Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 aprile 2018, n. 9958

Licenziamento per giusta causa - Studio medico - Orario di lavoro - Part time - Materiale probatorio

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il Giudice del Lavoro del Tribunale di Rieti aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato a A. M. T. da E. G. F., ordinato a quest'ultimo la riassunzione della lavoratrice o, in mancanza, il versamento alla suddetta di una somma pari a cinque mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria e condannato il F. al pagamento della somma di € 31.359,43 a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, ed alla regolarizzazione contributiva.

1.1. Il giudice di appello ha ritenuto inammissibile il primo motivo di gravame il quale, a fronte di una sentenza che con puntuale motivazione, recante riferimento alla documentazione in atti, aveva spiegato come le giustificazione del datore di lavoro in risposta alla richiesta della lavoratrice di conoscere le ragioni del licenziamento per giusta causa, si risolvevano in una mera formula di stile, riproduttiva della espressione di legge, non si era confrontato con le argomentazioni del primo giudice ma aveva affidato le proprie censure alla considerazione che l'entità, la natura e le dimensioni dell'attività dell'appellante non rendevano necessaria la forma scritta essendo sufficiente la sussistenza della giusta causa.

1.2. Ha ritenuto, inoltre, generico il secondo motivo di appello nella parte con la quale veniva denunziato il malgoverno delle istanze istruttorie senza che venisse precisato quale fonte di prova era stata erroneamente valutata decisiva o, al contrario, sottovalutata; a tal fine non risultava sufficiente il riferimento al fatto che il F., essendo dipendente del Ministero della Giustizia, non poteva essere presente al mattino, in studio, prima delle ore 1100, ed al fatto che la T. aveva la propria residenza anagrafica in Olbia. Le ulteriori allegazioni relative alla percezione da parte della T. di una retribuzione mensile pari a 1.200,00 mensili, all'avere la dipendente sempre goduto di ferie e di festività e alla mancata contestazione della qualifica di segretaria (e non di assistente di tipo infermieristico), risultavano superate dall'ampia motivazione del Tribunale conseguendone l'assenza di specificità delle ragioni di critica alla sentenza di primo grado.

3. Per la cassazione della sentenza di secondo grado propone ricorso , sulla base di due motivi E. G. F.; la parte intimata resiste con tempestivo controricorso, illustrato con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo della controversia. Premesso che non era contestato il rapporto di lavoro ma solo l'orario della prestazione che la lavoratrice affermava non a tempo parziale, censura la valutazione della prova orale di primo grado in punto di orario osservato, di attività espletata e di attendibilità dei testimoni. Richiama quanto dichiarato in sede di interrogatorio formale dalla T. circa il mancato possesso di qualifica tecnica per la effettuazione della laser terapia e si duole del mancato espletamento di consulenza d'ufficio tecnico-contabile in ordine alle differenze retributive dalla stessa pretese.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi, della Legge 15/07/1966 n. 604 e della Legge 11/05/1990 n. 108. Premesso che la prestazione si svolgeva all'interno di uno studio professionale, e, quindi, nell'ambito di una minima unità organizzativa, sostiene che in ragione di tali caratteristiche ogni piccola incrinatura del rapporto giustificava il venir meno del vincolo fiduciario.

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni alla base del decisum di secondo grado. Parte ricorrente, infatti, nulla argomenta per contrastare l'affermazione del giudice di secondo grado relativa alla genericità delle doglianze con le quali nel ricorso in appello era censurato, in sintesi, il malgoverno delle risultanze istruttorie da parte del primo giudice. Incentra, infatti, le proprie critiche direttamente sulla valutazione del materiale probatorio senza considerare che, in coerenza con l'assunto della genericità del motivo di appello sul punto, il giudice di secondo grado non aveva proceduto ad alcun autonomo riesame del materiale probatorio e delle connesse istanze quale quella riferita alla consulenza contabile da disporsi di ufficio. Quanto ora rilevato assorbe ogni ulteriori considerazione relativa a altri profili di inammissibilità del motivo in esame scaturiti dalla incompleta esposizione del fatto processuale e dalla evocazione di elementi che si asseriscono acquisiti al processo in assenza della trascrizione degli atti e documenti dai quali gli stessi risultano e dalla indicazione della sede processuale di relativa reperibilità, come, invece, prescritto (Cass. 12/12/2014, n. 26174).

4. Il secondo motivo di ricorso è anch'esso inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni del decisum di secondo grado. Il giudice di secondo grado ha, infatti, rilevato che l'appellante F. non aveva investito la ragione alla base della statuizione di illegittimità del licenziamento, costituita dal mancato assolvimento da parte del datore di lavoro dell'obbligo di cui all'art. 2 Legge n. 604/1966 di esplicitazione dei motivi dell'intimato licenziamento per giusta causa, come richiesto dalla lavoratrice. Ciò in quanto l'appellante aveva affidato le proprie doglianze a considerazioni secondo le quali l'entità, la natura e le dimensioni dell'attività espletata nell'ambito dello studio medico non rendevano necessaria la forma scritta, essendo sufficiente la sussistenza della giusta causa.

4.1. Il secondo motivo di ricorso per cassazione incorre in analogo errore in quanto non investe direttamente la valutazione del giudice di appello di non attinenza delle censure articolate alle ragioni alla base della statuizione di primo grado ma si limita a riproporre, peraltro anche in questo caso incorrendo nella violazione della inadeguata esposizione del fatto processuale e della violazione dell'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., le medesime doglianze ritenute inammissibili dalla Corte territoriale e, per questo, non esaminate nel merito.

5. A tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente alle spese di lite.

6. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore dell'Avv. F. P., antistatario.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.