Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 novembre 2017, n. 26941

Riscossione - Cartella di pagamento - Controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 - Liquidazione imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente - Presupposti della pretesa fiscale - Conoscibilità - Onere di motivazione assolto

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 - bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 1124/17/2015, depositata il 4 dicembre 2015, la CTR della Campania rigettò l’appello proposto dalla F.lli G. Società cooperativa e dal sig. M. S. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia Sud S.p.A. avverso la sentenza della CTP di Avellino, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso cartella di pagamento emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54 del d.P.R. n. 633/1972 per IRES, IVA ed altro.

Avverso la sentenza della CTR i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

L’intimata Equitalia Sud S.p.A. non ha svolto difese.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano «violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360, n. 3, 4 e 5, c.p.c.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e 36 d. lgs. 546/1992. Violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.. Omessa e/o insufficiente motivazione in ordine alla violazione del principio di trasparenza circa il calcolo degli interessi».

Il motivo deve ritenersi inammissibile. Esso, articolato attraverso una pluralità di censure per violazione di legge e vizio di motivazione, quest’ultima, peraltro, riferita a motivazione in diritto e rapportata alla vecchia formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. non consente in alcun modo un esame ripartito di ciascuna censura che possa salvaguardarne l’ammissibilità secondo quanto indicato da Cass. sez. unite 6 maggio 2015, n. 9100.

Viceversa il secondo motivo, pur esso impropriamente articolato attraverso una pluralità di censure per violazione di legge e vizio di motivazione e riferito al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., consente d’intendere comunque la censura fondamentalmente riferita al vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 12 e 25 del d.P.R. n. 602/1973 e 7 della l. n. 212/2000, cd. Statuto del contribuente).

Si dolgono, infatti, essenzialmente, i ricorrenti dell’erroneità in diritto della pronuncia impugnata nella parte in cui, confermando la decisione di primo grado, ha disatteso il motivo di ricorso col quale si era dedotta l’illegittimità della cartella per difetto di motivazione in ordine al calcolo degli interessi.

Il motivo è comunque infondato.

La sentenza impugnata si è attenuta, infatti, nel rigetto dell’appello dei contribuenti, ai principi di diritto affermati dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte in materia ed ai quali il collegio ritiene di conferire ulteriore continuità, secondo cui, laddove, come nella fattispecie in esame, la cartella emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, con la quale siano richiesti interessi per ritardato od omesso pagamento, costituisca mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti da contribuente, quest’ultimo si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto o le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 7 giugno 2017, n. 14236; Cass. sez. 6-3, ord. 21 febbraio 2017, n. 4376; Cass. sez. 5, ord. 4 agosto 2011, n. 16893).

Né i ricorrenti hanno prospettato elementi idonei a giustificare un mutamento del succitato indirizzo.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio, nel rapporto processuale tra i ricorrenti e la controricorrente Agenzia delle Entrate, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla va statuito riguardo alle spese nel rapporto processuale tra i ricorrenti e l’intimata Equitalia Sud S.p.A., che non ha svolto difese.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.