Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 febbraio 2018, n. 2601

Accordi collettivi aziendali - Tacito rinnovo annuale fatta salva eventuale disdetta - Disdetta tardiva - Erogazione premio aziendale - Forma scritta della disdetta ad substantiam - Non sussiste - Principio generale della libertà della forma - Sanzione a pena di nullità solo se prevista dalla legge o dall'autonomia privata

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza pubblicata ¡1 13.9.12 la Corte d'appello di Milano confermava la condanna di B. A., Sede secondaria in Italia, a pagare per il periodo ottobre 2004 - luglio 2005 ai suoi dipendenti di cui in epigrafe il premio aziendale di cui agli accordi collettivi aziendali 5.7.74, 6.7.79 e successivi aggiornamenti.

2. Rilevava la Corte territoriale che tali accordi avevano previsto la possibilità di tacito rinnovo annuale fatta salva eventuale disdetta da manifestarsi entro il 31 gennaio di ciascun anno. La società sosteneva di aver dichiarato la propria disdetta dapprima verbalmente nel corso di una riunione con le organizzazioni sindacali tenutasi il 27.1.04, poi per iscritto con lettera del 29 gennaio 2004. Ma - notavano i giudici di merito - essendo pervenuta ad una delle parti stipulanti solo il 3 febbraio successivo, la disdetta doveva considerarsi tardiva, con conseguente rinnovo degli accordi fino alla scadenza del luglio 2005.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre B. A. (oggi incorporata da P. M. G.) affidandosi a otto motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

4. I controricorrenti di cui in epigrafe resistono con due separati atti (R. P., S. B., M. D., V. C. e M. S. B. con controricorso a ministero dell'avv. G. P., tutti gli altri con controricorso a ministero degli avv.ti A. B., F. P., P. P. e C. de M.).

5. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

 

Ragioni della decisione

 

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 1373, 1334, 1350, 1362, 2721, 2722, 2725 e 2726 cod. civ., per avere l'impugnata sentenza negato efficacia alla disdetta degli accordi relativi al premio aziendale manifestata oralmente dalla società (nel corso dell'incontro del 27.1.4 con le organizzazioni sindacali), ritenendo all'uopo necessaria la forma scritta, nonostante che - obietta la ricorrente - per il recesso tale forma sia dovuta solo se espressamente pattuita o se concernente un contratto solenne ex art. 1350 cod. civ.; nel caso di specie la disdetta, espressa dapprima in forma orale dalla società alle organizzazioni sindacali il 27.1.04, doveva quindi considerarsi tempestiva e la relativa prova testimoniale consentita, non soggiacendo ai limiti per essa previsti dal codice.

1.2. Il secondo motivo deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. in relazione agli artt. 24 Cost. e 101 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che solo la forma scritta avrebbe potuto fornire la prova certa della disdetta, stante la rilevanza di tale negozio, nonostante che - replica la società ricorrente - tale assunto non trovi conforto in alcuna previsione di legge o di convenzione tra le parti.

1.3. Il terzo motivo deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 244 cod. proc. civ. perché i capitoli di prova erano - contrariamente a quanto statuito dai giudici di merito - specifici e idonei a provare l'avvenuta disdetta orale degli accordi collettivi concernenti il premio aziendale.

1.4. Il quarto motivo denuncia vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nell'avvenuta disdetta verbale - data nel corso della riunione del 27.1.4 - della contrattazione integrativa aziendale Standa (società che a suo tempo aveva ceduto l'azienda all'odierna ricorrente);

1.5. Il quinto motivo prospetta un vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso che è stato oggetto di discussione tra le parti, là dove la Corte territoriale non ha considerato che la decadenza dalla disdetta (quella scritta era stata spedita il 29.1.04) è impedita già dalla sua mera consegna all'agente postale, di guisa che il dichiarante non può soffrire le conseguenze sfavorevoli di eventuali altrui ritardi.

1.6. Doglianza sostanzialmente analoga a quella svolta nel motivo che precede viene fatta valere con il sesto mezzo, sotto forma di denuncia di violazione o falsa applicazione degli artt. 139, 148 e 149 cod.proc.civ., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;

1.7. Con il settimo motivo ci si duole di violazione o falsa applicazione dell'art. 641 cod. proc. civ. in relazione al motivo di gravame con cui la società aveva sostenuto la nullità dei decreti ingiuntivi nn. 30740/08, 17718/08, 17719/08 e 17720/08 (l'opposizione ai quali da parte della società aveva originato il presente giudizio) in quanto privi dell'indicazione del termine entro il quale pagare la somma ingiunta: su tale motivo di gravame - lamenta la ricorrente - nulla aveva risposto la sentenza impugnata.

1.8. Doglianza sostanzialmente analoga a quella svolta nel motivo che precede viene fatta valere con l'ottavo mezzo, sotto forma di denuncia di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso che è stato oggetto di discussione tra le parti.

2.1. I primi due motivi di ricorso - da esaminarsi congiuntamente perché connessi - sono fondati.

Per quanto concerne gli accordi o contratti collettivi di lavoro, una volta venuto meno l'ordinamento corporativo e, con esso, l'art. 2072 cod. civ., inizialmente Cass. n. 5119/87, Cass. n. 5034/89 e Cass. n. 823/93 affermarono la necessità della forma scritta ad substantiam, desunta vuoi dal rispetto del principio dell'affidamento vuoi da norme come, ad esempio, gli artt. 2113 e 2077 cod. civ., l'art. 3 legge n. 741 del 1959 o l'art. 425 cod. proc. civ., che implicitamente presuppongono una forma scritta.

Difforme statuizione fu adottata da Cass. n. 8083/87 nel risolvere il diverso, ma connesso, problema della necessità della forma scritta per il mandato conferito dai lavoratori ai rappresentanti sindacali, relativo alla conclusione di un accordo aziendale avente ad oggetto la sospensione del rapporto: tale sentenza ritenne valido il mandato, conferito con comportamenti concludenti, in quanto non era prevista la forma scritta ad substantiam per la stipulazione dell'accordo aziendale (Cass. n. 8083/87).

Ancora per la non configurabilità d'una forma scritta ad substantiam si pronunciò Cass. n. 4030/93.

Si giunse, infine, alla sentenza n. 3318/95, con cui le S.U. di questa S.C. statuirono che, in mancanza di norme che prevedano, per i contratti collettivi, la forma scritta e in applicazione del principio generale della libertà della forma (in base al quale le norme che prescrivono forme peculiari per determinati contratti o atti unilaterali sono di stretta interpretazione, ossia insuscettibili di applicazione analogica), un accordo aziendale è valido anche se non stipulato per iscritto.

In senso conforme si pronunciò Cass. n. 11111/97.

Non si ravvisano ragioni idonee a mutare quest'ultimo indirizzo interpretativo, a tal fine non bastando le pur evidenti esigenze funzionalistiche che consigliano l'adozione d'un testo scritto, ma che di per sé non possono imporlo in difetto d'una sanzione a pena di nullità prevista dalla legge o dall'autonomia privata.

Per questa ragione non vale invocare gli artt. 2077 o 2113 cod. civ., l'art. 3 legge n. 741 del 1959, l'art. 425 cod. proc. civ. od altre analoghe disposizioni in cui il testo scritto - non sancito a pena di nullità - è implicitamente presupposto a fini meramente ricognitivi.

In altre parole, va mantenuto saldo il consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale in virtù del quale le norme secondo cui determinati contratti o atti devono essere posti in essere con una forma particolare sono di stretta interpretazione.

Ciò sia detto in ossequio al principio di libertà delle forme che deriva dall'art. 1325 n. 4 cod. civ. (fermo restando che qualsiasi atto, per esistere nel mondo giuridico, deve pur sempre manifestarsi all'esterno ed assumere, quindi, una qualche forma, sia essa verbale, scritta, per fatti concludenti etc.).

Ne discende che è corretto parlare comunemente di forma libera, come regola, di forma vincolata, come eccezione.

È pur vero che in alcune ipotesi questa Corte ha statuito la necessità della forma scritta anche in assenza di espressa disposizione normativa, ma ciò è avvenuto in base ad un'interpretazione estensiva e non analogica di norme che imponevano la redazione per iscritto di atti connessi, come avvenuto - ad esempio - per il contratto che risolva un preliminare comportante l'obbligo di trasferire la proprietà o diritti reali su immobili (v. Cass. n. 13290/15 fino a risalire, indietro nel tempo, a Cass. S.U. n. 8878/90).

Una volta stabilita la libertà della forma dell'accordo o del contratto collettivo di lavoro, la medesima libertà deve essere ravvisata anche riguardo agli atti che ne siano risolutori, come il mutuo dissenso (art. 1372, comma 1, cod. civ.) o il recesso unilaterale (o disdetta) ex art. 1373, comma 2, cod. civ.

Tanto deriva dal consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale per cui il recesso è un negozio recettizio che, pur non richiedendo formule sacramentali, nondimeno resta assoggettato agli stessi vincoli formali eventualmente prescritti per il contratto costitutivo del rapporto al cui scioglimento sia finalizzato (cfr. Cass. n. 14730/2000, Cass. n. 5454/90 e Cass. n. 5059/86).

Ove tali vincoli non siano previsti - come nel caso degli accordi o dei contratti collettivi di lavoro - si riespande il principio della libertà della forma della manifestazione di volontà, tanto per il contratto quanto per i negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex art. 1373, comma 2, cod. civ.).

È, poi, opportuno precisare che anche per la forma ad probationem tantum è necessaria un'apposita previsione (che nel caso di specie non sussiste) e che esula dalla presente sede il discorso attinente alla forma definita <<integrativa>> da quella parte della dottrina che la ricava dalle norme che prevedono una determinata forma al solo fine di far sì che il contratto produca tra le parti effetti ulteriori rispetto a quelli tipici e immediati (v., ad es., artt. 1524, 1605, 2787 e 2800 cod. civ.).

2.2. La qui ribadita libertà della forma del contratto collettivo di lavoro e dei negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex art. 1373, comma 2, cod. civ.) reca con sé la fondatezza - nei sensi qui di seguito meglio chiariti - degli ulteriori motivi di censura (terzo e quarto, connessi) riferiti alla mancata ammissione delle prove testimoniali a tal fine chieste e coltivate dalla ricorrente e all'esame delle circostanze di fatto dedottevi.

La società ricorrente è onerata ex art. 2697, comma 2, cod. civ. della dimostrazione (in quanto ricopre il ruolo sostanziale di convenuto eccipiente) sia dell'esistenza d'una effettiva disdetta verbale espressa nel corso della summenzionata riunione del 27.1.04 sia del carattere meramente confermativo della successiva lettera del 29 gennaio 2004, per superare la contraria affermazione secondo cui, invece, in quella riunione le parti avrebbero pattuito la comunicazione scritta del recesso.

A sua volta l'onere di comunicare per iscritto la disdetta, ove pattuito nel corso della summenzionata riunione del 27.1.04, risulterebbe rilevante non ai fini degli artt. 1351 o 1352 cod. civ., ma perché una pattuizione del genere equivarrebbe ad una concorde richiesta di ripensamento tale da inficiare un'ipotetica iniziale volontà di recesso da parte aziendale, così implicandone l'assenza o (il che è lo stesso ai presenti fini) la non attualità alla data del 27.1.04.

Nel caso di specie comunque non soccorrerebbe l'art. 1351 cod. civ. (applicabile solo quando una determinata forma sia stabilita dalla legge e non pure quando essa sia stata prevista dalle parti per un contratto per il quale la legge non dispone alcunché: cfr. Cass. n. 3980/81) né l'art. 1352 cod. civ. (perché il vincolo d'una futura forma può, a sua volta, essere posto soltanto per iscritto).

Di tali principi non ha fatto applicazione la sentenza impugnata, che - in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. - è pervenuta al diniego della prova (ritualmente chiesta dalla società ricorrente, con capitoli tutt'altro che generici) in base all'erroneo presupposto che nella vicenda in esame la disdetta non potesse provarsi che in forma scritta.

Né alla possibilità d'una prova testimoniale della disdetta de qua vi sono ostacoli normativi, vuoi perché ex art. 421, comma 2, cod. proc. civ. nel processo del lavoro non si applicano i limiti alla prova testimoniale previsti dagli artt. 2721, 2722 e 2723 cod. civ. (cfr., per tutte, Cass. n. 9228/09), vuoi perché tali limiti sono riferibili ai soli contratti e non anche agli atti unilaterali (cfr., per tutte, Cass. n. 5417/14).

2.3. Sono infondati il quinto e il sesto motivo di ricorso (da trattarsi congiuntamente perché connessi), dovendosi dare continuità alla giurisprudenza delle S.U. di questa S.C. (v. sentenza n. 24822/15) secondo cui la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario - introdotta dall'art. 149, comma 3, cod. proc. civ., aggiunto dall'art. 2, comma 1, legge n. 263 del 2005 e, ancor prima, sancita dalla sentenza n. 477/02 della Corte cost. - si applica solo agli atti processuali e agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, come avviene - ad esempio - riguardo all'interruzione della prescrizione di azione costitutiva, che non può realizzarsi se non esercitando in giudizio l'azione medesima.

Non è questo il caso in esame.

2.4. Ancora infondati sono il settimo e l'ottavo motivo.

Nel vigente ordinamento processuale, ispirato ad un assetto teleologico delle forme, la loro inosservanza importa nullità solo se espressamente comminata dalla legge (v. art. 156, comma 1, cod. proc. civ.) o se tale da rendere l'atto inidoneo a raggiungere il suo scopo (v. art. 156, comma 2, stesso codice).

Non è questa l'ipotesi della fissazione del termine entro il quale pagare la somma ingiunta ex art. 641 cod. proc. civ.

È, poi, appena il caso di segnalare l'irrilevanza del motivo di censura, atteso che, per costante ed ultratrentennale insegnamento giurisprudenziale, l'opposizione a decreto ingiuntivo non costituisce un'impugnazione del decreto volta a farne valere vizi originari, ma dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione di merito inteso all'accertamento del credito inizialmente fatto valere in via monitoria.

Pertanto, la sentenza che decide la controversia deve accogliere la domanda dell'attore (vale a dire del creditore istante), rigettando conseguentemente l'opposizione, quante volte abbia a riscontrare che i fatti costitutivi del diritto azionato risultino esistenti e provati al momento della decisione, indipendentemente dall'ammissibilità o validità del decreto e/o dalla fondatezza della pretesa nel momento in cui fu presentato il ricorso ex art. 633 cod. proc. civ.(cfr., ex aliis, Cass. n. 20858/12; Cass. n. 9927/04; Cass. n. 6421/03; Cass. n. 2573/02; Cass. n. 5055/99; Cass. n. 1494/99; Cass. n. 807/99, Cass. n. 3628/87).

3.1. In conclusione, il ricorso è da accogliersi nei sensi di cui in motivazione, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione, che dovrà accertare se e in che termini nella summenzionata riunione del 27.1.04 vi sia stata un'effettiva disdetta orale degli accordi collettivi aziendali 5.7.74, 6.7.79 e successivi aggiornamenti.

Ciò il giudice di rinvio dovrà verificare alla luce dei seguenti principi di diritto:

a) il principio di libertà della forma si applica anche all'accordo o al contratto collettivo di lavoro di diritto comune, di guisa che essi - a meno di eventuale diversa pattuizione scritta precedentemente raggiunta ai sensi dell'art. 1352 cod. civ. dalle medesime parti stipulanti - ben possono realizzarsi anche verbalmente o per fatti concludenti;

b) tale libertà della forma dell'accordo o del contratto collettivo di lavoro concerne anche i negozi connessivi, come il recesso unilaterale ex art. 1373, comma 2, cod. civ.;

c) la parte che eccepisce l'avvenuto recesso unilaterale è onerata ex art. 2697, comma 2, cod. civ. della prova relativa e, ove alla manifestazione orale segua, su richiesta dell'altro o degli altri contraenti, una dichiarazione scritta del medesimo tenore, è altresì onerata della prova del carattere meramente confermativo - anziché innovativo - di tale successiva dichiarazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.