Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 03 maggio 2017, n. 10758

Riporto delle perdite - Compensazioni - Perdite pregresse con i maggiori redditi non denunciati - art. 84 TUIR

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 - bis del d.l.. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 255/02/14, depositata il 6 marzo 2014, non notificata, la CTR dell’Abruzzo - pronunciando in sede di rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte sez. 6-5, 1° febbraio 2013, n. 2486, che aveva accolto precedente ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso sentenza della stessa CTR, la quale aveva invece accolto, per quanto qui rileva, l’appello del contribuente sig. F. C. quale titolare di ditta individuale, esercente fabbrica di confetti, avverso la pronuncia di primo grado in punto di ammissibilità della compensazione delle perdite pregresse con i maggiori redditi non denunciati, ma accertati - rigettò l’appello principale proposto dal contribuente ed accolse parzialmente l’appello principale dell’Ufficio nei sensi di cui in motivazione.

Avverso la pronuncia della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, al quale l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo, insistendo nella prospettazione della possibilità di compensare l’eccedenza di perdita per gli anni pregressi con i maggiori redditi accertati, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 84 TUIR e 53 Cost., sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe equivocato sul principio di diritto espresso dalla citata Cass. n. 2486/13, che si sarebbe limitata a sancire la legittimità dell’irrogazione delle sanzioni, ex art. 1 del d. lgs. n. 471/1997 e non già a disconoscere — ciò che sarebbe stato in contrasto con altre pronunce pure ivi richiamate, Cass. sez. 5, ord. 26 settembre 2012, n. 16333 e Cass. sez. 5, ord. 14 giugno 2011, n. 13014 — la possibilità per il contribuente di compensare l’eccedenza di perdita con il maggior reddito accertato con metodo analitico induttivo, in ragione della dichiarazione infedele presentata.

Il motivo è manifestamente infondato.

Come è noto, il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi, ex art. 384, comma 2, c.p.c., al principio di diritto espresso dalla Corte di legittimità nell’ambito della disposta cassazione con rinvio.

Nella fattispecie in esame la citata Cass. n. 2486/13, pronunciando sul motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate avente ad oggetto violazione di norma di diritto, lamentando l’Amministrazione finanziaria che la CTR non aveva considerato «che la compensazione non poteva essere riconosciuta, atteso che il contribuente non aveva indicato tutti i ricavi ed il reddito maggiore conseguito conseguiti e ciò giusta anche la circolare ministeriale n. 188 del 16.7.1998 e la risoluzione del Ministero Fin. N. 1429 del novembre 1976», ebbe ad affermare che «la censura va condivisa in virtù del principio secondo il quale, in tema di IRPEG, IVA ed affini, le sanzioni amministrative previste dal d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, per il caso di dichiarazione infedele, sono dovute, come pure le agevolazioni o compensazioni non vanno riconosciute, a prescindere dalla circostanza che l’imposta, non dichiarata, vada poi effettivamente riscossa, oppure, come nella specie, debba essere compensata con crediti rivenienti dalla definitiva stabilizzazione di perdite fiscali anteriori, sempre che però non vi sia stata una dichiarazione infedele, come nella specie».

La stretta correlazione dell’argomentazione esposta al motivo di ricorso dell’Amministrazione finanziaria che si dichiara espressamente di condividere non lascia residuare dubbi di sorta sulla correttezza dell’interpretazione da parte del giudice di rinvio del principio di diritto affermato con la succitata pronuncia da questa Corte, al quale la CTR si è uniformata in ossequio al principio di cui all’art. 384, comma 2, prima parte, c.p.c..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 83 TUIR e dell’art. 9 del d. lgs. n. 218/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. lamentando che la pronuncia impugnata erroneamente avrebbe affermato l’irrilevanza, ai fini della determinazione del minor reddito d’impresa rispetto a quello accertato in via induttiva in sede di verbale del 13 dicembre 2007, dell’accertamento con adesione, dovendo ad esso attribuirsi natura di riesame da parte dell’Amministrazione, indipendentemente dal mancato perfezionamento della relativa procedura.

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., lamentando che la decisione avrebbe del tutto omesso di valutare la compiuta istruttoria svolta nella procedura di accertamento con adesione, da intendersi idonea ad apprezzare la diminuzione del reddito rispetto a quello accertato.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro connessi.

Essi sono entrambi inammissibili.

Il primo — incontroverso il mancato perfezionamento della procedura di accertamento con adesione — perché parte ricorrente, dolendosi in realtà dell’erronea interpretazione da parte del giudice di merito della proposta dell’Ufficio come avente natura transattiva, avrebbe dovuto censurare la sentenza impugnata per violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, riportando il contenuto della proposta come formulata nel relativo verbale, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. 2, 18 maggio 2016, n. 10271; Cass. sez. 1, 29 agosto 2006, n. 18661).

L’altro non solo in relazione al fatto che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 7 aprile 2014, n. 8053) hanno precisato che l’omessa valutazione di materiale istruttorio non integra di per sé il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., quando il giudice di merito abbia dimostrato di averne tenuto conto, ciò che indubbiamente è accaduto nella fattispecie in oggetto, dando atto del mancato perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, ma anche in considerazione dell’avere espressamente affermato il giudice di merito la non rilevanza della stessa in quanto non perfezionatasi, donde il carattere non decisivo della relativa documentazione.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.