Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 gennaio 2018, n. 1715

Tributi - Operazioni soggettivamente inesistenti - Costi deducibili - Onere dell’Amministrazione di dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente

 

Rilevato che

 

l'Agenzia delle Entrate ha impugnato, con tre motivi, la sentenza n. 167/26/09, depositata dalla CTR della Sicilia il 22.09.2009;

ha riferito che, a seguito di processi verbali di constatazione redatti dalla GdF competente, emetteva nei confronti della A. s.r.l. l'avviso di accertamento n. RJD3000080, notificato il 12.12.2002 e relativo all'anno d'imposta 1996, per maggiore Irpeg e Ilor, oltre interessi e sanzioni. L'Agenzia contestava in particolare l'indebita deduzione di costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti, per l'acquisto di bestiame dalla M. s.r.l., sedente in Formia, rivelatasi una società cartiera, nonché di costi non sufficientemente documentati per schede carburante e oneri di manutenzione di macchinari.

Nel contenzioso che era seguito la contribuente vedeva accolto il proprio ricorso dal giudice tributario di primo e di secondo grado;

con il primo motivo di ricorso l'Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 c.c., 75 (ora 109) co. 1 del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c. per l'erronea interpretazione della disciplina relativa alla deducibilità dei costi in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti;

con il secondo motivo denuncia la motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per aver ritenuto legittima la detrazione operata dalla contribuente in relazione ai costi riportati nelle schede carburante;

con il terzo motivo denuncia la motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per aver ritenuto legittima la deduzione dei costi riferiti alle spese di manutenzione di automezzi;

Si costituiva la società, che eccepiva l'inammissibilità del ricorso e nel merito la sua infondatezza; inoltre con ricorso incidentale denunciava l'omessa motivazione della sentenza, in violazione dell'art. 360 co. 1, n. 5. c.p.c., in relazione agli artt. 329 c.p.c. e 56 del d.P.R. n. 546 del 1992, per l'eccepita parziale acquiescenza della Amministrazione alla deducibilità dei costi sostenuti dalla contribuente, nonché sulla omessa motivazione in ordine alla veridicità soggettiva delle fatture contestate, riproposta in sede d'appello ma non esaminata dal giudice tributario regionale.

Erano infine depositate le memorie previste dall'art. 380 bis1 c.p.c.

 

Considerato che

 

Preliminarmente devono rigettarsi le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dalla A., perché esso, anche con riguardo agli atti e alla documentazione su cui si fonda, rispetta i requisiti formali richiesti dagli artt. 366 e 369 c.p.c.

Con il primo motivo la ricorrente lamenta che la decisione della Commissione regionale abbia erroneamente valorizzato la circostanza che la A. avesse ricevuto la merce e pagato il corrispettivo, laddove ciò non è ritenuto sufficiente per escludere le conseguenze della consapevolezza della operazione soggettivamente inesistente, non essendo indifferente che il cedente/prestatore sia quello effettivo o la società cartiera. A tal fine la difesa della Agenzia è rivolta alla disciplina sull'IVA e ai presupposti per la detrazione dell'imposta risultante dalle fatture, per finire, solo nella conclusione del ragionamento, con l'affermare che <<appare evidente come dallo stesso meccanismo che presiede al funzionamento dell'Iva discende che il diritto alla detrazione dell'imposta pagata sugli acquisti non può prescindere dalla regolarità giuridica dell'operazione effettuata>> (pag. 12 del ricorso). Sennonché il ricorso non coglie la ratio della motivazione della sentenza impugnata; è a tal fine utile rammentare che già in tema di IVA la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato come l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto alla detrazione debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che il contribuente al momento dell'acquisto del bene o del servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore; nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l'immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di "frode carosello" (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società "filtro") occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente (cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 24426/2013). Nel caso che ci occupa il giudice regionale non si è allontanato da tale principio, ma nella valutazione della operazione sottoposta all'accertamento della Amministrazione ha ritenuto che la condotta tenuta dalla contribuente abbia superato la presunzione di innocenza, ossia ha ritenuto non provati i presupposti di colpevolezza della società;

deve peraltro considerarsi che la controversia ha ad oggetto non già il diritto alla detrazione dell'iva pagata, ai fini della compensazione tra il tributo armonizzato assolto e quello riscosso, ma quella, distinta, della deducibilità dei costi sostenuti dall'impresa, ai fini Irpeg ed Ilor, come al termine del lungo ragionamento sembra avvedersi la stessa Amministrazione; ebbene, a seguito della modifica apportata all'art. 14, co. 4 bis, della I. n. 537 del 1993, come introdotta dall'art. 8, co. 1, del d.l. n. 16 del 2 marzo 2012, conv. nella I. n. 44 del 2012 - novella che opera quale jus superveniens avente efficacia retroattiva in bonam partem, stante il tenore del co. 3 del medesimo articolo - sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, che siano o meno inserite in una "frode carosello", per il solo fatto che siano stati sostenuti. Tanto è dovuto anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass., Sez. 5, sent. n. 26461 del 2014; sent. n. 13800 del 2014; sent. n. 10167 del 2012); nel caso che ci occupa è pacifico che i costi siano stati sostenuti per l'acquisto della merce, e ciò è riconosciuto dalla stessa Amministrazione, che ne contesta la detraibilità (sic, ma si tratta di deducibilità) solo perché relativa ad operazioni qualificate come soggettivamente inesistenti; ne discende allora anche un sopraggiunto difetto d'interesse al motivo d'impugnazione; in conclusione il primo motivo è infondato.

E' infondato anche il secondo motivo del ricorso dell’Amministrazione; questa ha ritenuto indeducibili i costi relativi al carburante consumato dalla società contribuente, che svolge attività di commercio di animali vivi e da macellazione, perché le schede carburante erano prive dell'indicazione in litri di ogni approvvigionamento. Tale carenza è stata ritenuta in sentenza una irrilevante omissione formale, motivazione contestata invece dalla Agenzia che alla insufficiente descrizione dell'operazione attribuisce valore più pregnante, idonea a giustificare l'indeducibilità dei costi. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente subordinato la possibilità di detrarre l'imposta assolta per l'acquisto di carburante destinato ad alimentare i mezzi utilizzati per l'esercizio dell'impresa alla completezza delle schede carburante (Cass., Sez. 5, sent. n. 24409 del 2016; sent. n. 25122 del 2014, sent. n. 6606 del 2013). Ebbene, se è vero che con riguardo all'anno d'imposta -ma non all'anno della verifica cui la società è stata sottoposta- era vigente il DM n. 677 del 1977, che tra gli elementi da riportare nella scheda carburante faceva menzione anche dei litri di ogni approvvigionamento, è altrettanto vero che il successivo d.P.R. n. 444 del 1997, in vigore dall'1.01.1998, nel semplificare i dati della scheda non ha fatto più cenno alla quantità del rifornimento. Ciò è ribadito nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 205/E del 12.08.1998.

Tenuto conto allora che la censura mossa alla sentenza è ricondotta al vizio di motivazione, quale vizio della valutazione di fatto operata in sede di merito, essa è insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti della insufficienza o contraddittorietà (secondo la formulazione, ratione temporis applicabile, dell'art. 360, co. 1 n. 5, c.p.c.). Proprio alla luce della disciplina normativa già vigente all'epoca dell'accertamento la motivazione non è carente né contraddittoria, bensì coerente con lo svilimento del dato tecnico non più richiesto dalla disciplina positiva. La motivazione è pertanto immune da vizi e la censura proposta con il ricorso è infondata.

Inammissibile infine, per difetto di autosufficienza, è il terzo motivo del ricorso. Con esso l'Amministrazione ha censurato la sentenza per aver riconosciuto la deducibilità dei costi di manutenzione degli automezzi della società, sebbene la relativa documentazione fosse priva dei dati identificativi degli automezzi, in concreto della targa del mezzo. A fronte di una censura su una valutazione di fatto del giudice d'appello, sarebbe stato necessario quanto meno riportare uno dei documenti fiscali, che l'Amministrazione reputa insufficiente a provare l'appartenenza del mezzo alla società e l'inerenza delle operazioni alla attività commerciale. La integrale omissione di elementi sul punto è riconducibile alla violazione della prescrizione prevista dall'art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c.

Infine i due motivi del ricorso incidentale, spiegato dalla contribuente nella subordinata ipotesi di accoglimento del ricorso principale, sono assorbiti dall'esito del giudizio sul ricorso della Amministrazione.

Considerato che

il ricorso principale va rigettato e resta assorbito quello incidentale; per conseguenza, quanto allè spese, l'Agenzia va condannata al loro pagamento, nella misura specificata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale; condanna l'Agenzia alla rifusione delle spese di causa sostenute dalla società A. s.r.l., che liquida in € 4.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.