Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 dicembre 2016, n. 27031

Infortunio sul lavoro - Aggravamenti successivi e sopravvenuti alla formazione del giudicato - Risarcimento danni - Liquidazione

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 487/2010, depositata il 18 febbraio 2011, la Corte di appello di Venezia, in accoglimento dell'appello incidentale di E. S.p.A., dichiarava inammissibile la domanda, con la quale G.B., successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il relativo giudizio, aveva chiesto il risarcimento dei danni che assumeva essergli ulteriormente derivati dall'infortunio subito il 22/11/1995.

La Corte osservava a sostegno della propria decisione, con il richiamo a precedenti di legittimità, che il lavoratore, nel precedente giudizio, non aveva dichiarato, né in sede di ricorso introduttivo della lite, né nel corso del procedimento, di voler limitare in alcun modo le proprie domande risarcitorie, con la conseguenza che era da ritenersi operante l'eccepita preclusione a richiedere ulteriori danni, pur verificatisi, per ipotesi, e così come sostenuto, dopo il passaggio in giudicato delle pronunce che tale giudizio avevano definito.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il B., affidandosi a due motivi; hanno resistito con controricorso E. S.p.A. e l'assicuratrice di questa Z.I.P.L.C.

Il ricorrente ed E. S.p.A. hanno depositato memorie illustrative.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2059 e 2909 c.c., censura la sentenza impugnata per non avere dato erroneamente ingresso all'esame del merito della domanda e ciò sulla base di principi di diritto non direttamente sovrapponibili alla fattispecie concreta, a fronte invece di un orientamento di legittimità, di cui alla sentenza n. 5576/1984, che tale esame avrebbe imposto.

Il motivo è inammissibile, sotto un duplice e distinto profilo.

Esso, infatti, e in primo luogo, trascura di fare oggetto di specifica censura la regola di diritto posta dal giudice di merito a supporto della propria statuizione di inammissibilità della domanda e cioè quella parte della sentenza impugnata in cui la Corte territoriale, rilevando come, nel precedente giudizio (conclusosi con le sentenze della stessa Corte n. 42/2001 e 437/2003, passate in giudicato), il B. non avesse in alcun modo, né inizialmente né nel corso del procedimento, "dichiarato di limitare la sua richiesta (proiettata anche al futuro per l'avvenuta liquidazione tramite tabelle)", così che doveva considerarsi "verificata l'eccepita preclusione a richiedere ulteriori danni, anche se ipoteticamente verificatisi dopo il passaggio in giudicato" (cfr. p. 12, ultimo capoverso), ha affermato l'inclusione nel perimetro logico e giuridico del decisum di ogni pretesa risarcitoria causalmente ricollegabile al fatto illecito, ove non espressamente riservata ad un futuro e separato giudizio.

In secondo luogo, il motivo in esame risulta inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che, nel solco del richiamato orientamento di cui a Cass. n. 5576/1984, avrebbe dovuto il ricorrente indicare in quali atti fossero stati dedotti gli elementi idonei, secondo il medesimo orientamento, a consentire la revisione della liquidazione del danno a causa di aggravamenti successivi e sopravvenuti alla formazione del giudicato: elementi che, come precisato in detta pronuncia (e nelle risalenti Cass. n. 3905/1977 e n. 2452/1964), sono riconducibili (a) ad un'obiettiva impossibilità di accertare, al momento della prima liquidazione, fattori attuali capaci, nell'ambito di una ragionevole previsione, di determinare l'aggravamento futuro; (b) all'impossibilità, ancora con riferimento alla prima liquidazione, di prevederne gli effetti; (c) all'insussistenza di un evento successivo avente efficacia concausale dell'aggravamento.

Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza per avere condiviso le motivazioni di rigetto nel merito del giudice di primo grado, senza aver considerato elementi di segno opposto, e comunque per essere incorsa in una motivazione perplessa.

Il motivo è infondato.

La sentenza di secondo grado si è, infatti, limitata, all'interno del corpo motivazionale, ad una trasposizione di parti della pronuncia del Tribunale di Venezia, senza, peraltro, attribuirvi in alcun modo, mediante una qualche formula di condivisione, il significato di un'autonoma ratio decidendi, la quale, pertanto, è da ritenersi confinata alla ritenuta (e assorbente) inammissibilità della domanda in conseguenza del passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito il precedente giudizio tra le stesse parti.

Il ricorso deve conseguentemente essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, quanto a E. S.p.A., in euro 4.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, e, quanto a Z.I., in complessivi euro 3.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge con riferimento ad entrambi gli importi.