Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 gennaio 2018, n. 2747

Reati tributari - IVA - Omesso versamento oltre la soglia di punibilità - Sequestro preventivo - Somme giacenti su conto corrente bancario - Qualificazione di pegno irregolare - Ricavi di vendita di titoli obbligazionari della società - Effettiva prorpietà della banca - Dissequestro

 

Ritenuto in fatto

1. Il P.M. di Roma ha proposto ricorso avverso l'ordinanza depositata il 5 giugno 2017 con cui il Tribunale del riesame di Roma ha accolto l'appello proposto dalla Banca Popolare del Lazio Soc. Coop., quale terzo interessato, disponendo la revoca del decreto di sequestro preventivo della somma di 251.069,83 emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.

Segnala il ricorrente che B.S. è indagato del delitto di cui all'art. 10 ter del d.lvo 74/2000 perché, quale legale rappresentante pro tempore della G.E. SpA, ometteva di versare, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione per l'annualità 2013, per un ammontare di euro 4.848.030,73.

La somma di euro 251.069,83, all'atto dell'esecuzione del sequestro, fu rinvenuta su un conto corrente intestato alla società G.E. con la dizione «saldo positivo quale escussione della garanzia a favore della Banca Popolare del Lazio».

Secondo il Tribunale di Roma, tale somma era giacente sul conto corrente della società solo in via provvisoria ed era divenuta di proprietà della Banca Popolare del Lazio perché ricavata dalla vendita operata dall'istituto di credito di titoli obbligazionari che il G.E. aveva conferito in pegno irregolare alla banca.

Secondo il p.m. il provvedimento impugnato è affetto, ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., da violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli art. 321 e 322 bis cod. proc. pen., in relazione all'art. 1851 cod. civ.

In estrema sintesi, il p.m., in base al testo dell'art. 1851 cod. civ., della lettera di pegno, della presenza del codice isin, della previsione delle modalità di vendita, delle clausole, ritiene che il pegno debba essere qualificato quale regolare e non irregolare, sicchè delle somme non poteva disporsi il dissequestro perché ancora nella disponibilità della società e quindi suscettibile di confisca diretta.

2. Il terzo interessato ha depositato memoria con la quale chiede il rigetto del ricorso del p.m.; oltre ad osservare che il ricorso contiene argomentazioni di merito più che di legittimità, la difesa del terzo interessato ha ribadito la natura di pegno irregolare e la legittimità del dissequestro.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Va premesso che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che è consentito, nei confronti di una persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica (cfr. la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 10561 del 2014, Gubert, Rv. 258647).

Sempre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito (Cass. Sez. U, n. 31617 del 2015, Lucci, Rv. 264436) e che, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, il sequestro delle somme, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificato come sequestro cd. diretto e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto del vincolo preventivo e il reato (Cass. Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, cit., Rv. 264437).

2. Orbene, nel caso in esame, la condotta ascritta a B.S., quale legale rappresentante pro tempore della "G.E. SpA, ex art. 10 ter del d.lvo 74/2000, è quella di aver omesso di versare, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione per l'annualità 2013, per un ammontare di euro 4.848.030,73 (in Roma, il 27.12.2014).

Dunque, il profitto derivante dal reato relativo all'omesso versamento dell'acconto dell'Iva, pari alla somma non versata (oltre interessi e sanzioni) si è formato nel 2013, allorchè le somme sono state incassate, inserite nella dichiarazione e non versate.

Tenuto conto della data del commesso reato, le somme di denaro giacenti sul conto corrente della società, sottoposte a sequestro e poi restituite alla Banca Popolare del Lazio, non concretizzano, allo stato degli atti, il profitto del reato, consistente nel vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito, né il cd. profitto accrescitivo derivante dal reato tributario; di conseguenza, le somme di denaro non potranno essere, all'esito del giudizio, sottoposte a confisca diretta e di conseguenza non possono essere sottoposte a sequestro preventivo.

Ed invero, deve rilevarsi che dal provvedimento impugnato risulta che i titoli B.P.L., per un valore nominale di euro 250.000, furono sottoscritti in data 9 marzo 2012, con costituzione di pegno in favore della Banca Popolare del Lazio a garanzia dell'apertura di credito in conto corrente e della sovv.ne chirografaria a medio termine di 36 mesi di euro 300.000 concessa a G.E..

Dopo le richieste del 13 gennaio 2016 di rientro da parte della Banca dell'esposizione debitoria pari ad € 369.757,36, il 16 maggio 2016, la Banca Popolare del Lazio ha proceduto escussione della garanzia pignoratizia vendendo i titoli dati in garanzia. La somma incassata è stata poi versata con una imputazione provvisoria sul conto corrente dell'indagato.

Orbene, se la sottoscrizione dei titoli è avvenuta il 9 marzo 2012, ne deriva che il relativo valore è entrato nel patrimonio della società prima dalla data di commissione del reato: in sostanza, i titoli di credito non possono essere stati acquistati con i proventi del delitto contestato, entrati nel patrimonio della società solo nel corso del 2013.

Nel caso in esame vi è dunque una traccia documentale che esclude che le somme di denaro giacenti sul conto corrente della società costituiscano il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito, perché costituiscono il prezzo della vendita di beni - i titoli di credito - sottoscritti ben prima della commissione del reato.

Ne deriva che è del tutto irrilevante stabilire se la garanzia concretizzi un pegno irregolare o regolare, perché in ogni caso delle somme di denaro non può procedersi al sequestro, non costituendo beni suscettibili di confisca diretta.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.