Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 marzo 2017, n. 8439

Accertamento - Art. 12 statuto dei diritti del contribuente (L. 212/00) - Applicabilità

 

Fatti di causa

 

L'Agenzia delle entrate ha notificato alla società un avviso di accertamento contenente varie riprese relative all'anno d'imposta 2004. L'emanazione dell'avviso è stata preceduta da un'attività procedimentale così snodatasi:

-a partire dal 7 aprile 2008 la società è stata sottoposta a verifica per gli anni 2004-2008, compendiata in un processo verbale di constatazione sottoscritto dal suo legale rappresentante;

-a seguito di un invito a comparire il 9 febbraio 2009 l'amministratore e legale rappresentante ha prodotto all'Ufficio la documentazione descritta nel relativo processo verbale all'uopo redatto;

-il 20 ed il 24 febbraio 2009 vi sono stati accessi presso la sede sociale per acquisire documentazione contabile;

-il 12 marzo 2009 si è svolto il contraddittorio tra la contribuente e l'Agenzia concernente la documentazione prodotta, in esito al quale la società si è riservata d'integrare la documentazione;

-in effetti, il 18 marzo 2009 l'amministratore ha inviato all'Ufficio una comunicazione, alla quale ha allegato ulteriore documentazione;

-il procedimento si è chiuso con la notificazione dell'avviso di accertamento, emanato il 24 giugno 2009 e notificato il successivo 29 giugno, che rinviava al processo verbale di accesso e di acquisizione documenti redatto dall'Agenzia in data 26 maggio 2009 nei confronti dell'imprenditore individuale A.H.A. il quale era nel contempo l'amministratore ed il legale rappresentante della s.r.l. F.

La contribuente ha impugnato l'avviso, ottenendone l'annullamento dalla Commissione tributaria provinciale. Di contro, quella regionale ha accolto l'appello dell'Agenzia, escludendo l'applicabilità dello statuto di garanzie prescritto dall'art. 12 dello statuto dei diritti del contribuente, negando, in relazione alla condotta processuale dell'Ufficio, la formazione di qualsivoglia giudicato interno e, nel merito, riconoscendo la legittimità della pretesa impositiva. Contro questa sentenza la società propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a sei motivi, cui l'Agenzia delle entrate replica con controricorso.

 

Ragioni della decisione.

 

1. - Infondato è il primo motivo di ricorso col quale la società, dolendosi della violazione dell'art. 23, 3° co. del d.lgs. n. 546/92 e del relativo difetto di motivazione della sentenza impugnata, sostiene che si sia formato il giudicato interno in ordine all'illegittimità dell'attività procedimentale, perchè l'Agenzia non avrebbe contestato le deduzioni d'irritualità svolte nel ricorso introduttivo. Ciò perché, come correttamente affermato dal giudice d'appello, pure a prescindere dal profilo concernente l'indisponibilità della pretesa tributaria, ai fini dell'applicazione del principio di non contestazione, il relativo onere, e le conseguenze processuali che ne derivano, devono essere riferiti alle allegazioni di fatto, e non alle prospettazioni in diritto formulate dalla controparte (tra varie, Cass., ord. 2 febbraio 2016, n. 1922).

2. - Col secondo e col quarto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perché connessi, la società lamenta rispettivamente la violazione e falsa applicazione dell'art. 12, 7° co., della I. n. 212/00 ed il correlativo vizio di motivazione, là dove il giudice d'appello ne ha escluso l'applicabilità nella fattispecie, nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 52, 6° co., del d.P.R. n. 633/72, là dove la Commissione ha trascurato che il processo verbale dev'essere redatto per tutte le verifiche, anche giornaliere.

In considerazione della sequenza dell'attività procedimentale descritta in narrativa, la complessiva censura si appunta sul segmento di attività successivo al 18 marzo 2009, ossia alla fase successiva agli accessi presso la sede della società, da cui sono scaturite le acquisizioni documentali oggetto di contraddittorio; fase che si è snodata in un accesso presso un'impresa terza rispetto alla società e in attività svoltasi negli uffici dell'Agenzia.

Cosi inquadrata, la censura è infondata.

2.1. - Va premesso che, in generale, il presupposto di applicabilità del complessivo statuto di diritti e di garanzie contemplato dall'art. 12 L. 212/00, compresa l'applicazione del termine dilatorio di sessanta giorni su cui pure la contribuente si sofferma, è dato dall'accesso, dall'ispezione o dalla verifica nei locali aziendali, in quanto il complesso di diritti e garanzie fa da contrappeso all'invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, al fine di conformare e adeguare l'interesse dell'Amministrazione alla situazione, come delineata dagli elementi raccolti dall'ufficio giustappunto grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali (in termini, Cass. 5 aprile 2013, n. 8399; 4 dicembre 2013, n. 27200; 4 aprile 2014, nn. 7957 e 7958, nonché 13 giugno 2014, n. 13588).

Ne consegue che le garanzie in questione sono assicurate esclusivamente al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica nei locali, ma non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l'emissione di un avviso di accertamento (Cass. 26 settembre 2012, n. 16354; conf., in relazione all'ipotesi speculare a quella in esame di un avviso notificato al socio di una s.r.l. in esito ad una verifica concernente la società, ord. 27 settembre 2016, n. 19013); né diritti e garanzie sono operativi se l'amministrazione si avvale di verifiche compiute nei confronti di terzi (Cass. 13 novembre 2013, n. 25515).

2.2. - In particolare, quanto all'Iva, anche la giurisprudenza che fa leva sull'art. 52, 6° co., del d.P.R. 633/72 specifica che la norma prescrive la necessità di redazione di apposito verbale qualora l'accesso vi sia stato, pena la violazione del diritto del contribuente di presentare apposite memorie difensive entro sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione (Cass. 11 settembre 2013, n. 20770; conf., ord. 29 settembre 2016, n. 19331).

2.3. -In questo contesto, le sezioni unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823; conf., 30 dicembre 2015, n. 26117) hanno stabilito che, per i tributi armonizzati come l'Iva, la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta in ogni caso l'invalidità dell'atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l'opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

2.4. - Nel caso in esame, quanto al segmento di attività in relazione al quale, si ribadisce, non v'era obbligo di redazione di apposito verbale, la contribuente, che, pure, aveva lungamente interloquito con l'Agenzia nel periodo pregresso, non ha dedotto, come suo onere, che avrebbe rappresentato, se fosse stato promosso dall'Ufficio il contraddittorio nei suoi confronti, circostanze ulteriori a quelle già esposte.

2.5. - Il che determina l'infondatezza della censura, alla luce dell'orientamento di questa Corte del quale si è dato conto (per soluzione analoga, vedi anche Cass. 28 ottobre 2016, n. 21870), nonché l'assorbimento del quinto motivo di ricorso, col quale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 218/97 ed il corrispondente vizio di motivazione, pur sempre in base al presupposto dell'applicabilità dello statuto di garanzie contemplato dall'art. 12, 7° co., della I. n. 212/00; con la precisazione che anche in questo caso nessun giudicato interno si è prodotto, per le medesime ragioni esposte sub 1.

3. - Inammissibile è poi il  terzo motivo di ricorso, col quale la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 42, 2° co. e u.c. del d.P.R. n. 600/73, in quanto l'avviso di accertamento non ha allegato il verbale concernente A.H.A., né ne ha riprodotto il contenuto essenziale. Quanto alla dedotta violazione di legge, la società non individua alcuna statuizione della sentenza impugnata contraria a legge; in relazione al vizio di motivazione il motivo è privo di autosufficienza, perché non riproduce il contenuto dell'avviso di accertamento, necessario per delibarne la fondatezza.

4. - L'ultima censura è inammissibile, perchè non incanalata in un motivo di ricorso, ma affidata alla confusa esposizione di doglianze di merito.

5. - Il ricorso va in conseguenza rigettato e le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società a pagare le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.