Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 01 febbraio 2018, n. 2543

Tributi locali - TARSU - Accertamento - Parcheggio pubblico - Indennità di occupazione area pubblica

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell'art. 1 - bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197/2016;

dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

La CTR della Toscana, con sentenza n. 1281/1/2015, depositata il 13 luglio 2015, non notificata, accolse l'appello proposto dal Comune di Carrara nei confronti della società P.C. S.p.A. (di seguito società) avverso la sentenza della CTP di Massa Carrara, che aveva invece accolto il ricorso proposto dalla società, avverso avviso di accertamento per TARSU per l'anno 2007, relativamente ad area di circa mq 6150 antistante il porto di levante.

Avverso la pronuncia della CTR la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Comune di Carrara resiste con controricorso.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 507/1993, in relazione all'art. 2729 c.c., al principio di ripartizione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., nonché dell'art. 115, comma 1, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., assumendo che gli elementi valutati dal giudice tributario d'appello per affermare in via presuntiva la sussistenza del presupposto impositivo, sarebbero privi dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c., ciò rendendo viziata altresì la decisione in punto di riparto dell'onere della prova, incombendo la dimostrazione della sussistenza del presupposto impositivo all'Amministrazione comunale.

Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., precisamente: la circostanza relativa all'essere l'area in oggetto priva di recinzione; l'ubicazione, sulla medesima area, di un Luna Park; il libero accesso all'area da parte degli autotrasportatori e delle Agenzia marittime senza previa autorizzazione da parte della società P.C. S.p.A e senza pagamento di alcuna tariffa; la comunicazione effettuata dalla società al Comune relativamente alla presenza di situazioni (come la necessità d'imbarco di un macchinario della Il N.P. S.p.A.), che avrebbero comportato per un determinato periodo di tempo l'inaccessibilità del parcheggio pubblico; il disconoscimento da parte della società del fondamento della pretesa del Comune di esigere la c.d. indennità di occupazione per l'area in questione; circostanze tutte che — secondo la ricorrente — ove debitamente esaminate, avrebbero certamente determinato un diverso esito del giudizio.

In subordine la ricorrente ha articolato altri due motivi, con il primo dei quali (terzo motivo) ha denunciato la violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 58, 59, 61 e 62 del d. lgs. n. 507/1993, anche in relazione agli artt. 3 e 53 Cost. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per non aver riconosciuto la sentenza impugnata che la società non poteva essere gravata dalla relativa imposizione, non avendo beneficiato del servizio di smaltimento, siccome non svolto dall'Amministrazione, seppur istituito, sollevando, al riguardo, questione di legittimità costituzionale degli artt. 58, 59, comma 4 e 62 del d. lgs. n. 507/1993, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.

Infine con il quarto motivo, riproponendo analoga questione di legittimità costituzionale, la ricorrente denuncia l'omesso esame, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c., di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, inerente al mancato espletamento del servizio per gli anni in contestazione da parte del Comune di Carrara.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro connessi.

Appare fondata in proposito l'eccezione d'inammissibilità degli stessi da parte del controricorrente, seppure in virtù di considerazioni in parte diverse da quelle esposte dal Comune controricorrente, che ha dedotto che, pur nella forma del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto per erroneità del ragionamento inferenziale e del vizio di omesso esame di fatti decisivi nel contesto della nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., parte ricorrente abbia in realtà inteso sollecitare alla Corte una diversa valutazione del materiale istruttorio rispetto a quella operata dal giudice di merito, tanto nel primo grado di giudizio quanto in grado d'appello.

Invero non appare oggetto, pur nel quadro di una valutazione sistematica di ciascun motivo, di specifica censura la statuizione in virtù della quale la CTR ha affermato che esiste una presunzione legale di produzione dei rifiuti che può tuttavia essere superata se il contribuente riesce a provare l'inidoneità del locale a produrre i rifiuti stessi, e non semplicemente la non utilizzazione, di fatto, dei locali, per decisioni soggettive dell'occupante stesso.

Tale statuizione va raccordata alla valutazione, da parte del giudice di merito, da un lato, della documentazione offerta dal Comune, comprovante, secondo la CTR, l'occupazione del bene da parte della contribuente; dall'altro al rinvio, nella parte relativa allo svolgimento del processo, alle circostanze che, secondo la contribuente, rendevano <d'area situata fuori dal porto e destinata all'uso pubblico dello stesso e ad operazioni funzionali alle attività svolte da soggetti terzi».

In particolare la sentenza impugnata ha espressamente dato atto degli elementi idonei a fondare, quanto meno in via presuntiva, l'accertamento dell'occupazione, sin dagli anni ottanta, da parte della società (allora C.L.P.) dell'area in questione in assenza di titolo concessorio o locativo, rilevando correttamente integrare, ai sensi dell'art. 62, comma 1, del d. lgs. n. 507/1993, il presupposto impositivo ai fini TARSU anche l'occupazione di fatto dell'area suscettibile di produrre rifiuti che si trovi nelle zone del territorio comunale ove è istituito ed attivato il servizio in regime di privativa da parte del Comune (in generale, più di recente, Cass. sez. 5, 14 settembre 2016, n. 18054; cfr. anche Cass. sez. 5, 15 febbraio 2013, n. 3373, circa l'idoneità di area portuale alla produzione di rifiuti).

Di contro, sulla base della premessa argomentativa sopra riportata, ha ritenuto che le circostanze fattuali dedotte dalla contribuente potessero al più integrare la prova della non utilizzazione, per determinati periodi, dell'area, ma non della sua non detenzione o occupazione da parte della contribuente.

Non vi è dunque, con riferimento al secondo motivo, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, avendo questa Corte (Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053) chiarito che l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio rubricato dall'attuale formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. laddove, come nella fattispecie in esame, pur non avendo dato conto in dettaglio la sentenza impugnata delle circostanze menzionate, possa evincersi che esse siano state comunque tenute in considerazione dalla decisione e ritenute tali da non porsi come fatti impeditivi della normale occupazione dell'area da parte della società nei relativi periodi di riferimento e dunque ritenute come fatti non decisivi ai fini della decisione.

Quanto al primo motivo, deve trarsi la conseguenza che la censura non sia diretta a lamentare la non corretta applicazione della norma in sé sotto il profilo della non conformità del ragionamento inferenziale rispetto al parametro legale dell'art. 2729 c.c., ciò che avrebbe reso ammissibile la censura prospettata in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ma presupponga pur sempre la concreta valutazione da parte del giudice di merito del materiale istruttorio, lamentandosene in sostanza l'insufficienza sul piano motivazionale, la qual cosa è oggi preclusa, come chiarito dal citato arresto delle Sezioni Unite n. 8053/2014, alla stregua della nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Infine, con riferimento al terzo ed al quarto motivo, è fondata l'eccezione d'inammissibilità di parte controricorrente, integrando l'oggetto delle rispettive censure questioni nuove dedotte in sede di legittimità.

La questione relativa al mancato espletamento del servizio da parte del Comune nell'area in questione ha costituito, in effetti, specifico motivo di ricorso in primo grado, all'esito del quale la contribuente è stata vittoriosa, essendo rimasto il motivo assorbito, avendo ritenuto il giudice di primo grado che le aree in oggetto non fossero utilizzate, quanto meno esclusivamente, dalla ricorrente.

Detta questione, peraltro, non risulta essere stata specificamente riproposta nelle controdeduzioni depositate dalla società in grado d'appello.

La sentenza impugnata ha affermato che, nel costituirsi in grado d'appello, la contribuente si è limitata a chiedere il rigetto dell'appello proposto da controparte, riservandosi di illustrarne le motivazioni.

La stessa società, nel ricorso per cassazione (pag. 10) riferisce di avere richiamato solo in memoria, in punto di fatto e di diritto, le allegazioni e le eccezioni svolte nel primo grado di giudizio a sostegno dell'insussistenza del presupposto impositivo.

Rilevandosi in primo luogo che l'onere di riproposizione delle eccezioni rimaste assorbite, secondo l'art. 56 del d. lgs. n. 546/1992, richiede che esse siano riproposte nelle controdeduzioni depositate in appello, va altresì osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia (cfr. Cass. sez. 5, 27 novembre 2015, n. 24267), «nel processo tributario, l'art. 56 del d. lgs. n. 546/1992 impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure per relationem, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicché non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale».

Ne consegue che la questione, da intendersi rinunciata, non può essere riproposta dinanzi al giudice di legittimità, ciò precludendo quindi anche l'esame della questione di legittimità costituzionale subordinatamente proposta in relazione ai predetti motivi.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore del Comune controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 poter del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.