Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 febbraio 2017, n. 4898

Lavoro - Contratto a termine - Nullità - Ragioni sostitutive - Conservazione del posto di lavoro - Specificazioni degli elementi del contratto

 

Fatti di causa

 

1. - Con sentenza del 17 settembre 2010 la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso in data 10 marzo 2003 tra N. I. e Poste Italiane Spa "ai sensi del D. Lgs. n. 368/2001 per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell'Area Operativa e addetto al servizio recapito presso la Regione Lombardia, filiale di Varese, assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro", con costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal primo contratto stipulato tra le parti e, in accoglimento parziale dell'appello della società, con condanna della società al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni maturate nel triennio dalla cessazione del rapporto.

2. - Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso con cinque motivi. Ha resistito con controricorso l'intimato.

 

Ragioni della decisione

 

1. - I motivi di ricorso possono essere così sintetizzati:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d. lgs. n. 368 del 2001 e degli artt. 1362 e ss. c.c., nonché contraddittoria e omessa pronuncia, per avere la sentenza impugnata ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo per genericità della clausola;

con il secondo e terzo motivo si lamenta omessa motivazione per avere la Corte adita - nel reputare non assolto, da parte della società, l'onere di provare la sussistenza nel caso concreto, delle esigenze poste a fondamento dell'assunzione - insufficientemente valutato un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero in ordine alla ammissibilità e rilevanza degli articolati capitoli di prova, trattandosi, eventualmente, di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato anche attraverso l'uso dei poteri istruttori d'ufficio;

con il quarto mezzo, in via subordinata, ci si duole che l'impugnata sentenza non avrebbe condiviso la prospettazione dell'esponente società secondo cui, anche in caso di termine nullo, non avrebbe luogo la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato con condanna della datrice di lavoro alla riammissione in servizio del dipendente;

con il quinto motivo si denuncia ancora violazione di legge per non avere la Corte del merito ritenuto che il risarcimento del danno può essere riconosciuto solo dalla effettiva ripresa del servizio.

2. - La Corte territoriale ha ritenuto la nullità del termine, rilevando, in particolare, che la causale non soddisferebbe il requisito di specificità voluto dal legislatore, perché "la mancanza di qualsiasi indicazione non solo del numero dei lavoratori assenti, ma anche della tipologia dell'assenza dei lavoratori (ferie, malattia, etc.), rende evanescente la possibilità della <verifica di effettività> della causale indicata".

Tale impostazione è stata diffusamente censurata dal primo motivo di ricorso.

La questione in esame è già stata affrontata numerose volte da questa Corte che l'ha condivisibilmente risolta con l'enunciazione del principio secondo cui, in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l'onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell'apposizione del termine e l'immodificabilità della stessa nei corso del rapporto; pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l'apposizione del termine deve considerarsi legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere di specificazione delle ragioni stesse - risulti integrata dall'indicazione di elementi ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (cfr., tra le innumerevoli, ab imo Cass. nn. 1576 e 1577 del 2010 nonché Cass. nn. 4267 e 27052 del 2011; nn. 565, 6216, 8966, 13239 del 2012; n. 1928 del 2014; cui tutte si rinvia per ulteriori argomentazioni di supporto).

Al riguardo deve essere richiamato anche quanto ribadito dalla Corte Costituzionale, che, nella sentenza n. 107 del 2013, ha avallato detto orientamento giurisprudenziale, costituente diritto vivente ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale demandatole.

Ed invero, è stato osservato che "il legislatore, prescrivendo l'onere di specificazione delle ragioni sostitutive per poter assumere lavoratori a tempo determinato, ha imposto una regola di trasparenza. Ha precisato, cioè, che occorre dare giustificazione della sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto con una chiara indicazione della causa. In tale prospettiva, il criterio della identificazione nominativa del personale sostituito è da ritenere certamente il più semplice e idoneo a soddisfare l'esigenza di una nitida individuazione della ragione sostitutiva, ma non l'unico. Non si può escludere, infatti, la legittimità di criteri alternativi di specificazione, sempreché essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi." ... "La giurisprudenza di legittimità, muovendo da tale assunto, ha preso solo atto della «illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali» e ne ha desunto la necessità di tenere conto delle peculiarità dei molteplici contesti organizzativi ai fini dell'assolvimento dell'onere del datore di lavoro di specificare le esigenze sostitutive nel contratto di lavoro a tempo determinato. In conseguenza, l'apposizione del termine per "ragioni sostitutive" è stata ritenuta legittima anche quando, avuto riguardo alla complessità di certe situazioni aziendali, l'enunciazione dell'esigenza di sopperire all'assenza momentanea di lavoratori a tempo indeterminato sia accompagnata dall'indicazione, in luogo del nominativo, di elementi differenti, quali l'ambito territoriale dell'assunzione, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni e il diritto alla conservazione del posto dei dipendenti da sostituire, che permettano ugualmente di verificare l'effettiva sussistenza e di determinare il numero di questi ultimi". Ha osservato il Giudice delle Leggi che, a fronte di ipotesi di sostituzione più complesse, quali quelle esaminate nelle sentenze della Cassazione, nn. 1576 e n. 1577 del 2010, "è stata data una lettura coerente con le decisioni di questa Corte", atteso che i principi direttivi del d. Igs. n. 368/2001 indicati della legge delega n. 422 del 2000, sono stati puntualmente osservati in coerenza con quanto affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, che esprimendosi sulla compatibilità comunitaria della normativa in oggetto (sentenza del 24 giugno 2010, in causa C- 98/09), ha riconosciuto che un intervento del legislatore nazionale che elimini addirittura l'obbligo datoriale d'indicare nei contratti a tempo determinato, conclusi per sostituire lavoratori assenti, il nome di tali lavoratori e i motivi della loro sostituzione e prescriva, in sua vece, la specificazione per iscritto delle ragioni di ricorso a siffatti contratti, non solo è possibile, ma neppure viola (in linea di principio) la clausola della direttiva n. 8.3., che vieta una riduzione del livello generale di tutela già goduto dai lavoratori. Nell'ambito della stessa pronunzia della C. Cost. è stato, poi, affermato che non sussiste neppure la denunziata lesione dell'art. 3 Cost., non essendo ravvisabile alcuna discriminazione dei lavoratori subordinati assunti a termine per esigenze sostitutive da imprese di grandi dimensioni rispetto a quelli assunti alle dipendenze di piccole imprese, atteso che la diversa modulazione del concetto di specificità dell'esigenza di supplire a personale solo transitoriamente assente non dà luogo ad un regime giuridico differenziato in base alla dimensione aziendale del datore di lavoro (cfr. C.Cost. n. 107/2013 cit.).

Appare quindi in violazione del disposto normativo, così come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, la sentenza impugnata allorquando giudica l'assenza di specificità della causale apposta al contratto di lavoro a termine in discussione, non avendo in particolare tenuto conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato; in particolare non emerge una congrua considerazione di tutti gli elementi indicati nel contratto individuale e considerati come significativi dalla giurisprudenza richiamata e cioè ambito territoriale, luogo della prestazione lavorativa, mansioni dei lavoratori da sostituire, diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro, periodo di tempo al quale le enunciate esigenze di carattere sostitutivo facevano riferimento (v. da ultimo, in vicende sostanzialmente sovrapponibili alla presente, Cass. n. 1605 del 2016 ed ord. VI n. 182 del 2016).

3. - In definitiva il primo motivo di ricorso va accolto, con assorbimento degli altri motivi, successivi in ordine logico. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alla censura accolta e la causa deve essere rinviata al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi di diritto e provvederà altresì sulle spese del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese.