Redditometro, la prova dei redditi grava sul contribuente

In materia di redditometro, il contribuente per difendersi dall’accertamento sintetico del Fisco deve fornire idonea prova documentale. È quanto ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 26 febbraio 2019, n. 5688.

L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva respinto il suo appello contro la decisione della CTP per aver accolto l'impugnazione del contribuente avverso l'avviso di accertamento IRPEF.
Per l’Amministrazione Finanziaria, la CTR avrebbe erroneamente sostenuto come, ai fini del superamento della presunzione, sarebbe stato sufficiente provare, per l'anno considerato, la disponibilità idonea a giustificare il tenore di vita sinteticamente accertato.
La Suprema Corte accoglie tale motivo di ricorso.
In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici di legge, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l'Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all'esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l'accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell'esistenza di quei fattori, l'onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
La CTR ha erroneamente negato valore presuntivo ai predetti indici, che l'Ufficio potrebbe invece limitarsi ad invocare, in attesa della prova contraria.
La Cassazione ha chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, specificando che "a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l'accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che "l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione".
In sostanza, la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della "durata" del relativo possesso, previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi.
Nella specie tale prova, come emerge dalla sentenza della CTR, appare del tutto generica (o comunque in tal modo è stata recepita o valutata dai giudici di merito), allorquando si afferma che "sono state effettuate operazioni di disinvestimento di depositi mobiliari il cui ricavato è confluito su un conto corrente bancario utilizzato per provvedere al mantenimento della famiglia del ricorrente".