Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 novembre 2017, n. 26873

Somme trattenute a carico del lavoratore per ritenute fiscali e contributi - Diritto alla ripetizione degli importi non versati dal datore di lavoro - Territori colpiti dal sisma - Pagamento sospeso per effetto dello stato d’emergenza - Condono - Importo retributivo decurtato delle trattenute il cui versamento sia stato effettivamente adempiuto dal datore di lavoro

Fatti di causa

B.A., già dipendente della società E. s.p.a, dopo il collocamento al riposo chiese al Tribunale di Catania l'accertamento del diritto alla ripetizione delle somme trattenute a suo carico per ritenute fiscali e contributi dalla datrice di lavoro nel corso del rapporto. In particolare si era trattato di : a) tributi e contributi relativi agli anni 1990 - 1991 - 1992 (il cui pagamento era stato sospeso per effetto dell'Ordinanza del Ministero per il coordinamento della Protezione civile n. 2057 del 21.12.1990; b) somme (comprese quelle sospese) decurtate dal trattamento di fine rapporto per versamento di ritenute fiscali effettuato dalla datrice di lavoro all'erario; c) quota dei contributi condonata nel 2003 ex art. 9, comma 17, della legge n. 289/2002 per i soggetti colpiti dal sisma del 13 - 16/12/1990.

Accolta la domanda e condannata la E.. s.p.a. al pagamento di € 22.265,75, proposto appello dalla stessa società datrice di lavoro, la Corte d'appello di Catania (sentenza 9.3.2011) ha accolto parzialmente  l'impugnazione riducendo la condanna ad € 18.359,69, una volta detratta la somma riconosciuta dal primo giudice relativamente al 90% dei contributi versati dalla società per € 3906,06.

Propone ricorso la E. s.p.a con quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso il B., il quale chiede in via incidentale la cassazione della sentenza nella parte in cui non gli è stato riconosciuto il diritto alla restituzione delle somme trattenute dalla società a titolo di contributi.

 

Ragioni della decisione

 

1. Col primo motivo, dedotto per violazione dell'art. 164, comma 4, c.p.c. e per vizio di motivazione, la ricorrente principale ribadisce l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per asserita genericità della domanda. In particolare la ricorrente rinnova l'eccezione secondo cui gli elementi forniti dalla controparte non erano sufficienti a spiegare le ragioni sulle quali si fondava il preteso diritto alla restituzione del 90% degli importi non versati dalla datrice di lavoro; né, secondo tale tesi difensiva, i documenti prodotti rappresentavano dei validi titoli per la quantificazione delle somme oggetto di ripetizione, dal momento che era stato provato esclusivamente l'ammontare delle ritenute fiscali effettuate sulla retribuzione e non quello del 90% degli importi non versati dalla società.

1.a. Il motivo è infondato.

Invero, con motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici, la Corte territoriale ha spiegato che il primo giudice aveva correttamente rigettato l'eccezione deducendo che dalla lettura dell'atto di citazione si evincevano chiaramente i fatti posti a fondamento della domanda e gli elementi di diritto sui quali si fondava l'azione di ripetizione dell'indebito, al punto che la società era stata posta in condizione di esercitare compiutamente il suo diritto di difesa. La stessa Corte ha aggiunto che nemmeno la lamentata omissione dell'entità delle somme vantate comportava la nullità dell'atto di citazione, atteso che anche in difetto di quantificazione l'attore aveva indicato i titoli sui quali fondava la pretesa.

D'altra parte la genericità della presente censura, con la quale l'odierna ricorrente si limita a riproporre le eccezioni già formulate nel giudizio di merito, non consente di intravedere elementi utili a far ritenere che l'atto introduttivo del giudizio, così come adeguatamente valutato dalla Corte d'appello, fosse inidoneo allo scopo suo proprio di delimitazione della materia del contendere e di instaurazione di un corretto contraddittorio tra le parti in causa.

2. Col secondo motivo la difesa della E. s.p.a. denunzia la violazione di legge per errata interpretazione ed applicazione dell'art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, la violazione degli artt. 12 e 14 delle preleggi del codice civile e la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ., nonché il vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., assumendo che la normativa speciale sopra richiamata prevedeva la sospensione dei versamenti ed il condono solo per i soggetti tenuti al versamento e, quindi, solo per i datori di lavoro nella loro veste di sostituti di imposta e non anche per i lavoratori. Quindi, secondo tale assunto difensivo, per "destinatari dei provvedimenti agevolativi in materia di versamento delle somme dovute a titolo di tributi e contributi" vanno intesi esclusivamente i sostituti di imposta, unici destinatari dei benefici di sospensione previsti dall'Ordinanza ministeriale sopra citata del 21.12.1990 e conseguentemente gli stessi non sono tenuti a corrispondere ai dipendenti la quota Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) ed i contributi nella misura del 90% non versata all'Erario e all'Inps ai sensi dell'art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002.

2.a. Il motivo è infondato.

Invero, le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito si basano sulla condivisa interpretazione della normativa speciale di riferimento e dei principi generali in materia di retribuzioni / in base alla quale il lavoratore ha diritto a ricevere l'intero importo retributivo che va decurtato delle trattenute fiscali e previdenziali dovute per legge e il cui versamento sia stato effettivamente adempiuto dal datore di lavoro, il quale funge solo da tramite, quale sostituto di imposta, per il loro pagamento; per cui le somme trattenute non diventano di proprietà di quest'ultimo, con la conseguenza che, una volta venuto meno per effetto del condono l'obbligo di versare le imposte ed i contributi gravante sul datore, il medesimo non ha più idoneo e valido titolo giuridico per trattenere il residuo che deve essere restituito al lavoratore.

A tale riguardo questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 18905 del 26.9.2016) che "in tema di condono fiscale, l'art. 9, comma 17, della I. n. 289 del 2002, che consente al contribuente delle province siciliane coinvolte nel sisma del 1990 di recuperare il 90 per cento di quanto dovuto e versato a titolo d'imposte, in deroga al principio per cui la sanatoria non consente di ottenere rimborsi dallo Stato, risponde ad una logica particolare e diversa dagli altri provvedimenti di sanatoria, in quanto tesa ad indennizzare i soggetti coinvolti in eventi calamitosi, sicché la legittimazione spetta al solo soggetto passivo d'imposta in senso sostanziale e non anche al sostituto d'imposta".

Infatti, l'art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che consente al contribuente di recuperare il 90 per cento di quanto dovuto e versato per imposte, in deroga al principio per cui la sanatoria generalmente non comporta la possibilità di ottenere rimborsi dallo Stato, costituisce una disposizione rispondente ad una logica del tutto particolare e diversa rispetto agli altri provvedimenti di sanatoria, in quanto mira ad indennizzare i soggetti coinvolti in eventi calamitosi (v. in tal senso Cass. 12083/2012), per cui il diritto al rimborso deve ritenersi attribuito al soggetto passivo dell'imposta in senso sostanziale, e non anche al mero sostituto d'imposta.

3. Col terzo motivo la ricorrente si duole della insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio rappresentato dalla mancanza di prova, da parte del lavoratore, dell'importo del credito vantato relativamente alla quantificazione delle somme effettivamente versate dalla E. s.p.a. all'Erario.

3.a. Il motivo è infondato.

Infatti, con motivazione congrua ed esente da rilievi di legittimità, la Corte d'appello ha posto in evidenza che l'onere della determinazione della domanda con riferimento alle somme pretese a titolo di ripetizione dell'indebito doveva ritenersi sufficientemente assolto anche in difetto della quantificazione della stessa allorquando, come nella fattispecie, erano stati indicati i titoli sui quali si fondava la domanda, di modo che la società era stata posta in condizione di esercitare compiutamente il suo diritto di difesa. Inoltre, la stessa Corte ha spiegato che le risultanze istruttorie acquisite (positivo espletamento dell'interrogatorio formale, modelli 101, attestazione proveniente dal Fondo di Previdenza per i lavoratori dei giornali quotidiani "F.C." e relazione del consulente di parte) consentivano di attestare l'importo complessivo delle trattenute effettuate ai fini Irpef negli anni 1990, 1991 e 1992.

Quindi, la motivazione della Corte è corretta, in quanto, una volta che il convenuto è posto in condizione di formulare immediatamente ed esaurientemente le proprie difese, resta irrilevante la mancanza di un'originaria quantificazione monetaria delle pretese costituenti l'oggetto della domanda, anche in considerazione dei poteri spettanti al giudice in ordine alla individuazione dei criteri in base ai quali effettuare la liquidazione dei crediti fatti valere.

4. Col quarto motivo, dedotto egualmente per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente lamenta l'erronea quantificazione del credito vantato dalla controparte, in quanto la Corte di merito non avrebbe dato conto(adeguato del titolo per il quale sarebbe stata corrisposta al lavoratore la somma di lire 5.500.000 in aggiunta al t.f.r.

4.a. Anche quest'ultimo motivo è infondato, posto che la Corte territoriale ha chiaramente spiegato, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, che il primo giudice aveva tenuto conto della prospettazione difensiva della società, la quale, nella comparsa di costituzione e risposta aveva affermato di aver corrisposto al B., all'atto della cessazione del rapporto, a titolo di liberalità, la somma di lire 5.500.000, come evincibile dal prospetto di liquidazione prodotto, per cui la diversa imputazione di tale somma alla causale del versamento contributivo avrebbe dovuto essere provato, per iscritto.

Pertanto, il ricorso principale va rigettato.

5. Quanto al ricorso incidentale proposto dal B. non può non rilevarsene l'evidente inammissibilità: invero, il controricorrente si limita semplicemente a richiedere la cassazione della sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui non gli è stato riconosciuto il diritto alla restituzione delle somme indebitamente trattenute dalla E. s.p.a. a titolo di contributi, senza fornire alcuna spiegazione delle ragioni per la quali tale decisione sarebbe affetta dal lamentato vizio di motivazione ad onta del fatto che, al contrario, la Corte di merito ha ben chiarito che in relazione ai contributi era mancata la prova della eseguita trattenuta da parte del datore di lavoro di somme di competenza del lavoratore divenute indebite a seguito del condono, la cui fruizione era stata, invece, dimostrata per i tributi.

Quindi, il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.

6. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la prevalente soccombenza della ricorrente principale e vanno poste a suo carico.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese nella misura di € 3200,00, di cui € 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.