"Subordinazione" e "autonomia": qualificazione del rapporto di lavoro

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella recente sentenza del 15 ottobre 2018, n. 25711.

IL FATTO
Nella specie, la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato le domande di alcuni lavoratori tese ad ottenere l'accertamento della illegittimità dei termini apposti ai contratti, con tutte le conseguenze in ordine alla costituzione dei rapporti a tempo indeterminato.
Il giudice di secondo grado, in particolare, ha accertato che ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa erano seguiti contratti di lavoro a progetto (ai sensi dell'ormai abrogato art. 61 d.lgs. n. 276 del 2003); che le modalità di svolgimento del rapporto erano compatibili con tale tipologia contrattuale; che negli aspetti formali i contratti non presentavano profili di illegittimità; che con specifico riferimento al progetto era ben individuato il risultato da conseguire che era, necessariamente, correlato all'attività ed ai fini della Fondazione.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Con ricorso in Cassazione, i lavoratori, nel rammentare di aver lavorato alle dipendenze della Fondazione in virtù di vari contratti - prima con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa poi due contratti di lavoro autonomo ai sensi dell'art. 2222 cod. civ. e da ultimo un contratto a progetto anche prorogato - evidenziavano che, in tutti i casi il rapporto si era svolto con le caratteristiche proprie della subordinazione. Secondo gli stessi lavoratori, dunque, né il giudice di primo grado né, poi, la Corte di appello, avevano ammesso la prova articolata e finalizzata a dimostrare l'esistenza in concreto degli allegati indici della subordinazione.
Orbene, nel pronunciarsi sul caso, gli Ermellini osservano che, come affermato in più occasioni, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari - come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale - che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione. Ciò vale a maggior ragione nel caso in cui le parti abbiano convenuto un determinato assetto del rapporto tra loro intercorrente, nel qual caso è necessario dimostrare che l'essenziale elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nel concreto svolgimento del rapporto medesimo. La formale qualificazione delle parti in sede di conclusione del contratto individuale non impedisce di accertare il comportamento tenuto dalle parti stesse nell'attuazione del rapporto di lavoro, al fine della conseguente qualificazione giuridica dello stesso come lavoro autonomo ovvero lavoro subordinato. Tuttavia - continuano i Giudici - "il nomen juris adoperato dai contraenti, sfornito di un valore assoluto e dirimente, non può essere del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario, quando si riveli difficile tracciare il discrimine tra l'autonomia e la subordinazione".
Fermo il rispetto dei criteri su indicati che delineano il concetto di subordinazione e lo distinguono da figure affini, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il Giudice del merito ad includere il rapporto nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o autonomo costituisce accertamento di fatto ed è censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto. Appartiene a detto Giudice anche la valutazione dei fatti che concretano gli indici sintomatici della subordinazione, al fine di esprimere un giudizio complessivo dei medesimi che sintetizzi le ragioni per le quali da essi si sia tratto il convincimento circa la sussistenza o meno della subordinazione.
Ciò premesso, la Suprema Corte rileva che, nell'escludere l'esistenza di un rapporto di lavoro caratterizzato dal vincolo della subordinazione, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati avendo verificato, in esito all'esame degli accordi intercorsi tra le parti e delle concrete modalità di svolgimento della prestazione, che non era risultato provato quello stabile inserimento nell'organizzazione produttiva con assoggettamento al potere organizzativo del datore di lavoro dando atto di aver preso in esame anche quegli elementi accessori, quali l'orario, i controlli sulla qualità del servizio reso, l'obbligo di indossare un abbigliamento consono ed un badge di identificazione, sottolineando che si trattava di regole minime compatibili con la natura autonoma della prestazione.