Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 marzo 2018, n. 5289

Iscrizione a ruolo - Contributi per maternità - Datori di lavoro che corrispondono le indennità di malattia per legge o per contratto collettivo - Esonero previsto dall'art. 20, D.L. n. 112/2008 - Ente pubblico economico venuto meno a seguito della sua trasformazione in società per azioni

Fatti di causa

Con sentenza depositata il 9.5.2012, la Corte d’appello di Trento ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato non dovuti i contributi per maternità richiesti mediante iscrizione a ruolo dall'INPS a H.D. ENEL s.r.l.-

La Corte, in particolare, ha ritenuto che la previsione di cui all'art. 20, d.l. n. 112/2008 (conv. con I. n. 133/2008), secondo cui i datori di lavoro che corrispondono le indennità di malattia non sono tenuti a versare i relativi contributi all'assicurazione generale obbligatoria, si applicasse anche ai contributi per maternità, di talché, avendo il legislatore previsto che i primi fossero dovuti soltanto a partire dal 1°.1.2009, analoga regola doveva valere per quelli oggetto del giudizio. Ricorre contro tali statuizioni l’INPS, con un unico motivo. H.D. ENEL s.r.l. resiste con controricorso, illustrato con memoria. La società concessionaria dei servizi di riscossione non ha svolto in questa sede attività difensiva.

 

Ragioni della decisione

 

Con l'unico motivo di censura, l'INPS denuncia violazione degli artt. 20, d.l. n. 112/2008 (conv. con I. n. 133/2008), e 6, I. n. 138/1943, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto che la prima delle due disposizioni citate, che nell'interpretare autenticamente l'art. 6 cit. ha previsto che «i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell'Istituto nazionale della previdenza sociale dall'erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all'Istituto medesimo», si applicasse anche ai trattamenti e ai contributi per maternità, di talché, avendo il successivo comma 2, lett. a), dell'art. 20 cit. previsto l'obbligo per «le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto» di versare «la contribuzione per maternità» soltanto «a decorrere dal 1° gennaio 2009», nessuna contribuzione a tale titolo poteva l'INPS richiedere per il periodo precedente.

Va preliminarmente disattesa l'eccezione preliminare d'inammissibilità del ricorso per decorso del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c.: risulta dagli atti di causa che la sentenza impugnata è stata depositata il 9.5.2012 e che il ricorso per cassazione è stato inoltrato per la notifica a mezzo posta il 9.11.2012, di talché, tenuto conto del generale principio di scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio (che per il notificante, a seguito di Corte cost. n. 477 del 2002, impone di aver riguardo al momento della consegna dell'atto da notificare) e della regola secondo cui i termini a mesi si computano ex numeratione dierum, indipendentemente dal numero di giorni compresi nell’intervallo (cfr. tra le tante Cass. nn. 22699 del 2013, 11491 del 2012, 8791 del 2009), il termine lungo ex art. 327 c.p.c. non era a tale data scaduto.

Ciò posto, il motivo è fondato.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, al riguardo, che le società che, come l'odierna controricorrente, derivano la loro genesi dal processo di trasformazione dell'ENEL, sono obbligate al pagamento della contribuzione per maternità anche per il periodo anteriore all’1.1.2009, nonostante il versamento diretto del trattamento dovuto alle lavoratrici madri, non essendo estensibile a tali contributi l'esonero previsto dall'art. 20, d.l. n. 112/2008 (conv. con I. n. 133/2008), con riferimento ai contributi per malattia, in favore dei datori di lavoro che abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori la relativa indennità (cfr. Cass. n. 15394 del 2017).

A supporto di tale conclusione, invero, si è anzitutto sottolineato che l'obbligo, per tali società, di corrispondere ai propri dipendenti il trattamento di maternità discende dai contratti collettivi, e non già dall'art. 1, d.P.R. n. 145/1965, che deve ritenersi disposizione ormai priva di efficacia diretta in quanto legata necessariamente all'esistenza dell'ente pubblico economico denominato Ente Nazionale per l'Energia Elettrica, già venuto meno a seguito della sua trasformazione in società per azioni, per effetto del d.l. n. 333/1992, e poi ulteriormente scomposto in più società a seguito della liberalizzazione del mercato elettrico realizzata dalla legge delega n. 128/1999 e dal successivo d.lgs. n. 79/1999, resa necessaria dal rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva 96/92/CE.

Richiamato quindi il principio (ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte) secondo cui nessuna deroga all'ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali può discendere dall'origine pubblica di tali soggetti, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all'erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l'amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione maggioritaria da parte dell'ente pubblico, si è ribadito - sulla scorta di Cass. S.U. n. 10232 del 2003 e di Corte cost. n. 47 del 2008 - che il fondamento della previdenza sociale sta nel principio di solidarietà, di talché il concetto di sinallagma, inteso quale equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta insufficiente alla rappresentazione del sistema previdenziale, accompagnandosi all'apporto contributivo delle categorie interessate il costante intervento finanziario dello Stato e quindi della solidarietà generale. E se ne è desunto che, non esistendo tra prestazioni e contributi un nesso di reciproca giustificazione causale e ben potendo dunque persistere l'obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni dei lavoratori dipendenti l'ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, il rinvio ai criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria per le malattie, contenuto nell'art. 15, I. n. 1204/1971, in tema di corresponsione dell'indennità di maternità, non consente di per sé di estendere ai contributi per la maternità l'esonero dall'obbligo contributivo previsto per i datori di lavoro tenuti a versare l'indennità di malattia.

A tali conclusioni, successivamente ribadite da Cass. nn. 23845, 24009, 25681-25685 e 25771-25773 del 2017, intende il Collegio dare continuità.

Va anzitutto rimarcato che il richiamo alle statuizioni di Cass. S.U. n. 10232 del 2003, così come quelle di Corte cost. n. 47 del 2008, ha valore essenzialmente sistematico: da tali pronunce, infatti, è dato ricavare un principio di carattere generale relativo alla natura sostanzialmente impositiva della contribuzione previdenziale pubblica ed all'assenza di logiche di stretta correlazione tra obbligo contributivo e prestazione alla stessa sottese. E analogamente è a dirsi in ordine al richiamo ai precedenti di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 8591 del 2017 e 20818 del 2013) che hanno sancito l'assoggettamento delle società, anche se partecipate da soggetti pubblici, all'ordinario regime di pagamento dei contributi previsto per i datori di lavoro privati, salvo le eccezioni espressamente previste dalla legge.

Per converso, l’individuazione delle previsioni contrattuali collettive quali fonti esclusive dell'obbligo di corresponsione dell'indennità di maternità da parte della società controricorrente assolve al compito di giustificare la persistenza di tale obbligazione a seguito del venir meno dell'efficacia precettiva del disposto dell'art. 1, d.P.R. n. 145/1965: ed è evidente che, trattandosi di obbligazione di fonte collettiva, e non più legale, il suo adempimento non può logicamente essere invocato dall'odierna controricorrente al fine di garantirsi l'esonero dal pagamento dei contributi previdenziali relativi all’indennità di maternità.

Sotto questo profilo, anzi, manifestamente infondato appare il dubbio di legittimità costituzionale argomentato da parte controricorrente sul presupposto di una disparità di trattamento tra le società derivate dalla trasformazione dall'ente pubblico e quelle generatesi dello scorporo delle prime: tale dubbio, infatti, trae origine dal presupposto, affatto infondato, che l’art. 1, d.P.R. n. 145/1965, continuasse a trovare applicazione anche alle società derivanti dalla c.d. prima privatizzazione, laddove si è visto che la sua efficacia precettiva deve ritenersi venuta meno a seguito della trasformazione dell’ENEL in società per azioni. Proprio per ciò, non può trarsi dall’art. 20, comma 2, d.l. n. 112/2008, cit., alcun indizio circa la volontà del legislatore di assoggettare le società rivenienti dal processo di trasformazione dell'ENEL al pagamento dei contributi per maternità solo a far data dal 1°.1.2009, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata: tale obbligo, infatti, doveva ritenersi immanente al sistema in ragione delle considerazioni di carattere sistematico dianzi svolte, restando naturalmente salva la facoltà del legislatore di renderlo manifesto attraverso un'apposita disposizione di legge, il nostro ordinamento ben conoscendo le disposizioni di legge meramente ricognitive di norme già esistenti (cfr. in tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 230 del 2016, 346 del 2010, 401 del 2007).

Né contrari argomenti possono desumersi dall'art. 3, comma 2, I. n. 218/1990, che, oltre i diritti quesiti, ha fatto salvi «gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell'ente di appartenenza», giacché tale disposizione, originariamente introdotta per i dipendenti degli enti creditizi e successivamente estesa anche ai dipendenti dell'ENEL in virtù del d.l. n. 198/1993 (conv. con I. 292/1993), si riferisce espressamente ed esclusivamente alle situazioni giuridiche dei dipendenti degli enti pubblici oggetto di trasformazione in soggetti di diritto privato e non può in alcun modo costituire la base normativa per attribuire situazioni di vantaggio in favore dei loro datori di lavoro.

Il ricorso, pertanto, va accolto. La sentenza impugnata va cassata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, dichiarando dovuti i contributi per maternità di cui alla cartella opposta.

La novità e complessità della questione, che è stata affrontata da questa Corte solo in epoca posteriore all'introduzione del giudizio, giustifica la compensazione delle spese dell'intero processo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara dovuti i contributi per maternità di cui alla cartella opposta. Compensa le spese dell’intero processo.