Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2017, n. 18308

Sequestro preventivo - Autoriciclaggio - Sottofatturazioni

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 12 dicembre 2016, il Tribunale di Como in funzione di giudice del riesame respingeva la richiesta di riesame proposta da M.G. avverso l'ordinanza di sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen. emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Como.

1.1 Avverso l'ordinanza ricorre per Cassazione il difensore di M.G., deducendo in primo luogo l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 648 ter cod. proc. pen. ed all'art. 3 D. Lgs. n. 74/2000; il g.i.p. aveva disposto il sequestro di somme di denaro qualificate, quanto alla ricorrente, come profitto del delitto di autoriciclaggio rispetto ad un presupposto reato di dichiarazione fraudolenza ex art.3 D.Lgs. 74/2000, ma le somme dovevano essere state acquisite tra il 13.6.2016 e il 2.11.2016 e quindi relative a redditi asseritamente sottratti all'imponibile della M. per l'anno di imposta 2016, con conseguente obbligo di dichiarazione degli stessi in scadenza il 30.09.2017: pertanto, non sussisteva il reato presupposto dell'autoriciclaggio; inoltre, nessuna delle soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/2000 risultava superato.

1.2 II difensore eccepisce inoltre l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 3 D.Lgs. n. 74/2000, in quanto non si comprendeva a quale indizio di pretesa sottofatturazione si facesse riferimento, posto che nessuna indagine era stata svolta sulla presunta non congruità anche di una sola prestazione resa dalla ricorrente rispetto ad una singola fattura; inoltre il Tribunale del riesame aveva confermato la qualificazione della condotta contestata sotto il titolo della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici sulla base di una lettura del tutto estranea alla fattispecie incriminatrice, in quanto l'art. 3 del D.Lgs. 74/2000 precisava che non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali; il Tribunale faceva poi coincidere i mezzi fraudolenti di cui all'art. 3 del D.Lgs. 74/2000 con la condotta materiale che avrebbe integrato l'autoriciclaggio, sovrapponendo piani non confondibili, e ricorreva ad una nozione palesemente atecnica di dissimulazione, associandola a condotte di circolazione mediante bonifici e consegne materiali di denaro che nulla avevano a che vedere con la nozione di dissimulazione prevista dall'art. 3 D.Lgs. 74/2000 che contrassegna dissimulazioni di tipo negoziale.

1.3 Il difensore lamenta infine violazione di legge in relazione all'art. 648 ter cod.pen.: in assenza di alcun indizio circa la imminente o comunque programmata destinazione delle somme consegnate in Italia verso alcuna delle attività finanziarie, imprenditoriali o economiche, e non già ad un uso esclusivamente personale, nessun fumus rispetto al delitto in questione poteva legittimamente configurarsi.

1.4 Il Procuratore Generale depositava conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

1.5 Il difensore depositava memoria di replica nella quale insisteva nelle conclusioni di cui al ricorso, osservando come lo stesso fosse basato su motivi attinenti alla violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett.b) cod.proc.pen.

 

Considerato in diritto

 

2. Il ricorso è infondato.

2.1 L'art. 3.del D.L.vo 74/2000, in vigore dal 22 ottobre 2015, prevede: "1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:

a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;

b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, è superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila.

2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.

3. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali."

Ciò premesso, in via preliminare, osserva questa Corte che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge: nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, gli "errores in iudicando" o "in procedendo", ma anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093). Non può, invece, essere dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui all'art. 605 cod. proc. pen., lett. e) (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

Ciò posto, come osservato dal Procuratore generale nella requisitoria scritta, il ricorrente si è limitato ad una critica non consentita del provvedimento impugnato non confrontandosi con la puntuale e diffusa motivazione del Tribunale che - quanto al fumus commissi delicti - ha rilevato come l'orientamento di questa Corte di legittimità è nel senso che "in tema di misure cautelari l'accertamento del reato di riciclaggio non richiede l'individuazione dell'esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute. (Nella fattispecie, gli indagati trasportavano nei rispettivi trolley l'ingente somma contante di 500.000,00 euro, della quale non fornivano alcuna plausibile giustificazione)." (Sez.2 n.20188 del 04/02/2015 Cc.(dep. 15/05/2015 ) Rv. 263521.

La Corte ha inoltre individuato il fumus del delitto di autoriciclaggio nell'apertura da parte della ricorrente di un conto corrente negli Emirati Arabi uniti e nel fatto che le somme reintrodotte in Italia, con le modalità occulte evidenziate negli atti di polizia giudiziaria, siano del tutto sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati.

Alcuna carenza di motivazione è prospettabile, avendo il Tribunale argomentato la sussistenza del fumus, neppure relativamente ai rimanenti motivi di ricorso (di cui il Tribunale parla alle pagine 8 e 9 della motivazione), rispettando i principi affermati dalla giurisprudenza. E ciò in quanto il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta pur sempre, in necessaria coerenza con la fase delle indagini preliminari che è di delibazione non piena, ancorato alla verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare reale, da parte del Tribunale del riesame, che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo della congruità degli elementi rappresentati con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria (Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, P.M. in proc. Bulgarella, Rv. 267007; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Privitera, Rv. 263053; Sez. 5, n. 24589 del 18/04/2011 Misseri, Rv. 250397). Diversamente, si finirebbe con lo utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell'accusa, con evidente usurpazione di poteri che sono per legge riservati al giudice del procedimento principale (cfr. Sez. 6, n. 316 del 04/02/1993, Francesconi, Rv. 193854; Sez. 3, 14/10/1994, Petriccione, non massimata sul punto; Sez.3, n. 1970 del 26/04/1996, Beltrami, non massimata sul punto).

2.2 Passando al dettaglio delle rimanenti censure, con il secondo motivo, il ricorrente sostiene che la semplice violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione (comunque contestata), pur se finalizzata ad evadere le imposte, non sia sufficiente, di per sé, ad integrare il delitto di cui all'art. 3 citato; inoltre il Tribunale avrebbe identificato i mezzi fraudolenti tipici del reato presupposto con la condotta tipica del reato di autoriciclaggio; tale tesi non può essere condivisa..

Si deve infatti rilevare come il Tribunale del riesame abbia ritenuto la sussistenza del reato presupposto non soltanto basandosi sulla sottofaturazione, ma anche su una serie di altri elementi di fatto, quali la sproporzione delle somme rientrate in Italia rispetto ai redditi dichiarati e la mancata spiegazione sul perché le somme siano rientrate in Italia tramite corrieri e con le modalità occulte evidenziate negli atti di polizia giudiziaria.

Quanto al rilievo che la stessa condotta integrerebbe due fattispecie di reato diverse, si deve rilevare come i beni giuridici protetti dalle due norme siano diversi e che vi è stata una sottofatturazione con le attività dissimulative sopra indicate, con l'aggiunta che vi è stato un pagamento estero su estero di somme che non sono finite sul conto della M., ma di una società svizzera.

2.3 Per quanto riguarda il punto 1.3, si deve rilevare come la lamentata mancanza di destinazione delle somme verso attività finanziarie, imprenditoriali o economiche (pag. 13 ricorso) sia smentita dal fatto che vi è stata una attività finanziaria in quanto ci sono stati passaggi di somme tramite società che si occupano di attività finanziarie, posto che la ricorrente ha mandato somme dal conto di Dubai alla Fidenzia Consulting e poi alla Solventa SA, società che si occupano appunto di attività finanziarie; inoltre, non vi è alcuna prova che le somme in contanti sequestrate siano quelle di cui ai trasferimenti sopra indicati, posto che il pagamento disposto dalla M. è finito non su altro conto a lei intestato, ma ad una società svizzera

3. Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.