Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 novembre 2019, n. 31331

Canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche - Occupazione abusiva di suolo pubblico destinato a cartelloni pubblicitari - Riscossione - Iscrizione a ruolo ex artt. 17 e 21, D.Lgs. n. 46 del 1999 - Necessario preventivo titolo esecutivo - Natura privatistica del canone

 

Svolgimento del giudizio

 

1. Il Comune di Roma, ora Roma Capitale, propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 6037/13, con la quale la Corte di appello di Roma, a conferma della prima decisione, ha ritenuto l'illegittimità della cartella esattoriale notificata alla società R.P. s.r.l. per canoni di concessione ed indennità di occupazione abusiva di suolo pubblico destinato a cartelloni pubblicitari.

Ha ritenuto la Corte di appello, in particolare, che il credito in questione avesse natura privatistica, con conseguente necessità, per l’amministrazione comunale, di munirsi di un preventivo titolo esecutivo; nella specie inesistente, tale non potendo ritenersi, ai fini di causa, l'iscrizione a ruolo ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17 e 21.

Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dalla società.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso intimata.

 

Motivi della decisione

 

2. Con l'unico motivo di ricorso, il Comune di Roma deduce - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17.

Per avere la Corte di appello erroneamente attribuito al "credito" in oggetto natura privatistica (necessitante di titolo esecutivo diverso dal ruolo), nonostante che esso traesse origine da un "rapporto" di natura concessoria e, quindi, pubblicistica; con conseguente legittimità dell'adozione delle procedure di riscossione mediante ruolo consentite, ai sensi della normativa indicata, anche agli enti locali.

3. Il ricorso è infondato.

Il credito dell'amministrazione comunale dedotto in giudizio non ha natura pubblicistica di tributo, perchè riconducibile non già ad una tassa, ma ad un canone corrispettivo dell'occupazione di spazi ed aree pubbliche.

Al riguardo, il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (c.d. canone O.) è stato istituito dall'art. 63 del d. Igs. 15 dicembre 1997, n. 446 (come modificato dall'art. 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448), che, al primo comma, prevede che: "I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52, escludere l'applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52, prevedere che l'occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggetta in sostituzione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo alto di concessione in base a tariffa (il citato articolo attribuisce dunque ai Comuni la facoltà di escludere, nell’ambito dei rispettivi territori, l'applicazione della TO. e di prevedere e disciplinare con specifico regolamento che - in sostituzione di detta tassa - l'occupazione di spazi ed aree pubbliche sia soggetta al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa CO..

Il canone per I' occupazione di aree pubbliche - CO. - va tuttavia considerato ( v. S.U. n. 61/2016) come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo per la medesima occupazione (TO.), in quanto configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un'area o spazio pubblico, tanto che è stato statuito (S.U ordinanza n. 12167 del 2003 e n. 14864 del 2006 n. 14864, sentenza n. 1239 del 2005) che la giurisdizione sulle relative controversie spetti rispettivamente al giudice ordinario e al giudice tributario, stante la possibile coesistenza dei due obblighi per effetto dell' art. 31, comma 20, della legge n. 448 del 1998 che, nel modificare il comma 1 dell'art. 63 del D.Lgs. n. 446 del 1997, ha stabilito che i comuni possono, adottando appositi regolamenti, escludere l'applicazione nel proprio territorio della TO.", e, in alternativa all'applicazione di tale tributo, 2 "prevedere che l'occupazione, sia permanente che temporanea, degli spazi e delle aree, elencati nella norma sostituita, sia assoggettata ad un canone di concessione (CO.) determinato in base a tariffa". Successivamente la questione della giurisdizione è stata superata dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 che, con l'art. 3 bis, 2., lett. b), ha aggiunto al comma 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 - già peraltro sostituito dall’art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, ma, come detto, senza incidenza sulle controversie aventi oggetto la debenza del canone per l'occupazione dì spazi ed aree pubbliche (CO.): - il seguente periodo: "Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni".

Tuttavia, dato atto della diversa natura giuridica del CO. rispetto alla TO. innanzi richiamata, il giudice delle leggi, con sentenza n. 64 del 2008, ha dichiarato l'incostituzionalità dell’art. 3 bis, 2, lett. b), della legge n. 248 del 2005, sì che è stato ristabilito che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (CO.) (S.U. 28161 del 2008, 8994 del 2009, 21950 del 2015).

Perciò, stabilita l'oggettiva differenza fra CO. e TO. derivante dalla diversità del titolo che ne legittima l'applicazione - da individuarsi, rispettivamente, per la prima nel fatto materiale dell'occupazione del suolo pubblico, e per il secondo in un provvedimento amministrativo, effettivamente adottato o fittiziamente ritenuto sussistente, di concessione dell'uso esclusivo o speciale di detto suolo - deve senz'altro escludersi la natura di tributo del Canone O..

Ora, anche se tale occupazione fosse stata principalmente esercitata nell'ambito di un rapporto di natura concessoria, ciò non comporta che il rapporto esplica - per quanto concerne l'adempimento della prestazione di pagamento del canone stesso, e la realizzazione del relativo credito da parte dell'amministrazione concedente - solo effetti meramente privatistici. Si verte infatti di fattispecie differente da quella tributaria di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, posto che l'utilizzo di spazi ed aree pubbliche, ancorché finalizzato all’affissione di cartelloni pubblicitari, ha trovato nella specie concreta disciplina secondo lo schema dell'entrata patrimoniale mediante determinazione di un canone tariffario. Opzione, quest'ultima, certamente legittima anche prima che la materia venisse espressamente demandata all'autonomia regolamentare - non impositiva - dell'ente locale, D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 63; e che venisse legislativamente ammessa la possibilità per il Comune di porre la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche in rapporto di alternatività con la previsione di un canone concessorio (L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 63).

Nè può condividersi la tesi del ricorrente secondo cui la natura pubblicistica del credito in oggetto deriverebbe, di per sè, dalla natura pubblicistica del rapporto generatore, instauratosi con l'emanazione del provvedimento concessorio. Va infatti considerato che nemmeno il carattere pubblicistico del rapporto di concessione determina, sempre ed in ogni caso, la natura pubblicistica delle posizioni soggettive in esso coinvolte e, di conseguenza, la necessaria attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione amministrativa (Cass. n. 582/2017).

Costituisce infatti principio assodato (Cass. SSUU 24902/11; 20939/11; 13903/11) che, in materia di concessioni amministrative, va operata la distinzione tra le controversie - su indennità, canoni od altri corrispettivi - aventi contenuto meramente patrimoniale, e senza che assuma in esse rilievo un potere di intervento della P.A. a tutela di interessi generali (riservate dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, comma 2, alla giurisdizione del giudice ordinario), e le controversie (attratte alla giurisdizione amministrativa) che invece coinvolgano la verifica dell'azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero investano l'esercizio di poteri discrezionali- valutativi nella determinazione del canone e nell'esercizio di altre potestà pubbliche. Nel caso in esame si verte pacificamente di mera realizzazione - esecuzione dì un'entrata patrimoniale svincolata dall'esercizio di siffatte potestà.

Peraltro, la tesi giurisprudenziale (Cass. n. 18769/2017) secondo la quale il canone O. e la determinazione dello stesso non sono suscettibili di trattativa privata né tantomeno può essere oggetto di rinuncia, non implica la natura tributaria del credito, la quale deriva dalla mancanza del rapporto sinallagmatico tra le parti, nonché dalla doverosità della prestazione e dal collegamento con la spesa di natura pubblica; mentre il nomen juris di tariffa si pone come dicitura neutra, essendo utilizzata dal legislatore indifferentemente anche per le entrate di natura tributaria.

Essa si scontra, tra l'altro, con la mancata previsione, da parte del Comune interessato, con atto normativo secondario, dell'obbligatorietà del pagamento di questo corrispettivo, che l'amministrazione comunale avrebbe dovuto allegare dimostrando di aver dato attuazione al d.lgs. n. 446/97.

Peraltro, la stessa Corte Costituzionale con sentenza n. 141/2009 nell'affermare la natura tributaria della CIMP, a fronte del quale non vi è alcuna controprestazione da parte del Comune che, semplicemente, autorizza iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente, ne evidenzia la differenza natura rispetto al CO., la quale ha natura di un corrispettivo versato a fronte dell'uso di un bene del demanio o del patrimonio indisponibile del Comune.

4. Ciò posto, non è in discussione il diritto dell’amministrazione comunale di procedere alla riscossione coattiva dell'importo in oggetto mediante ruolo affidato ai concessionari, come previsto in via generale dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17. Vertendosi però, appunto, di entrata patrimoniale riconducibile ad una prestazione di tipo privatistico, l'iscrizione a ruolo è subordinata - ex art. 21 D.Lgs. cit. - all'ottenimento da parte del Comune, secondo le ordinarie procedure di realizzazione del credito tra privati, di un titolo esecutivo; nella specie mancante (Cass. n. 582/2017).

5. In assenza di attività difensiva della curatela, nulla va liquidato per le spese.

 

P.Q.M.

 

- Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.