Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TORINO - Ordinanza 27 gennaio 2016

Straniero - Straniero legalmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno dieci anni - Concessione dell'assegno sociale - Requisito della titolarità della carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo - Legge 23 dicembre 2000, n. 388 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)"), art. 80, comma 19

 

La ricorrente è cittadina albanese, nata in Albania il 1° agosto 1936 e legalmente soggiornante nel territorio italiano in via continuativa dal 7 dicembre 2001, con permesso di soggiorno rilasciato per motivi familiari ossia per coesione con il figlio cittadino albanese H.E. (circostanza confermata dalla Questura di Torino, ufficio immigrazione). 

La stessa negli anni 2012 e 2013 ha percepito l'importo di € 1240 annui a titolo di pensione estera erogata dallo Stato albanese; nell'anno 2014 ha percepito l'importo di € 95,46 mensili per il medesimo titolo (1) .

 In data 19 marzo 2014 presentava all'I.N.P.S. domanda di assegno sociale, che veniva respinta in quanto «la signora non è in possesso della carta di soggiorno, divenuto ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, requisito necessario alla concessione della prestazione»; il ricorso amministrativo che veniva proposto avverso tale decisione veniva rigettato per i medesimi motivi. 

Proponeva quindi azione giudiziaria per ottenere l'accertamento del proprio diritto a godere dell'assegno sociale e la condanna dell'I.N.P.S. al pagamento con decorrenza dal 1° aprile 2014.

 Si costituiva l'Istituto il quale si difendeva nel merito, chiedendo peraltro il rigetto della domanda in quanto la ricorrente non è munita né della carta di soggiorno né del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

 Su sollecitazione della parte ricorrente, appare necessario sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001) con riferimento all'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, legge 8 agosto 1995, nella parte in cui subordina il diritto al conseguimento di tale provvidenza alla titolarità della carta di soggiorno («Ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concesse alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni»).

1) Rilevanza.

 La rilevanza della norma indicata è evidente in quanto è l'unica ostativa al diritto della ricorrente. La medesima ha infatti dimostrato di possedere i requisiti reddituali (2) e di età (78 anni al momento della domanda amministrativa) per ottenere il pagamento dell'assegno sociale: prova ne sia che l'I.N.P.S., in sede amministrativa, ha respinto la domanda proprio sulla base della mancanza di titolarità di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

 La ricorrente ha inoltre dimostrato di essere soggiornante in Italia da più di 10 anni, legalmente e in modo continuativo, attraverso la documentazione acquisita dalla Questura e ciò già alla data della presentazione della domanda amministrativa.   Si osserva quindi che, sulla base dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (norma su cui si chiede lo scrutinio di costituzionalità), la domanda giudiziale non potrebbe che essere rigettata, visto il chiaro tenore di tale disposizione.  Di converso, qualora la norma fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, il ricorso della signora H. sarebbe accolto, avendo costei dimostrato (come appena rilevato) di possedere i requisiti fondanti il diritto al percepimento dell'assegno sociale.

2) Non manifesta infondatezza.

In ordine al requisito della non manifesta infondatezza, occorre premettere che la Corte costituzionale si è già pronunciata in merito alla questione di legittimità costituzionale presentata con l'odierna ordinanza nella sentenza n. 22/2015, dichiarando però la manifesta inammissibilità della questione sollevata dalla Corte di cassazione («Va preliminarmente rilevato che l'ordinanza rimessa dalla Corte di cassazione presenta insuperabili carenze nella motivazione, tanto in ordine all'esatta e specifica individuazione dei parametri costituzionali che si assumono violati, quanto in merito alle ragioni della non manifesta infondatezza, ponendo, dunque, una questione che va dichiarata manifestamente inammissibile. Il giudice rimettente si limita, infatti, ad operare un semplice rinvio, per relationem, all'eccezione sollevata dalla parte ricorrente e ad una rievocazione, peraltro generica, dei principi posti a base di numerose pronunce di questa Corte relativamente alla stessa materia») senza quindi procedere nel merito all'esame della legittimità costituzionale della norma. 

La non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata trova riscontro nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale e in particolare:

 Sentenza n. 306/2008: dove afferma che «sia manifestamente irragionevole subordinare l'attribuzione di una prestazione assistenziale, quale l'indennità di accompagnamento ... al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l'altro, titolarità  di un reddito. Tale irragionevolezza incide sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili e, come nel caso, parziali, alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza. Ne consegue il contrasto delle disposizioni sopra censurate non soltanto con l'articolo 3 Cost., ma anche con gli artt. 32 e 38 Cost., nonché - tenuto conto che quello alla salute è diritto fondamentale della persona - con l'articolo 2 della Costituzione».

Ivi si è precisato che è possibile subordinare l'erogazione di determinate prestazioni alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; ma «una volta, che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini»; 

Sentenza n. 11/2009: con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale: dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e poi sostituito dall'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, nella parte in cui escludono che la pensione di inabilità, di cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del decreto legislativo n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; 

Sentenza n. 187/2010: in tale sentenza è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, legge n. 388/2000, nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell'assegno mensile di invalidità, di cui all'art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118. La Corte ha precisato che «ove si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al «sostentamento» della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo»: tale affermazione appare conferente con la previdenza oggi considerata (assegno sociale), la quale è per l'appunto destinata a far fronte alle esigenze di sostentamento dì chi possiede un reddito particolarmente basso;

Sentenza n. 40/2013: collocandosi nel medesimo solco, la Corte costituzionale ha affermato che «ove si tratti, come nei casi allora delibati, di provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile si trova inserito - qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all'art. 14 della CEDU, avuto riguardo alla interpretazione rigorosa che di tale norma è stata offerta dalla giurisprudenza della Corte europea»;

 Sentenza n. 22/2015: in tale pronuncia la Corte costituzionale, nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 80, comma 19, nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione e dell'indennità per ciechi civili, afferma «ove così non fosse, d'altro porta, specifiche provvidenze di carattere assistenziale - inerenti alla sfera di protezione di situazioni di inabilità gravi e insuscettibili di efficace salvaguardia al di fuori degli interventi che la Repubblica prevede in adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà (art. 2 Cost.) - verrebbero fatte dipendere, nel caso degli stranieri extracomunitari, da requisiti di carattere meramente "temporale", del tutto incompatibili con l'indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni: i quali requisiti ineluttabilmente finirebbero per innestare nel tessuto normativo condizioni incoerenti e incompatibili con la natura stessa delle provvidenze, generando effetti irragionevolmente pregiudizievoli rispetto al valore fondamentale di ciascuna persona»;

Sentenza n. 230/2015: con riferimento alla pensione di invalidità civile per sordi e all'indennità di comunicazione, è stata ribadita l'illegittimità della disposizione censurata trattandosi «di prestazioni economiche peculiari, che si fondano sull'esigenza di assicurare - in una dimensione costituzionale orientata verso la solidarietà come dovere inderogabile (art. 2 Cost.), verso la tutela del diritto alla salute anche nel senso dell'accessibilità ai mezzi più appropriati per garantirla (art. 32 Cost.), nonché verso lo protezione sociale più ampia e sostenibile (art. 38 Cost.) - un ausilio in favore di persone svantaggiate, in quanto affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti per l'ordinaria vita di relazione e, di conseguenza, per le capacità di lavoro e di sostentamento; benefici erogabili, quanto alla pensione, in presenza di condizioni reddituali limitate, tali, perciò, da configurare la medesima come misura di sostegno per le indispensabili necessità di una vita dignitosa. La discriminazione che disposizione de qua irragionevolmente opera nei confronti dei cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti, con l'attribuzione di un non proporzionato rilievo alla circostanza della durata della permanenza legale nel territorio dello Stato, risulta, d'altra parte, in contrasto con il principio costituzionale - oltre che convenzionale di eguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.)». 

La normativa oggi in esame, infatti, subordina per i soli stranieri il diritto al godimento dell'assegno sociale alla titolarità della carta di soggiorno (oggi permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) in aggiunta alla «condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale», così come previsto dall'art. 20, comma 10, legge n. 133/2008. 

I precetti costituzionali che si assumono poter essere violati sono, in particolare:

 l'articolo 3, in quanto si introduce una ingiustificata disparità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini stranieri, entrambi legalmente soggiornanti nel territorio nazionale, laddove soltanto per i secondi è previsto l'ulteriore requisito di essere in possesso della carta o del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo.

 Sempre il medesimo articolo sarebbe violato, sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto non appare ragionevole subordinare il diritto al sostentamento non (solo) al requisito del legale soggiorno di almeno 10 anni in Italia, ma alla titolarità della carta o del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Appare infatti un'ulteriore ingiustificata discriminazione quella che si verrebbe a creare tra cittadini stranieri legalmente soggiornanti in Italia e titolari di carta o permesso di soggiorno CE di lungo periodo, e cittadini stranieri in ipotesi legalmente soggiornanti per il medesimo periodo ma privi di tale certificazione; 

articolo 10, comma 2, in combinato disposto con l'articolo 14 della Convenzione europea dei Diritti dell'uomo, che vieta ogni discriminazione in merito all'origine nazionale; la norma introduce, al contrario, un trattamento diversificato tra cittadini italiani e stranieri in ordine al godimento del diritto all'assegno sociale, subordinandolo solo per questi ultimi al possesso della carta o del permesso di soggiorno CE di lungo periodo; 

l'articolo 38, in quanto il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale del cittadino straniero, legalmente soggiornante in Italia da più di 10 anni (parametro che appare ragionevole anche alla luce della citata giurisprudenza costituzionale), viene limitato dal possesso di una certificazione di tipo amministrativo.

Per quanto finora esposto, le critiche in merito all'incostituzionalità della norma non appaiono manifestamente infondate e quindi è necessario che la questione sia rimessa alla Corte costituzionale.

 

(1) Circostanza provata documentalmente: documento 7 di parte ricorrente.

(2) Sopra evidenziati: ha conseguito un reddito di € 1240 annui per  gli anni 2012 e 2013 e un reddito mensile di € 95,46 per l'anno  2014, in tutti i casi ponendosi al di sotto del limite reddituale  previsto dalla legge al fine di godere dell'assegno sociale. La  norma che prevede il beneficio sancisce che «con effetto dal 1°  gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative  maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che  abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali  di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non  reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per  il 1996, a lire 6.240.000, denominato "assegno sociale". (...)»  (legge n. 335/1995, art. 3, comma 6). 

 

P.Q.M.

 

visto l'art. 23 legge n. 53/1987:

accertata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, sospende il giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale affinché la stessa si pronunci, adottando i provvedimenti di competenza, in merito alla costituzionalità dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per contrasto con gli artt. 3, 10, comma 2 (con riferimento all'art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo) e 48 della Costituzione;

 manda alla cancelleria di notificare il presente provvedimento alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri nonché di comunicarlo ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

---

Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 21 dicembre 2016, n.51.