Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 novembre 2017, n. 28689

Imposte sui redditi - Accertamento - Costi per sponsorizzazioni - Registrazioni contabili

Ritenuto in fatto

1. La R.A.S.F. S.p.A. ricorre per cassazione impugnando la sentenza n. 58 del 15 maggio 2012, pubblicata il 12 giugno 2012, con la quale la Commissione Tributaria Regionale, in riforma della sentenza della CTP, ha respinto il ricorso proposto dalla R.A. Società della Fonte S.p.A. contro l'avviso di accertamento, con conseguente condanna della Società soccombente a rifondere le spese del giudizio.

La CTR - sulla questione controversa circa la natura dei costi contabilizzati come "sponsorizzazioni" e interamente dedotti - ha premesso che la materia è regolata dall'art. 74 del DPR n. 917 del 1986 (TUIR) vigente ratione temporis (attualmente articolo 108 nuovo TUIR) che prevede la deduzione integrale delle spese di pubblicità e propaganda, limitandone la deducibilità a quelle di "rappresentanza" nella misura di un terzo del loro ammontare.

Secondo la ratio decidendi della sentenza impugnata, sono spese di pubblicità interamente deducibili dal reddito ex art. 74, comma 2, del DPR 917 del 1986 quelle che mirano prevalentemente a reclamizzare prodotti, marchi, servizi o comunque l'attività svolta, mentre sono spese di rappresentanza, solo parzialmente deducibili, quelle che mirano a sostenere la generica immagine dell'impresa, senza una diretta aspettativa di ritorno commerciale, cosicché il giudice d'appello ha osservato che le spese di sponsorizzazione, delle quali si controverte, erano mirate al consolidamento dell'immagine societaria, senza alcun ritorno commerciale, pervenendo alla conclusione di stimare fondato l'appello dell'amministrazione finanziaria e priva di consistenza la domanda della società diretta ad ottenere l'annullamento dell'avviso di accertamento, precisando, infine, che la qualificazione giuridica di tali spese deriva direttamente dalla loro natura di "sponsorizzazioni", cui non si può collegare un aumento di ricavi, ma solo la promozione dell'immagine socio -politica della società nei territori in cui essa opera e nella quale gli azionisti hanno interessi elettorali, piuttosto che economici.

2. Avverso la su richiamata decisione, la R.A.S.F. S.p.A. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo di ricorso rubricato «violazione e falsa applicazione dell'articolo 54 del d.p.r. 633 del 1972, in relazione all'art. 360, comma 1, nr. 3, c.p.c.», la R.A.S.F. S.p.A. premette che, con l'accertamento n. R7M03T200630/2008 l'Agenzia delle entrate accertava, oltre alle imposte dirette, l'imposta Iva sul medesimo presupposto già oggetto del precedente accertamento n. R7M03T200284/2007 notificato in data 3 luglio 2007.

Non potendo coesistere due provvedimenti impositivi (definitivi o non definitivi) sullo stesso presupposto, l'emissione di un atto impositivo riferito allo stesso periodo d'imposta di altro precedente deve essere sempre anticipato dall'annullamento dell'atto impositivo anteriore e l'annullamento del precedente atto deve essere motivato nonché espressamente comunicato al contribuente, in modo che resti efficace una sola pretesa da parte dell'amministrazione.

Ai fini Iva vi sarebbe eventualmente spazio per il cosiddetto accertamento integrativo (di cui all'articolo 57, comma 4, d.p.r. 633 del 1972) il quale, rappresentando l'eccezione positivizzata alla regola generale dell'unicità dell'accertamento, è peraltro giustificato unicamente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi che l'Ufficio non aveva potuto valutare all'atto dell'emissione del primo provvedimento. Nel caso di specie, non solo non ricorrono le condizioni di operatività dell'accertamento integrativo ma, a priori, l'atto impositivo non è stato affatto qualificato come tale, comportando ciò che il rapporto tributario relativo all'Iva 2003 è stato definitivamente accertato con il primo avviso di accertamento notificato (n. R7M03T200284/2007) e non può pertanto essere rimesso in discussione, con la conseguenza che la pretesa Iva contenuta nell'avviso di accertamento n. R7M03T200630/2008, per tutti i motivi suesposti, dovrà essere annullata.

La società ricorrente evidenzia, in ogni caso, l'opportunità della riunione del presente gravame con il richiamato giudizio R.G. n. 19660 del 2010, oltre che con il procedimento R.G. n. 19669 del 2010 riguardante gli stessi fatti relativi all'anno di imposta 2002 e con il procedimento R.G. n. 15555 del 2012 riguardante gli stessi fatti relativi all'anno di imposta 2004.

Il motivo è inammissibile perché la società ricorrente solleva, per la prima volta in sede di legittimità, una doglianza nuova circa l'affermata coesistenza di due provvedimenti impositivi, la cui verifica si risolve in un accertamento di fatto precluso nel giudizio di legittimità.

Quanto alla richiesta di riunione, va ricordato che nel giudizio di cassazione, le finalità di economia processuale e di uniformità delle decisioni relative a casi identici, cui è ispirato l'obbligo della riunione previsto dall'art. 151 disp. att. cod.proc. civ., come sostituito dall'art. 19, lett. f) decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, possono utilmente essere perseguite, in mancanza di un espresso riferimento della predetta disposizione al giudizio di legittimità, anche attraverso la trattazione nella medesima udienza e davanti allo stesso giudice di più cause riunibili, verificandosi in tale evenienza una situazione sostanzialmente assimilabile a quella del "simultaneus processus" in senso tecnico (Sez. L, n. 4357 del 23/02/2010, Rv. 612005 - 01), situazione nella specie sussistente, posto che le cause, per le quali la riunione è richiesta, sono state fissate per la medesima udienza innanzi a questa Sezione, con la conseguenza che, anche per ragioni di speditezza processuale, non appare necessario disporre la riunione dei procedimenti.

2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «violazione e falsa applicazione dell'articolo 74, comma 2, d.p.r. 917 del 1986 (c. d. vecchio TUIR) e dell'articolo 19-bis 1, lettera h), d.p.r. 633 del 1972, in relazione all'articolo 360, comma 1, nr. 3, c.p.c.», la R.A.S.F. S.p.A. deduce che la CTR ha disatteso la sentenza di primo grado, escludendo che i costi contabilizzati dalla R.A. S.p.A. potessero essere qualificati come spese di pubblicità e, come tali, interamente dedotti.

Nel pervenire a tale conclusione, la CTR avrebbe violato, secondo la ricorrente società, l'articolo 74, comma 2, Tuir nonché l'articolo 19-bis 1, lettera h), del d.p.r. 633 del 1972, atteso che risulta inconfutabilmente provato che la R.A. S.p.A. ha stipulato contratti di sponsorizzazione sostenendo detti costi per attività di impresa per eventi sportivi locali, trasmissioni televisive locali e altre manifestazioni organizzate da enti locali, concludendo, con tutta evidenza, contratti sinallagmatici a prestazioni corrispettive, con conseguente qualificazione delle spese come pubblicitarie.

Dopo avere tracciato l'evoluzione legislativa in materia, la ricorrente afferma che la qualificazione dei costi come spese di pubblicità richiede, ai sensi del combinato disposto degli articoli 74, comma 2, d.p.r. 917 del 1986 e dell'articolo 19-bis 1, lettera h) del d.p.r. 633 del 1972, una correlazione degli stessi, in senso ampio ed anche indiretto, con l'attività di impresa al fine della loro idoneità a produrre, anche potenzialmente, utili.

Ne consegue che la sentenza impugnata sarebbe incorsa, nell'interpretazione delle norme giuridiche applicate, nel vizio di violazione di legge denunciato, essendo evidente come, nel caso di specie, fosse sussistente la predetta correlazione, sul rilievo che una promozione nei confronti dei consumatori finali dell'acqua commercializzata dalla società ricorrente consente alla stessa di continuare a vendere l'acqua stessa alle proprie società clienti che, anche in forza dell'apprezzamento degli utenti, continuano perciò il rapporto commerciale con la stessa, non "passando" quindi a ditte concorrenti, oltre che ad acquisire sempre nuovi clienti.

Il motivo, che ha una impronta tipicamente fattuale, non è consentito nel giudizio di legittimità e si connota per la sua genericità in quanto la doglianza non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata prescindendo completamente da essa, avendo la CTR (v. sub 1 del ritenuto in fatto), con adeguata motivazione, priva di vizi di illogicità, ritenuto che sono spese di pubblicità interamente deducibili dal reddito ex art. 74, comma 2, del DPR n. 917 del 1986 quelle che mirano prevalentemente a reclamizzare prodotti, marchi, servizi o comunque l'attività svolta, mentre sono spese di rappresentanza, solo parzialmente deducibili, quelle che mirano a sostenere la generica immagine dell'impresa, senza una diretta aspettativa di ritorno commerciale, cosicché ha osservato che, nel caso in esame, le spese di sponsorizzazione erano esclusivamente mirate al consolidamento dell'immagine societaria, senza alcun ritorno commerciale, pervenendo alla conclusione di stimare priva di consistenza la domanda della società diretta ad ottenere l'annullamento dell'avviso di accertamento, precisando, infine, che la qualificazione giuridica di tali spese deriva direttamente dalla loro natura di "sponsorizzazioni", cui non si può collegare un aumento di ricavi, ma solo la promozione dell'immagine socio - politica della società nei territori in cui essa opera e nella quale gli azionisti perseguono interessi elettorali, piuttosto che economici.

3. Con il terzo motivo di ricorso rubricato «insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.», la R.A.S.F. S.p.A. assume che la CTR ha altresì motivato in maniera insufficiente quanto alla qualificazione dei costi contabilizzati dalla R.A. S.p.A. come spese di pubblicità e, come tali dedotti interamente, essendosi limitata ad avvallare pedissequamente l'operato dell'Ufficio senza prendere in considerazione ed adeguatamente valorizzare i fatti prospettati dalla contribuente (definiti "poco credibili" senza indicare nemmeno per quale motivo) che evidenziavano come le spese di sponsorizzazione fossero dirette, ancorché in via indiretta, in quanto si rivolgevano ai consumatori finali, ad aumentare o, quanto meno a mantenere, i propri ricavi, appartenendo senza dubbio alcuno alla sfera dell'impresa, in quanto sostenute nell'intento di fornire a quest'ultima una utilità, ancorché in modo indiretto.

Il motivo è infondato perché la CTR si è attenuta, con logica ed adeguata motivazione, ai principi più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali, in tema d'imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 108 (ex 74, comma 2) del d.P.R. n. 917 del 1986, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l'immagine dell'impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese di pubblicità o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta, con la conseguenza che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della norma menzionata, ove il contribuente non provi che all'attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale (Sez. 5, n. 21977 del 28/10/2015, Rv. 637087 - 01).

Cosicché, ai sensi dell'art. 108 (ex 74, comma 2) del d.P.R. n. 917 del 1986, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità, è stato individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, ribadendosi il principio di diritto in precedenza richiamato e, con esso, la necessità di una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese in considerazione degli obiettivi perseguiti (Sez. 5, n. 16596 del 07/08/2015, Rv. 636438 - 01; Sez. 5, n. 3087 del 17/02/2016, Rv. 639043 - 01).

4. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Nulla spese in mancanza di costituzione nel giudizio di legittimità della controparte.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Nulla spese.