Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 marzo 2017, n. 8131

Licenziamento disciplinare - Sospensione dal servizio - Violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà - Prestazione lavorativa presso un’altra testata giornalistica - Mancata autorizzazione

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 14.1.13 il Tribunale di Campobasso dichiarava illegittimi i provvedimenti di sospensione dal servizio e di licenziamento disciplinare intimati dalla Cooperativa Editoriale Giornalisti M. S.r.l. a G. V. per avere costui prestato, in violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà previsti dagli artt. 2104 e 2105 c.c. e in contrasto con gli interessi morali e materiali del datore di lavoro, attività giornalistica per la testata "Il Centro". Per l'effetto, ex art. 8 legge n. 604/66 condannava la società a riassumere il dipendente entro tre giorni o, in mancanza, a pagargli un'indennità pari a 4 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Con sentenza depositata il 13.2.14 la Corte d'appello molisana, in totale riforma della pronuncia di prime cure, rigettava la domanda.

Per la cassazione della sentenza ricorre G. V. affidandosi a due motivi.

La Cooperativa Editoriale Giornalisti M. S.r.l. resiste con controricorso.

Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1.1. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 132 e 118 c.p.c., 111 Cost., 7 legge n. 300/70, 2105 e 2595 e ss. c.c., nonché omesso esame d’un fatto decisivo, per avere la sentenza impugnata ravvisato una giusta causa di licenziamento in un fatto diverso da quello contestato: si sostiene in ricorso che, mentre la contestazione disciplinare aveva ad oggetto l’aver prestato, senza autorizzazione della società, attività giornalistica per la testata "Il Centro", la Corte territoriale ha invece ravvisato come giusta causa l'avere il ricorrente ceduto alla testata concorrente propri articoli di cronaca sportiva che aveva già scritto per conto del proprio datore di lavoro, vale a dire per conto della Cooperativa Editoriale Giornalisti M. S.r.l., editrice della testata "Primo Piano Molise"; inoltre, prosegue il ricorso, apoditticamente i giudici di merito hanno affermato che gli articoli pubblicati presso le due testate sarebbero stati sostanzialmente sovrapponibili per l'oggetto specifico trattato (il singolo evento sportivo), confondendo tra loro l'evento sportivo e la sua elaborazione giornalistica, che era stata diversa negli articoli pubblicati sulle due testate. Altrettanto erroneamente, prosegue il ricorrente, la gravata pronuncia ha ravvisato la prova d'un rapporto concorrenziale fra le due testate, trascurando che, affinché due imprenditori possano essere in concorrenza tra loro, devono operare su prodotti o servizi diretti a soddisfare le stesse esigenze e collocati sullo stesso mercato, mentre il quotidiano molisano "Primo Piano Molise" non è diffuso nella zona di Chieti.

1.2. Il secondo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132 e 118 c.p.c., 111 Cost., 2104, 2105 e 2119 c.c. e omesso esame d'un fatto decisivo, nella parte in cui i giudici d'appello hanno ritenuto proporzionata la sanzione espulsiva, visto il carattere non sporadico od occasionale degli articoli pubblicati su "Il Centro": obietta il ricorrente di non aver in alcun modo tentato di occultare gli articoli (firmati in prima persona), di non avere precedenti disciplinari e di non aver recato danno alcuno alla società, che per ben due anni non era mai intervenuta, mostrando di accorgersi dell'attività prestata per conto della testata "Il Centro" solo poco tempo prima del licenziamento.

2.1. Il primo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha considerato valido il licenziamento in base alla medesima contestazione disciplinare elevata nei confronti dell'odierno ricorrente, vale a dire l'aver prestato, senza autorizzazione della società, attività giornalistica per la testata "Il Centro", avendo egli assunto "incarichi in contrasto con gli interessi morali e materiali dell'azienda di appartenenza" (v. pag. 5 della sentenza impugnata) per conto di tale testata, considerata concorrente con il quotidiano molisano "Primo Piano".

Il riferimento agli articoli costituenti patrimonio dell'odierna controricorrente (che si legge sempre nella sentenza de qua) altro non è che l'esplicitazione della forma concreta in cui si è svolta l'attività concorrenziale, non già un nuovo e diverso addebito rispetto a quello oggetto della lettera di contestazione, che - anzi - faceva espresso riferimento proprio ad essi.

Né la contestazione risulta modificata dal rilievo (oggetto di accertamento in fatto, in quanto tale insindacabile da questa S.C.) che gli articoli pubblicati sul quotidiano "Il Centro" altro non fossero che dei meri riadattamenti, con differente taglio giornalistico, di altri analoghi pubblicati su "Primo Piano Molise": in proposito basti rammentare che, per costante giurisprudenza, il principio di necessaria corrispondenza tra l'addebito contestato e quello posto a fondamento della sanzione disciplinare non può ritenersi violato qualora, contestati atti corrispondenti ad un'astratta previsione legale, il datore di lavoro alleghi, nel corso del procedimento disciplinare, circostanze confermative o ulteriori prove, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre (cfr., per tutte, Cass. n. 6091/10), come avvenuto nel caso in esame.

Proseguendo oltre, come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr., ex aliis, Cass. n. 14249/15; Cass. n. 144/15; Cass. n. 6501/13; Cass. n. 5629/2000), l'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c., integrato dai generali doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nello svolgimento del rapporto contrattuale, deve intendersi come divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi o come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del dipendente nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto.

Nel caso di specie, la lesione dell'obbligo di fedeltà ha assunto le forme della prestazione d'opera a favore di terzi concorrenti, che costituisce ipotesi paradigmatica di violazione degli artt. 2105, 1175 e 1375 c.c. (cfr., ex aliis, Cass. n. 5629/2000 cit.).

Si obietta in ricorso che le due testate - "Il Centro" e "Primo Piano" - sono diffuse in aree geografiche diverse (la prima in provincia di Chieti, la seconda nel Molise) e, quindi, non operano nel medesimo mercato: ma, a parte il rilievo che si tratta di aree geografiche tra loro contigue (il che appartiene alla categoria del notorio), deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha, con corretta motivazione, ravvisato la sostanziale coincidenza dei bacini d'utenza delle due testate, considerato altresì che gli articoli dell'odierno ricorrente riguardavano gli stessi eventi sportivi locali oggetto di interesse da parte di entrambi i quotidiani.

Si tratta di affermazione insindacabile in sede di legittimità, essendo l'identificazione in concreto del mercato in cui operano soggetti concorrenti un mero accertamento di fatto.

Infine, va disattesa la censura di omesso esame d'un fatto decisivo, avendo in realtà la Corte territoriale esaminato tutte le circostanze fattuali dedotte dalle parti, pervenendo ad una loro valutazione in senso difforme da quanto auspicato dal ricorrente.

2.2. Anche il secondo motivo è infondato.

Per costante giurisprudenza, il giudice di merito deve valutare se vi è proporzione tra l'infrazione commessa dal lavoratore e la sanzione irrogatagli. A tal fine deve tenere conto anche delle circostanze oggettive e soggettive della condotta e di tutti gli altri elementi idonei a verificare se il disposto dell'art. 2119 c.c. - richiamato dall'art. 1 della legge n. 604/66 - sia adeguato alla fattispecie concreta (cfr., ex aliis, Cass. n. 8456/11; Cass. n. 736/02; Cass. n. 1144/2000).

In altre parole, il giudice investito della domanda con cui si chieda l'invalidazione d'un licenziamento disciplinare, accertatane in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, deve controllare che l'infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di recesso (ossia che costituisca notevole inadempimento degli obblighi del dipendente) e, in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto (e non semplicemente in astratto) la gravità della condotta. Infatti, è pur sempre necessario che essa rivesta il carattere di grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia e sia idonea a ledere irrimediabilmente l'affidamento circa la futura correttezza nell'eseguire la prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi che gli fanno carico (cfr., ex aliis, Cass. n. 15058/15; Cass. n. 2013/12; Cass. n. 2906/05; Cass. n. 16260/04; Cass. n. 5633/01).

In breve, la proporzionalità della condotta va indagata sia in astratto (rispetto alle previsioni pattizie e alla nozione legale di giusta causa o giustificato motivo) sia in concreto, vale a dire in relazione alle singole circostanze oggettive e soggettive che l'hanno caratterizzata.

È quel che ha fatto l'impugnata sentenza nel momento in cui ha motivatamente posto l'accento sulla gravità della condotta addebitata, in considerazione del suo lungo protrarsi nel tempo e senza che il ricorrente ne informasse i superiori. Così facendo - prosegue la gravata pronuncia - G. V. ha tratto utilità esclusivamente personali grazie ad una sostanziale duplicazione sul quotidiano "Il Centro" di articoli che aveva già redatto per conto di "Primo Piano Molise", senza neppure dover investire altra energia lavorativa che non fosse stata già remunerata dal proprio datore di lavoro.

Anche queste ultime sono valutazioni in punto di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità (cfr., ex aliis, Cass. n. 7948/11).

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.600,00 di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.p.r. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.