Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 settembre 2021, n. 24654

Tributi - Accertamento - Reddito d’impresa - Ricavi extracontabili - Appalto per lavori pubblici - Sottofatturazione - Verifica in base agli stati di avanzamento lavori - Erronea contabilizzazione delle rimanenze finali

 

Fatti di causa

 

1. La controversia trae origine dall'avviso di accertamento n. TVF031300434/2010, emesso a seguito di un processo verbale di constatazione redatto al termine di una verifica fiscale condotta da funzionari dell'Agenzia delle entrate. Con tale atto l'ufficio recuperava a tassazione maggiori ricavi derivanti dell'attività di "lavori generali di costruzione edifici" e costi indeducibili, ex articolo 109 del T.U.I.R., e accertava il reddito d'impresa della società contribuente, per l'anno d'imposta 2005, in euro 400.898,00, di cui euro 120.329,00 reddito d'impresa dichiarato, euro 23.682,09 ricavi non fatturati, euro 43.000,00 recupero a tassazione finanziamenti soci, euro 213.887,00 costi indeducibili.

La ricostruzione dei ricavi operata dall'ufficio era effettuata mediante il controllo degli stati di avanzamento lavori, ai sensi dell'art. 93, comma 6,  del T.U.I.R., relativi ai singoli cantieri di lavoro per opere ultrannuali. Dai suddetti controlli i funzionari verificatori hanno riscontrato che la società verificata aveva operato una sottofatturazione nel corso degli anni 2003, 2004, 2005 e 2006 per un totale di Euro 71.325,55; detti ricavi sono quindi stati ripartiti per le suddette annualità. Quanto al recupero a tassazione dell'importo di Euro 43.000,00 (finanziamento soci), l'ufficio ha ritenuto che i finanziamenti non fossero giustificati, stante l'assenza di qualsiasi deliberazione assembleare, il versamento in contanti, la mancata restituzione e, quindi, la patrimonializzazione in apposito fondo, nonché il raffronto tra i numerosi ed ingenti finanziamenti e il reddito dichiarato dai soci, con particolare riferimento alla socia C. I.. Pertanto l'Ufficio ha ritenuto che i finanziamenti in questione non fossero che espedienti contabili finalizzati a nascondere ricavi non fatturati da parte della società. I costi indeducibili rinvenivano dal controllo dei rapporti intercorsi tra la società verificata e il fornitore D. Costruzioni s.r.l. e dall'esame, in particolare, delle fatture emesse dalla D.Costruzioni s.r.l. nei confronti della controparte. L'ufficio contestava, in particolare con riferimento a n. 11 fatture, la violazione dell'articolo 21, comma 2, lett. b) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, stante l'omissione dell'indicazione della "natura, qualità e quantità dei beni formanti oggetto della prestazione", nonché la estrema genericità della descrizione dell'oggetto della prestazione e la violazione dell'articolo 109, comma 1, del T.U.I.R. relativamente alla possibilità di determinare in modo certo ed obbiettivo l'ammontare dei costi fatturati.

2. La Società, con atto notificato il 19 luglio 2010, ha presentato ricorso avverso l'avviso di accertamento e, con successivo ricorso notificato il 13 gennaio 2011, impugnava altresì la cartella di pagamento n. 01420100123395346, contenente l'iscrizione a ruolo di un terzo delle maggiori imposte accertate, effettuata a titolo provvisorio, in pendenza di giudizio, a norma dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

La C.t.p. di Bari, con sentenza n.166 dell'8 novembre 2012, accoglieva i ricorsi riunti e la C.t.r. della Puglia, con la sentenza n.1691/11/14, pronunciata in data 23 maggio 2014, depositata in data 22 luglio 2014 e non notificata, ha rigettato l'appello dell'ufficio.

3. L'Agenzia delle entrate ora ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza d'appello e la curatela fallimentare della società contribuente resiste con controricorso.

Il sostituto procuratore generale, R.M., ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, l'Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 93 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (T.u.i.r., nel testo applicabile ratione temporis) e dell'art.39 , comma 1, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.

Secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe errato nel sostenere che fosse inverosimile la tesi dell'ufficio, secondo cui la società B. avrebbe conseguito ricavi extracontabili, atteso che oggetto dell'appalto erano lavori pubblici e non privati.

Invero, la ricorrente deduce di aver contestato alla società contribuente l'erronea contabilizzazione delle rimanenze finali, da imputare a ricavi di esercizio secondo i criteri dettati dall'art.93 T.u.i.r., e non la percezione di utili in nero.

Pertanto, secondo la ricorrente, non vi sarebbe stata alcuna confusione, come invece erroneamente ritenuto dai giudici di appello, tra il momento dell'effettuazione dell'operazione ai fini dell'Iva e il periodo di competenza dei ricavi ai fini dell'imposta sul reddito ricavi che secondo i verificatori sarebbero stati tutti regolarmente contabilizzati.

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

Ai sensi dell'art.93, commi 1, 2, 4 e 5 , d.P.R. n.917/1986, vigente ratione temporis, « 1. Le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione  ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell'esercizio. A tal fine le rimanenze finali, che costituiscono esistenze iniziali dell'esercizio successivo, sono assunte per il valore complessivo determinato a norma delle disposizioni che seguono per la parte eseguita fin dall'inizio dell'esecuzione del contratto, salvo il disposto del comma 4.

2. La valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti. Delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento. Per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati. (...)

4. I corrispettivi liquidati a titolo definitivo dal committente si comprendono tra i ricavi e la valutazione tra le rimanenze, in caso di liquidazione parziale, è limitata alla parte non ancora liquidata. Ogni successiva variazione dei corrispettivi è imputata al reddito dell'esercizio in cui è stata definitivamente stabilita.

5. In deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 4 le imprese che contabilizzano in bilancio le opere, forniture e servizi valutando le rimanenze al costo e imputando i corrispettivi all'esercizio nel quale sono consegnate le opere o ultimati i servizi e le forniture possono essere autorizzate dall'ufficio  delle imposte ad applicare lo stesso metodo anche ai fini della determinazione del reddito; l'autorizzazione ha effetto a partire dall'esercizio in corso alla data in cui è rilasciata».

Come rilevato da questa Corte « L'art. 93 (prima art. 60) del d.P.R. n. 917/86, che ha sostanzialmente riprodotto la disciplina dettata dall'art. 63 del d.P.R. n. 597/73, applicabile anche alle imprese a contabilità semplificate, pone al comma 1, in riferimento alle opere pattuite come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale nei contratti di appalto, la regola generale secondo la quale è reddito di ciascun esercizio la variazione del valore delle rimanenze finali, ma al comma 2 contempla l'ipotesi nella quale siano intervenute liquidazioni di corrispettivi in base a stati di avanzamento, stabilendo che i relativi importi costituiscono ricavi, i quali, pertanto, vanno imputati all'esercizio. Ne consegue l'obbligo della fatturazione e contabilizzazione di tali importi, che, in caso di irregolarità, legittimano l'accertamento in rettifica» (Cassazione civile sez. trib., 20/11/2009, n.24511). Inoltre, con una recente pronuncia in tema di determinazione del reddito d'impresa, ai sensi degli artt. 92 e 93 del d.P.R. n. 917 del 1986, questa Corte ha ulteriormente chiarito che « la valutazione delle giacenze relative a commesse ultrannuali deve essere effettuata con il criterio della percentuale di completamento che determina la suddivisione dell'utile totale che scaturisce dall'operazione nei vari esercizi di svolgimento della stessa ed in proporzione ai lavori eseguiti per ciascun periodo, al fine di evitare la concentrazione dell'imponibile nell'ultimo esercizio» (Cassazione civile, sez. VI, 28/09/2018, n.23629).

Pertanto, la C.t.r. ha errato nel ritenere che la natura pubblica dell'appalto escludesse la possibilità di rettificare, ai fini fiscali, il valore delle rimanenze finali di ciascun esercizio e, quindi, dei ricavi dichiarati; sulla base di tale considerazione erronea, il giudice di appello ha, dunque, ritenuto che l'accertamento di maggiori ricavi fosse dovuto ad una confusione dell'ufficio tra il momento di effettuazione delle operazioni ai fini dell'Iva ed il periodo di competenza ai fini delle imposte dirette, senza verificare se, nella fattispecie al suo esame, fosse corretto l'accertamento dell'ufficio in ordine alla circostanza che la società contribuente non avesse dichiarato i ricavi in base ai criteri di computo delle rimanenze finali previsti dall'art.93 T.u.i.r.

2. Con il secondo motivo, l'Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 37 e ss. d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e 51 e ss. d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.

Secondo la ricorrente, la C.t.r. sarebbe incorsa nella denunziata violazione di legge nel considerare che i dati esposti in bilancio dovevano considerarsi definitivi, in quanto mai contestati dall'amministrazione finanziaria. Invero, gli uffici finanziari non hanno il compito di contestare i bilanci, bensì quello di rettificare le dichiarazioni a fini fiscali.

2.1. Il motivo è all'evidenza fondato, in quanto l'amministrazione finanziaria non aveva alcun onere di impugnare il bilancio della società prima di effettuare la verifica fiscale.

3. Con il terzo motivo, l'Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (T.u.i.r., nel testo applicabile ratione temporis), 2697 e 2729 cod. civ. , nonché 115, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.

Secondo la ricorrente, la C.t.r., nel confermare l'annullamento dell'accertamento in riferimento ai costi indeducibili, non avrebbe tenuto conto del corretto riparto dell'onere probatorio, secondo cui spetta al contribuente dimostrare esistenza, inerenza e competenza dei costi dedotti, nonché della circostanza che l'amministrazione finanziaria aveva disconosciuto i costi indicati in una serie di fatture, sulla base di molteplici elementi indiziari, che avrebbero comportato l'onere del contribuente di fornire adeguata prova contraria.

3.2. Il motivo è fondato e va accolto.

In particolare, nel caso di specie, l'Ufficio ha disconosciuto le fatture relative a prestazioni ricevute dalla D. Costruzioni s.r.l. (relative a presunti lavori eseguiti sul cantiere di Castellaneta Marina), durante gli anni oggetto di accertamento, relativi ad un contratto di sub-appalto tra la B. A. Costruzioni s.r.l. e la D. . Costruzioni s.r.l.

L'ufficio, dall'esame della documentazione relativa a tali prestazioni, aveva rilevato che l'Ente appaltante identificato nella "T.I.E. s.r.l." —  e la "B. A. Costruzioni Srl" avevano avere la stessa compagine sociale; il contratto di sub-appalto non risultava registrato e non vi era certezza sulla data della stipulazione; la descrizione dell'oggetto della prestazione indicata nelle fatture era generica e sintetica e non permetteva di valutare e misurare lo stato di avanzamento dei lavori; dalla descrizione riportata sulle fatture non era possibile valutare né misurare il tipo di lavoro eseguito sul cantiere; per la Società D. Costruzioni s.r.I., la Commissione tributaria provinciale di Bari, con sentenza del 3 marzo 2010, n. 33/14/10, passata in giudicato, aveva accertato l'indebita deduzione di costi relativi ad operazioni inesistenti per l'anno di imposta 2003, derivante dalle risposte ai questionari inviati dall'Amministrazione Finanziaria ai vari fornitori; la D. Costruzioni s.r.I., esercente l'attività di lavori generali costruzione edifici, aveva dichiarato nei pochi anni di attività redditi esigui di poche migliaia di euro, a fronte di un volume di affari di milioni di euro, rimborsi IVA per centinaia di migliaia di euro e costi per il personale irrisori.

Pertanto, il giudice di appello avrebbe dovuto esaminare la prova indiziaria fornita dall'amministrazione finanziaria ed, ove avesse ritenuto assolto l'onere probatorio da parte dell'ufficio, avrebbe dovuto valutare se il contribuente aveva fornito idonea prova contraria (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 28246 del 11/12/2020, secondo cui «Ai fini del diritto alla deduzione di costi inerenti ex art. 109 TUIR e della detrazione di Iva ex art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, è necessaria la regolare tenuta delle scritture  contabili e delle fatture che, ai fini dell'Iva, sono idonee a rappresentare il costo dell'impresa e che devono contenere oggetto e corrispettivo di ogni operazione commerciale, sicché, in caso di operazioni ritenute dall'Amministrazione inesistenti, spetta a quest'ultima l'onere di dimostrare, attraverso la prova logica (o indiretta) o storica (o diretta) e anche con indizi integranti presunzione semplice, la fittizietà dell'operazione e non al contribuente la sua effettività, essendo questi chiamato a fornire la prova contraria soltanto quando sia assolto l'onere probatorio gravante sulla prima»).

4. Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell'art.112 cod. proc. civ. in relazione all'art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., in quanto la C.t.r. non si era pronunziata sul motivo di appello con cui l'ufficio aveva chiesto la conferma del recupero a tassazione del finanziamento dei soci.

4.1. Il motivo è fondato e va accolto, avendo del tutto omesso la C.t.r. pronunziarsi sul motivo di appello inerente all'annullamento del recupero a tassazione dei finanziamenti soci.

La sentenza, invero, conclude nel senso che tutte le questioni specificamente non trattate devono ritenersi assorbite.

Tuttavia, deve rilevarsi che «in tema di giudizio per cassazione, l'illogica dichiarazione di assorbimento di un motivo di appello si risolve in una omessa pronuncia e, come tale, può essere censurata in sede di legittimità solo ai sensi dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11459 del 30/04/2019).

Nel caso di specie, il ritenuto assorbimento non è sostenibile, in quanto la questione pretermessa riguarda un recupero a tassazione dei finanziamenti soci sulla base di considerazioni del tutto autonome e diverse rispetto a quelle esaminate per gli altri rilievi contenuti nell'accertamento.

In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.t.r. della Puglia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.