Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 dicembre 2016, n. 27034

Demansionamento - Danno esistenziale e professionale - Risarcimento - Aggressione alla personalità morale del lavoratore

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 26/2010, depositata il 20 gennaio 2010, la Corte di appello di Torino respingeva il gravame di G. Z. nei confronti della sentenza del Tribunale di Torino che ne aveva respinto la domanda di risarcimento del danno esistenziale e professionale conseguente ad una prolungata condizione di demansionamento verificatasi a partire dal rientro in azienda nel dicembre 1997, dopo una lunga malattia, al 31 maggio 2006, prima nel corso del rapporto alle dipendenze di I. S.p.A. e poi del rapporto alle dipendenze della cessionaria di ramo di azienda O. B. S. I. S.p.A.

La Corte rilevava, a sostegno della propria decisione, come l'appellante, dopo di avere indicato i fatti che avrebbero dato luogo al demansionamento rispetto alle mansioni in precedenza svolte, si era limitato a dedurre del tutto genericamente i danni che ne sarebbero derivati, nonostante la necessità di una precisa allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio subito.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con due motivi; hanno resistito con controricorso le società I. e O. I.

Entrambe le controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, deducendo insufficiente motivazione e violazione dell'art. 115 c.p.c., il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto di fare ricorso al prudente apprezzamento dei fatti noti, oggetto di capitolazione nel ricorso introduttivo, al fine di provare il fatto ignoto, consistente nei danni non patrimoniali dallo stesso subiti.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. sul rilievo che l'imprenditore, in caso di mancata tutela della personalità morale dei propri dipendenti, è tenuto al risarcimento del danno non patrimoniale determinato dalla propria condotta omissiva e che, pertanto, la Corte, una volta provato il demansionamento totale del ricorrente, avrebbe potuto facilmente dedurre l'avvenuta aggressione alla personalità morale dello stesso, senza una particolare attività istruttoria e sulla base di un ragionamento di tipo presuntivo.

I motivi così svolti possono essere esaminati congiuntamente, risolvendosi entrambi, sia pure da angoli visuali diversi, in una medesima censura.

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Al riguardo si osserva che la sentenza impugnata, dopo avere riportato testualmente e allegazioni del ricorso introduttivo relative ai danni che l'appellante assumeva di avere subito, ha rilevato la "completa genericità" di tale deduzione, in particolare precisando che, attraverso di essa, non era dato conoscere quali fossero i lamentati disagi per l'esistenza del lavoratore e quale fosse stata la perdita di chances relativamente alla sua carriera: valutazione, questa, espressamente (ed esattamente) condotta dalla Corte territoriale alla stregua del principio, secondo il quale, in materia di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, "non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo" (cfr. Sezioni Unite, 24 marzo 2006 n. 6572). Su tali premesse, le critiche formulate dal ricorrente, sostanzialmente riconducibili alla mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che avrebbe consentito alla Corte di risalire dai fatti (di demansionamento) dedotti alla dimostrazione dei pregiudizi che ne sarebbero derivati, non risultano pertinenti al decisum della sentenza impugnata, ed anzi scopertamente lo eludono, in quanto, trasferendo il dibattito sul terreno della prova, non investono l'accertamento attinente alla corrispondenza delle allegazioni di danno ad un canone di necessaria "specificità", accertamento che anche nella citata pronuncia delle Sezioni Unite risulta preliminare ad ogni altra e successiva operazione logico-ricostruttiva.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna delle altre parti, in euro 3.100,00 di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.