Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 aprile 2016, n. 6345

Tributi - Irpef - Istanza di rimborso - Silenzio-rifiuto

 

Svolgimento del processo

 

1. P.S. proponeva ricorso dinanzi alla C.T.P. di Roma avverso il silenzio-rifiuto formatosi su sua istanza di rimborso della somma di lire 10.574.446.

Premesso di essere stato assunto da A. S.p.A. in data 1/4/1969 e di avere cessato il rapporto di lavoro il giorno 22/2/1997, aveva dedotto il contribuente che la società aveva calcolato in modo non corretto, ai fini della tassazione separata, l'aliquota a cui aveva assoggettato il TFR maturato ai fini IRPEF, poiché aveva computato, ai fini della determinazione dell'aliquota, anche la tredicesima mensilità e l'indennità operativa (quattordicesima mensilità), in contrasto con il dettato della legge n. 482 del 1985, art. 2, comma 2, secondo cui «se per il lavoro prestato anteriormente alla data del 19 maggio 1982, il trattamento di fine rapporto risulta calcolato in misura superiore ad una mensilità della retribuzione annua per ogni anno preso a base di commisurazione, ai fini della determinazione dell'aliquota di tassazione non si tiene conto dell'eccedenza».

L'adita C.T.P. rigettava il ricorso.

Con sentenza depositata in data 1/10/2008 la C.T.R. Lazio accoglieva l'appello proposto dal contribuente ritenendo di aderire al principio affermato da Cass. Civ., Sez. 5, n. 15674 del 12/08/2004 (Rv. 575522), secondo cui «in tema di IRPEF sul trattamento di fine rapporto di lavoro dipendente, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 14, comma 3, come modificato dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 2, comma 3, nelle ipotesi in cui, per il lavoro prestato anteriormente alla data di entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297 (che ha introdotto il nuovo sistema di determinazione del TFR in via di modifica dell'art. 2120 c. c.), l'indennità di anzianità risulti calcolata in misura superiore a una mensilità della retribuzione annua per ogni anno di servizio preso a base di commisurazione ai fini della determinazione dell'aliquota, l'eccedenza - da qualunque emolumento prodotta e in concreto pari alla differenza tra l'importo effettivo della quota annua di indennità maturata e quella corrispondente a una sola mensilità della retribuzione annua - non concorre a formare l'importo preso a base ai fini della determinazione del reddito di riferimento e della conseguente aliquota secondo i criteri introdotti dalla nuova disciplina tributaria delle indennità di fine rapporto di lavoro di cui alla legge n. 482 del 1985».

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l'Agenzia delle entrate, affidato ad un motivo; il contribuente non ha svolto difese nella presente sede.

 

Motivi della decisione

 

3. Con l'unico motivo l'Agenzia, denunziando - ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. - violazione e falsa applicazione dell'art. 14, comma terzo, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, (nel testo applicabile ratione temporis, sostituito dall'art. 2 legge 26 settembre 1985, n. 482), ha dedotto che, nella detta disposizione, con la locuzione «mensilità della retribuzione annua», il legislatore aveva inteso riferirsi ad una quota pari ad una mensilità, vale a dire ad un dodicesimo dell'intera retribuzione globale di fatto percepita nell'anno, e non semplicemente ad una mensilità della paga base riferita ad un mese di prestazione; siffatta interpretazione era coerente con la nuova disciplina del T.F.R. di cui alla legge n. 297 del 1982 e con la necessaria applicazione di una identica base di calcolo, da prendere in considerazione nella sua unitarietà, sia ai fini della determinazione dell'imponibile, sia a quelli della fissazione dell'aliquota.

Il motivo è fondato.

Non vi è motivo per discostarsi dal principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «in tema di IRPEF, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 14, come modificato dalla legge 26 settembre 1985, n. 482, art. 2, comma 3, il trattamento di fine rapporto, ai fini della determinazione dell'aliquota applicabile, per il lavoro dipendente prestato in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 29 maggio 1982, n. 297, deve essere calcolato, per ciascun anno preso a base di commisurazione, in misura pari non già ad una mensilità della paga base riferita ad un mese di prestazione, ma ad un dodicesimo dell'intera retribuzione globale di fatto percepita nell'anno, comprensiva di ogni elemento retributivo aggiuntivo a carattere continuativo (e quindi anche della tredicesima e della quattordicesima mensilità): tale disposizione, la quale non impedisce di provare che nel regime previgente la normativa contrattuale di settore escludesse i predetti elementi dal calcolo dell'indennità di anzianità, costituisce infatti la traduzione sul piano tributario dei criteri applicati in materia giuslavoristica a seguito della riformulazione dell'art. 2120 c.c., da parte della citata legge n. 297 del 1982, la quale ha uniformato la determinazione del trattamento di fine rapporto per tutte le categorie di lavoratori dipendenti del settore privato» (Cass., Sez. 5, n. 9000 del 16/04/2007, Rv. 597063; v. anche le successive Cass. Sez. 5, n. 26487 del 17/12/2009, Rv. 610645; Sez. 6 - 5, Ord. n. 9575 del 12/06/2012, Rv. 622955; Sez. 5, n. 21449 del 10/10/2014; Sez. 5, n. 21361 del 21/10/2015; per il periodo precedente, v. Cass. Sez. 5, n. 13801 del 27/06/2005, Rv. 582283).

La sentenza della C.T.R. non si è uniformata al detto principio e va, quindi, cassata; non essendo poi necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo.

In considerazione dell'evoluzione giurisprudenziale in argomento si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese di lite relative ai giudizi di merito.

Le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo;

Dichiara compensate tra le parti le spese di lite relativi ai giudizi di merito:

Condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 1.500,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.