, infatti, il motivo ritorsivo non sarebbe, per forza di cose, esclusivo e determinante e quindi non renderebbe nullo il negozio estintivo).

2. in ordine alla domanda di annullamento e alla domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento de quo per difetto della giusta causa.

La ricorrente propone domanda di annullamento e, in subordine, domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento de quo per difetto della giusta causa.

Le domande non sono fondate.

Appare incontestato che la ricorrente:

a) ha richiesto e ottenuto di poter fruire di un periodo di ferie dal 3 al 16 agosto 2020;

b) in tale periodo ella si è recata in Albania;

c) al suo ritorno in Italia (avvenuto il giorno 27.8.2020, avendo fruito dei permessi ex L. 104/1992 nei giorni 17, 18 e 19.8.2020 e richiesto di godere del congedo per malattia della figlia nei giorni 20, 21, 24, 25 e 26.8.2020), non ha potuto rientrare immediatamente al lavoro, dovendo osservare il prescritto periodo di isolamento fiduciario per 14 giorni, fino al 9.9.2020,

La ricorrente sostiene (pag. 11) che: "... al momento della partenza della ricorrente il divieto degli spostamenti all'estero era decaduto da più di due mesi. Pertanto, nessuna negligenza può essere imputata alla ricorrente che si trovava già all'estero al momento della reintroduzione di tali limitazioni e che ha potuto apprendere di doversi sottoporre ad isolamento domiciliare al suo rientro solo dopo averne ricevuto comunicazione dal datore di lavoro, che l’ha sollecitata a contattare l’Autorità sanitaria".

Si tratta di assunti non fondati.

L’art. 1 co.5 D.L. 30.7.2020, n. 83 (in G.U. 30.7.2020) ha disposto: "Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 19 del 2020, i quali saranno adottati sentiti i presidenti delle regioni interessate nel caso in cui le misure ivi previste riguardino esclusivamente una Regione o alcune regioni, ovvero il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale, e comunque per non oltre dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, continua ad applicarsi il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 luglio 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 2020, n. 176".

L’art. 1, primo periodo d.p.c.m. 14.7.2020 aveva disposto: "Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sull'intero territorio nazionale, le misure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 giugno 2020, richiamato in premessa, sono prorogate sino al 31 luglio 2020".

L’art. 4 co.3.d.p.c.m. 11.6.2020 aveva disposto: "Le persone, che fanno ingresso in Italia con le modalità di cui al comma 1, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicarlo immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria competente per territorio e sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l'abitazione o la dimora preventivamente indicata all'atto dell'imbarco ai sensi del comma 1, lettera b)".

 Appare, quindi, evidente che la ricorrente, nel momento in cui si recò in Albania per trascorrere le proprie ferie, dal 3 al 16 agosto 2020, era o comunque doveva essere pienamente consapevole che al suo rientro in Italia non avrebbe potuto ritornare al lavoro immediatamente al termine del periodo feriale, dovendo osservare, per il fatto di essersi recata in Albania, un periodo di 14 giorni in isolamento fiduciario.

Ella, quindi, si è posta, per propria responsabilità, in una situazione di impossibilità di riprendere il lavoro alla data prescritta, ossia subito dopo la fine del periodo di ferie.

La sua assenza dal lavoro per 14 giorni, seppur dovuta alla necessità di adempiere l’obbligo pubblicistico di isolamento fiduciario, non può considerarsi giustificata.

Infatti la ricorrente avrebbe ben potuto evitare di trovarsi assoggettata a detto obbligo astenendosi dal l’effettuare il viaggio in Albania durante il periodo feriale.

D’altra parte esigere che la ricorrente tenesse quest’ultimo comportamento non costituisce un’illegittima limitazione all’esercizio del diritto di fruire delle ferie. Basti pensare che il soddisfacimento delle esigenze di sanità pubblica, sottese alla necessità di contrastare la perdurante situazione di pandemia, ha comportato per ampi strati della popolazione residente in Italia il sacrificio di numerosi diritti della personalità, in particolare di libertà civile, anche tutelati a livello costituzionale.

La condotta, di cui la ricorrente si è resa responsabile, e consistita nel porsi colpevolmente nella necessità di rimanere assente dal lavoro per 14 giorni, integra una giusta causa di licenziamento.

Occorre in proposito ricordare che secondo il consolidato orientamento di legittimità (ex multis, di recente, Cass. 5.7.2019, n. 18195; Cass. 25.10.2018, n. 27082; Cass. 7.11.2018, n. 28492; Cass. 28.9.2018, n. 23605;) la giusta causa si configura quale lesione grave e irreparabile dell’elemento fiduciario, che sta alla base del rapporto di lavoro, costituendo presupposto fondamentale della collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore; ne deriva la necessità di accertare se la condotta addebitata sia in grado di ingenerare il legittimo dubbio circa la futura correttezza degli adempimenti da parte del prestatore.

A tal fine occorre valutare il comportamento del prestatore non solo nel suo contenuto oggettivo (ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate), ma anche nella sua portata soggettiva (vale a dire con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all'intensità dell'elemento volitivo dell'agente).

Venendo alla vicenda in esame, in ordine al profilo oggettivo assume rilievo la durata dell’assenza (14 giorni) e le conseguenti disfunzioni che sono verosimilmente derivate in pregiudizio dell’organizzazione dell’attività produttiva esercitata dalla società datrice.

In ordine al profilo soggettivo, occorre considerare la noncuranza che la ricorrente ha manifestato nei confronti delle esigenze dell’azienda datrice alle quali ha manifestamente anteposto i propri interessi personali.

Dall’accertamento della sussistenza di una giusta causa discende anche il rigetto della domanda volta all’accertamento della nullità del licenziamento per ritorsività.

In definitiva le domande proposte dalla ricorrente devono essere rigettate.

Le spese non possono che seguire la soccombenza, stante il rigore del novellato art. 92 cod. proc.civ..

 

P.Q.M.

 

visto l’art. 49 L. 28.6.2012, n. 91

1. Rigetta le domande proposte dalla ricorrente.

2. Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della società convenuta, delle spese di giudizio, che liquida nella somma complessiva di € 2.000,00, maggiorata del 15% per spese forfettarie ex art 2 co.2 d.m. 10.3.2014, n. 55, oltre ad IVA e CNPA.