Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 marzo 2017, n. 11045

Tributi - False dichiarazioni - Ditta individuale - Violazioni - Sanzioni penali

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 27.11.2014, il Tribunale di Cagliari dichiarava B. P. colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv cod. pen.e 4 dlvo 74/2000 perché, quale titolare dell'omonima ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi e l'IVA, indicava nella dichiarazione annuale relativa alle imposte dirette per l'anno 2006 e, nelle dichiarazioni IVA, per le annualità 2005, 2006, 2007 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo e L. S. colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv cod.pen e 4 dlvo 74/2000, perché, in qualità di legale rappresentante della "VE.MA", srl al fine di evadere le imposte sui redditi per gli anni 2004 e 2005 e l'IVA per gli anni 2004, 2005, 2006, 2007 indicava nella relativa dichiarazione annuale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo; concesse ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche, ha condannato B. P. alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, disponendo la confisca degli immobili in sequestro, e L. S. alla pena di anni uno di reclusione, dichiarandosi non doversi procedere nei confronti della predetta con riferimento alla annualità 2004 per essere il reato estinti per intervenuta prescrizione.

Con sentenza del 1.2.2016, la Corte di Appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cagliari, appellata dagli imputati, dichiarava non doversi procedere nei confronti di L. S. in ordine al reato ascrittole con riferimento alla dichiarazione tributaria relativa all'anno 2005 e presentata il 23.10.2006 perché estinti per prescrizione e riduceva la pena a mesi dieci di reclusione e, ritenuta la sola recidiva specifica per B. P., confermava nel resto.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione B. P. e L. S., chiedendone l'annullamento, per il tramite del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen:

B. P. ha articolato quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 129 cod. proc. pen. ed all'art. 4 del divo 74/2000.

Argomenta che all'udienza del 7.7.2012 dinanzi al Tribunale aveva chiesto pronunciarsi sentenza assolutoria ex art. 129 cod. proc. pen. con la formula perché il fatto non sussiste ed in subordine rilevarsi la violazione dell'art. 521 comma 2 cod. proc. pen. con conseguente restituzione atti al PM, per indeterminatezza dell'imputazione che non indicava le soglie di punibilità ma che il Giudice di primo grado rigettava le eccezioni; la Corte di Appello, investita della questione con motivo di appello, riteneva infondata la censura affermando erroneamente, in difformità dal consolidato orientamento di legittimità, che la soglia di punibilità integrerebbe condizione di punibilità e non elemento costitutivo del reato e non offriva alcuna motivazione in ordine alla richiesta ex art. 129 cod. proc. pen.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge e falsa applicazione dell'art. 649 comma 2 cod. proc. pen. con riferimento al principio del ne bis in idem di cui agi artt. 4 prot. 7 CEDU e 50 Carta di Nizza.

Argomenta che in relazione alla dichiarazione infedele contestata gli erano state definitivamente irrogate le sanzioni tributarie previste ex lege e che la Corte territoriale riteneva non possibile l'immediata applicazione dell'art. 649 cod. proc. Pen. disattendeva erroneamente l'eccezione di illegittimità costituzione e non motivava in ordine al rinvio pregiudiziale alla CGUE; ripropone, quindi, eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 649 cod. proc. pen. e la richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGEU in relazione all'art. 50 della Carta di Nizza.

Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 99 comma 2 cod. pen. e 445 comma 2 cod. proc. pen.

Argomenta che la Corte territoriale erroneamente riteneva ed applicava la recidiva specifica (sebbene in luogo di quella contestata specifica e reiterata), qualificandola come specifica, in quanto:

a) con riferimento alla sentenza di applicazione della pena riportata dal B. e divenuta irrevocabile il 1.10.1995, per reato di violazione IVA, erroneamente la Corte affermava che il mero decorso dei cinque anni previsto dall'art. 445 comma 2 cod. proc. pen. non determinava ipso iure l'estinzione degli effetti penali del reato, anche ai fini della recidiva;

b) erroneamente aveva comunque ritenuto l'effetto ostativo costituito dall'accertamento (con sentenza irrevocabile del 2003) della commissione, avvenuta pochi mesi dopo l'irrevocabilità della sentenza di patteggiamento del 1995, di un delitto di calunnia perché anche gli effetti penali di questo reato (di calunnia) erano estinti per esito positivo dell'affidamento in prova , dichiarato dal Tribunale di sorveglianza con ordinanza del 5.10.2006 (precedente, quindi, anche alla commissione - 17.10.2016 - del primo reato tributario oggetto di questo processo)

c) è chiesta poi la non considerazione della recidiva comunque ritenuta.

Con il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione agi artt. 157 e 160 cod. pen. e 597 comma 4 cod.proc.pen.

Argomenta che escludendo la recidiva o al più riconoscendola come semplice e calcolando correttamente la sospensione per 197 giorni o al massimo in 344 giorni, i reati commessi relativamente agli anni 2005 e 2006 sarebbero prescritti prima della sentenza di appello e- essendo non prescritto il solo reato relativo all'anno 2007- in sede di calcolo della pena la pena base doveva essere determinata dalla Corte territoriale in relazione al reato meno grave relativo all'anno 2007 e con esclusione dell'aumento per la continuazione.

L. S. ha articolato tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 4 d.lvo 74/2000.

Richiama le considerazioni svolte a fondamento del primo motivo proposto dal B. e argomenta ulteriormente che la valutazione circa il vulnus provocato alla difesa deve essere operato ex ante riportandosi al momento in cui l'eccezione è stata formulata e disattesa dal Giudice.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione agi artt. 157 e 160 cod. pen. e 597 comma 4 cod.proc.pen.

Argomenta che i giorni di sospensione ammontano a complessivi 197 e che, quindi, i reati commessi il 13.9.2007 erano prescritti prima della sentenza di appello.

Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all'art 131 bis cod. pen.

Argomenta che per effetto dell'applicazione della prescrizione deve ritenersi imputata solo del reato relativo alle dichiarazioni del 2007 e, pertanto, per i precedenti reati deve ritenersi non colpevole; inoltre, il danno va valutato alla stregua dell'imposta evasa (euro 154.000) e quella al di sotto della quale non vi è reato (150.000) e, quindi, in euro 4.000; essendo modesto il superamento della soglia i punibilità sussistono i presupposti di applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen.; la motivazione offerta dalla Corte territoriale, a fondamento del rigetto dell'istanza ex art. 131 bis cod. pen. è erronea ed illogica.

Con memoria depositata in data 4.10.2016, la difesa dei ricorrenti ha argomentato ulteriormente in merito all'intervenuta prescrizione dei reati per entrambi gli imputati ed all'applicabilità dell'art. 131 bis cp in ordine alla residua imputazione per l'imputata L. S..

 

Considerato in diritto

 

1. Il primo motivo di ricorso proposto da B. P. ed il primo motivo di ricorso proposto da L. S., entrambi aventi ad oggetto la medesima questione, sono manifestamente infondati.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte non sussiste alcuna incertezza sull'imputazione, quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa (Sez.2, n.36438 del 21/07/2015, Rv.264772; Sez.3, n.35964 del 04/11/2014, dep. 04/09/2015, Rv.264877; Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, dep. 2014, Rv. 258948).

La contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito (Sez. 5, n. 51248 del 05/11/2014, Rv. 261741; Sez. 2, n. 36438 del 21/07/2015, Rv. 264772; Sez.2, n.2741 del 11/12/2015, dep.21/01/2016, Rv.265825).

Nella specie, non sussiste alcuna incertezza sull'imputazione, in quanto il fatto è stato contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa.

Nel capo di imputazione erano stati indicati per L. S., in relazione al reato di cui alla contestazione, tutti gli elementi essenziali per la comprensione della contestazione e, tra questi, l'importo dell'imposta evasa, superiore alla soglia di punibilità indicata dalla norma e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione.

Per il B., nel capo di imputazione, era stata indicata l'imposta evasa e, come rilevato con argomentazioni congrue dalla Corte territoriale, dagli atti inseriti nel fascicolo e, segnatamente nel verbale della Guardia di Finanza processuale era agevole individuare gli elementi dai quali si evinceva il superamento della soglia di punibilità (pag. 21 della sentenza impugnata).

Conseguentemente, la questione proposta relativa alla qualificazione delle soglie di punibilità, quali elementi costitutivi del reato o condizioni obiettive di punibilità, non assume rilievo ai fini valutazione della eccezione proposta.

La Corte di Appello, inoltre, con argomentazioni specifiche e logiche, ha specificamente motivato in ordine alla insussistenza dei presupposti per la richiesta di assoluzione ex art. 129 cod.proc.pen, confermando la valutazione operata dal giudice di primo grado, (pagg 20 e 21).

2. Il secondo motivo di ricorso articolato da B. P. è inammissibile per difetto di specificità.

Nella sentenza appellata (pag 38) si dà atto che non si prospetta una questione di "ne bis in idem", in quanto la sanzione amministrativa non è mai stata applicata (né richiesta) stante il disposto dell'art. 21 d.lvo 74/2000.

Sulla base di tale rilievo la Corte territoriale rileva come non possa porsi questione di applicazione diretta dell'art. 649 cod.proc.pen. né di rimessione alla Corte di giustizia o di incidente di illegittimità costituzionale.

In merito a tale circostanza il motivo di ricorso prospetta deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata (confronto doveroso per l'ammissibilità dell'impugnazione, ex art. 581 c.p.p., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso: Sez. 6, n. 20377 dell'11.3- 14.5.2009 e Sez.6, n. 22445 dell'8 - 28.5.2009).

Trova dunque applicazione in principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 -dep. 26/06/2013, Sammarco, Rv. 255568).

3. Il terzo motivo di ricorso articolato da B. P. è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistente la recidiva specifica di cui all'art. 99, comma 2, cod. pen., sulla base della sentenza di applicazione della pena divenuta irrevocabile il 1.10.1995 per il delitto di violazione delle norme sulla repressione dell'IVA (vedi pag 41 della sentenza impugnata).

Il ricorrente deduce l'estinzione di tale reato conseguente al decorso dei termini e al verificarsi delle condizioni previste dall'art. 445 cod. proc. pen.

E' vero che, in tema di patteggiamento, la declaratoria di estinzione del reato conseguente al decorso dei termini e al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445 cod. proc. pen. comporta l’estinzione degli effetti penali anche ai fini della recidiva (Sez.6, n. 6673 del 29/01/2016, Rv.266119).

Ed è anche vero che l'estinzione in questione opera ipso iure in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dal 445 comma 2 c.p.p. e non richiede un formale provvedimento da parte del giudice dell'esecuzione (Sez.6, n.6673 del 29/01/2016, Rv.266120; Sez.5, n. 20068 del 22/12/2014, dep.14/05/2015, Rv. 263503)

Nella specie, però, tale estinzione non opera, in quanto il reato "ostativo" (calunnia), come rilevato in sentenza dalla Corte territoriale e dedotto dallo stesso ricorrente in impugnazione, è stato commesso nel quinquennio (24.11.1995, pochi mesi dopo l'irrevocabilità della sentenza di patteggiamento).

Non rileva che la sentenza che lo abbia accertato sia divenuta irrevocabile postquinquennio (in data 2.12.2003, come si evince dalla lettura del sentenza impugnata), in quanto ciò che rileva è la commissione del reato nel quinquennio mentre il relativo accertamento con sentenza irrevocabile può intervenire anche con pronuncia oltre il quinquennio (Sez.l, n. 43792 del 24/09/2015, Rv.264753).

Va, poi, anche ricordato che l'estinzione del reato oggetto di sentenza di patteggiamento, a norma dell'art. 445, comma secondo, cod. proc. pen., è sempre impedita dalla successiva commissione di un delitto nei termini in esso indicati, poiché il requisito della "stessa indole" che deve caratterizzare il nuovo reato al fine di precludere a questo la produzione dell'effetto estintivo in relazione al primo è riferito alle sole contravvenzioni e non anche ai delitti (Sez. l, n.30011 del 05/06/2014, Rv.260285).

Infondato è anche l'ulteriore argomento difensivo, secondo cui essendo stata dichiarata la estinzione degli effetti penali della condanna per esito positivo della messa in prova con riferimento al reato ostativo (calunnia), tale reato non avrebbe più effetto ostativo alla estinzione ex 445 comma 2 c.p.p. del reato patteggiato nell'anno 1995 ed integrante la recidiva specifica ritenuta dalla Corte territoriale.

Deve osservarsi che se è pacifico (Sez. U, n.5859 del 27/10/2011, dep.15/02/2012, Rv.251688) che l'estinzione degli effetti penali per esito positivo affidamento in prova servizi sociali comporta che della condanna non può tenersi conto ai fini della recidiva, è vero che in modo più pertinente al tema che ci occupa - che non è la valutazione di sussistenza della recidiva ma la possibile estinzione ex art. 445 comma 2 del reato che integra la recidiva-, questa Corte ha affermato, in fattispecie analoga (ipotesi di reato estinto ostativo alla declaratoria di estinzione ex art. 445 comma 2 cod.proc.proc), che è preclusa la dichiarazione di estinzione del reato oggetto di una sentenza di patteggiamento se nel termine di cinque anni l’autore di quel reato commette un nuovo delitto, pur se questo è stato oggetto di altra sentenza di patteggiamento ed è stato dichiarato estinto per non aver l’interessato commesso altro reato nei successivi cinque anni, in quanto ciò che conta è che nei cinque anni sia stato commesso un nuovo reato accertato giudizialmente con sentenza passata in giudicato (cfr in termini, Sez. 1 n.34651, Rv. 240684 Sez.l, n.40938 del 30/09/2009, Rv.245565; cfr anche Sez. l, n.32869 del 20/06/2014, Rv.261413, che afferma lo stesso principio in tema di estinzione del reato oggetto di decreto penale di condanna ai sensi dell'art. 460, comma 5, cod.proc.pen.).

Ne consegue che, applicando tale principio anche nel caso in esame, attesa l'omogeneità delle fattispecie, l'estinzione degli effetti penali del reato ostativo (calunnia) non impedisce l'effetto preclusivo alla dichiarazione di estinzione del precedente reato integrante la recidiva (delitto di violazione delle norme sulla repressione iva), in quanto il presupposto previsto dalla legge si era già verificato nel momento della commissione del secondo reato nel successivo quinquennio.

Infondata è anche la censura relativa alla ingiustificata valutazione di sussistenza della recidiva.

E' precipuo compito del giudice del merito verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell'eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali (Sez. Un. 27-5-2010 n. 35738; Sez. 5, 15-5-2009 n. 22871; Sez. 2, 19-3-2008 n. 19557).

Nel caso in esame, la motivazione adottata dalla Corte territoriale risulta adeguata e priva di vizi logici e si attiene ai sopra delineati principi di diritto.

4. Il quarto motivo di ricorso proposto da B. P. è manifestamente infondato.

La manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso ha rilevanza anche ai fini della valutazione della manifesta infondatezza della doglianza relativa all’intervenuta prescrizione dei reati contestati al B..

La ritenuta sussistenza della recidiva specifica, infatti, comporta l'aumento dei termini prescrizionali in base al disposto dell'art. 161 comma 2 cod.pen.

Il termine di prescrizione per i reati contestati al B. è, quindi, ai sensi dell'art. 161 comma 2 cod.pen, pari a nove anni (si tratta di reati puniti con pena inferiore a sei anni-da 1 a 3 anni- il termine ordinario ai sensi dell'art. 157 c.p., pertanto, è pari a sei anni, anche a considerare l'aumento per la recidiva, e considerate le interruzioni ai sensi dell'art. 161 cod.pen. poiché è stata ritenuta e applicata la recidiva specifica, è prolungato della metà).

Ciò posto, il reato più risalente, tra quelli ascritti al B., è quello concernente la dichiarazione infedele relativa all'I.V.A. per l'anno 2005, con consumazione del reato alla data del 17.10.2006; per tale reato il termine di prescrizione va fissato al 17.10.2015.

Con riferimento alla dichiarazione infedele relativa all'I.V.A, ed alle imposte dirette per l'anno 2006, con consumazione dei reati alla data del 7.9.2007 la prescrizione sarebbe maturata il 7.9.2016; con riferimento alla dichiarazione infedele relativa all'I.V.A, per l'anno 2007, con consumazione del reato alla data del 15.9.2008, la prescrizione sarebbe maturata il 15.9.2017.

Per tali ultimi reati, pertanto, la fattispecie estintiva sarebbe maturata in epoca successiva alla data di pronuncia della sentenza di appello.

Conseguentemente, la questione proposta dal ricorrente in ordine alla esatta determinazione dei periodi di sospensione del corso della prescrizione avrebbe rilievo solo per il reato più risalente.

Nondimeno, anche per tale reato il motivo di impugnazione è manifestamente infondato, in quanto lo stesso ricorrente riconosce che la sospensione del corso della prescrizione ammonterebbe almeno a 197 giorni, ossia sei mesi e giorni 17, periodo che aggiunto a quello ordinario di prescrizione (17.10.2015), determinerebbe il completamento della fattispecie estintiva alla data del 4.5.2016, data, comunque, successiva a quella della pronuncia di appello.

5. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso proposto da L. S..

Il termine di prescrizione per i reati contestati alla L., in base al disposto degli artt. 157 e 161 cod.pen. è pari ad anni sette e mesi sei (si tratta di reati puniti con pena inferiore a sei anni-da 1 a 3 anni- il termine ordinario ai sensi dell'art. 157 c.p., pertanto, è pari a sei anni e considerate le interruzioni ai sensi dell'art. 161 cod.pen. è prolungato di un quarto).

Ciò posto, il reato più risalente ascritto alla L., dichiarazione infedele per l'anno 2006 relativa all'I.V.A. per l'anno 2006, con consumazione il 13.9.2007, la prescrizione sarebbe maturata il 13.3.2015.

Con riferimento alla dichiarazione infedele relativa all'I.V.A. per l'anno 2007, con consumazione il 16.9.2008, la prescrizione sarebbe maturata il 16.3.2016.

Per tale ultimo reato, pertanto, la fattispecie estintiva sarebbe maturata in epoca successiva alla data di pronuncia della sentenza di appello.

Conseguentemente, la questione proposta dal ricorrente in ordine alla esatta determinazione dei periodi di sospensione del corso della prescrizione avrebbe rilievo solo per il reato più risalente.

La Corte territoriale ha ritenuto che i periodi di sospensione assommassero ad anni uno mesi uno e giorni sette, così suddivisi: rinvio al 17.10.2013 al 12.12.2013 per rinvio di cortesia; dal 12.12.2013 al 20.2.2014 per rinvio di cortesia; dal 20.2.2014 al 3.7.2014 per astensione del difensore; dal 3.7.2014 al 27.11.2014 per rinvio di cortesia.

Il rinvio dal 17.10.2013 al 12.12.2013 è stato disposto su richiesta espressa del difensore che, dopo aver rinunciato all'audizione dei testi e del consulente di parte, chiedeva di non chiudere l'istruttoria per effettuare eventuali produzioni.

Il rinvio dal 12.12. 2013 al 20.2.2014 è stato disposto per impedimento del difensore per concomitante impegno professionale.

Il rinvio dal 20.2.2014 al 3.7.2014 è stato disposto per l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze.

Il rinvio dal 3.7.2014 al 27.11.2014 è stato disposto su richiesta del difensore per il deposito di memoria difensiva in relazione alla configurabilità del ne bis in idem.

Ciò posto i rinvìi richiesti dal difensore (dal 17.10.2013 al 12.12.2013 e dal 3.7.2014 al 27.11.2014) vanno computati nel periodo di sospensione del corso della prescrizione, in quanto la sospensione del termine di prescrizione, come conseguenza della sospensione del processo, è limitata al periodo di sessanta giorni, oltre al tempo dell'impedimento, nel caso di rinvio dell'udienza per impedimento di una delle parti o di uno dei difensori, ma non anche in caso di rinvio dell'udienza a seguito di richiesta dell'imputato o del suo difensore (Sez. 1, n.5956 del 04/02/2009, Rv.243374); il rinvio dal 20.2.2014 al 3.7.2014, disposto per l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze, va computato nel periodo di sospensione del corso della prescrizione,. In quanto i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall'art. 159, comma primo, n. 3, cod.pen., nel testo introdotto dall'art. 6 della L. 5 dicembre 2005 n. 251, operano soltanto qualora il procedimento sia sospeso per impedimento delle parti o dei difensori e non anche, quindi, quando la sospensione sia disposta in adesione a richiesta non giustificata da un impedimento; ipotesi, quest'ultima, da riconoscersi nel caso di sospensione dovuta a dichiarata adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata dalle associazioni di categoria (Sez.5, n.44924 del 14/11/2007, Rv.237914; Sez.3, n.4071 del 17/10/2007, dep.28/01/2008, Rv.238544; Sez.2, n. 20574 del 12/02/2008, Rv. 239890; Sez.5, n. 18071 del 08/02/2010, Rv. 247142; Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015, Rv.263052); il rinvio dal 12.12. 2013 al 20.2.2014, disposto per impedimento del difensore per concomitante impegno professionale, va computato nel termine di giorni sessanta, in quanto il rinvio dell'udienza per impedimento legittimo del difensore per contemporaneo impegno professionale determina la sospensione del corso della prescrizione fino ad un termine massimo di sessanta giorni a far capo dalla cessazione dell'impedimento stesso, dovendosi applicare in tal caso la disposizione di cui all'art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., nel testo introdotto dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 02/02/2015, Rv. 262913; Sez.6, n. 4886 del 18/12/2015, dep. 05/02/2016 Rv.265955).

I periodi di sospensione del corso della prescrizione sono, quindi, pari a complessivi anni uno mesi uno e giorni due.

Pertanto, il reato più risalente ascritto alla L., si sarebbe prescritto in data 14.4.2016, quindi, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello.

6. Il terzo motivo di ricorso proposto da L. S. è manifestamente infondato.

Va premesso che questa Corte ha avuto modo di precisare (Sez. 3, n. 15449 del 08/4/2015, Mazzarotto, Rv. 263308) che l'art. 131-bis, comma 1 cod. pen. delinea preliminarmente il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, fissando, al comma 4, i criteri di determinazione della pena. Si ulteriormente rilevato, nella richiamata decisione, che la rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilità, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come sì desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Si è osservato, poi, che il primo degli «indici-criteri» (particolare tenuità dell'offesa) si articola, a sua volta, in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa).

Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici requisiti» della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'articolo 133 cod. pen., sussista l'indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.

Va evidenziato che costituisce, principio consolidato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 - bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di " comportamento abituale", ostativa al riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 43816 del 01/07/2015, Rv. 265084; Sez.3, n. 29897 del 28/05/2015, Rv. 264034; Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016, Rv. 267262).

Nella specie, la Corte territoriale ha denegato l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 - bis cod. pen. rimarcando, quali elementi ostativi al riconoscimento, sia le modalità dell'azione (imponenti e reiterate dichiarazioni infedeli) che il vincolo della continuazione tra i reati contestati (pag 61 della sentenza impugnata).

La motivazione è congrua e logica ed in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in subiecta materia.

7. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi con conseguente condanna dei ricorrenti, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

8. L'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez. U. n. 12602 del 25.3.2016, Ricci; Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463; Sez.U, n.23428 del 22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.