Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 novembre 2017, n. 28084

Collaborazione coordinata e continuativa - Stipula formale di contratti annuali - Sussistenza di rapporto di lavoro subordinato - Trasferimento d'azienda - Solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore - Rapporti di lavoro esauriti a tale momento - Esclusione - Debiti dell'azienda ceduta, ove risultanti dai libri contabili obbligatori - Responsabilità dell'acquirente

 

Rilevato

 

che con sentenza del 28 luglio 2011 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la I. Srl al pagamento, in favore di R.M., della somma di euro 319,43, oltre accessori, riducendo così l'originario credito vantato da quest'ultima e quantificato in prime cure in euro 60.713,04, a titolo di TFR e differenze retributive;

che il Tribunale aveva ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la M., quale insegnante, e la G. Piccola Cooperativa per il periodo 21 settembre 1998 - 8 ottobre 2002, durante il quale le parti avevano formalmente stipulato contratti annuali di collaborazione coordinata e continuativa, ed aveva riconosciuto differenze retributive al cui pagamento aveva ritenuto obbligata anche la I. Srl, in base all'art. 2112 c.c., essendo tale società succeduta, il 10 settembre 2003, alla cooperativa nella gestione della scuola presso la quale era stata utilizzata la lavoratrice;

che la Corte territoriale, su appello di detta società, ha considerato invece che "nessuna domanda era stata spiegata in ordine alla validità o meno del termine apposto alle singole convenzioni, talché l'accertamento richiesto afferiva alla sola natura, subordinata o autonoma, dei singoli rapporti non coinvolgendo o, comunque, non essendo state dedotte specifiche ragioni di nullità delle clausole di durata agli stessi apposte"; ne ha fatto derivare che "la I. non poteva essere chiamata a rispondere per eventuali obbligazioni relative ai contratti conclusi che, come è pacifico, non risultavano dai libri contabili ma solo per quelle, ove azionate, relative all'unico contratto ancora in corso alla data della cessione dell'azienda, ossia quello del giorno 8 ottobre 2002";

che avverso tale sentenza R.M. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso la società intimata;

 

Considerato

 

che il primo motivo del ricorso denuncia "error in procedendo per violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 163 c.p.c. ed omessa pronuncia su domanda avanzata in causa" nonché "motivazione contraddittoria e comunque insufficiente su un punto controverso e decisivo per il giudizio" per non essere comprensibile l'iter logico seguito dalla Corte palermitana "per negare l'ingresso alla domanda di nullità del termine apposto ai vari contratti di collaborazione";

che la censura non può trovare accoglimento, perché è insanabilmente contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, atteso che il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell'art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 4, e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del difetto di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., mentre il secondo vizio presuppone l'esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 13866 del 2014; Cass. n. 15882 del 2007; da ultimo v. anche Cass., sez. VI, n. 329 del 2016);

che per altro verso il motivo in esame difetta di autosufficienza avendo parte ricorrente omesso di indicare specificamente ed adeguatamente nel corpo di esso i contenuti degli atti processuali - nella specie ricorso introduttivo - su cui fonda la doglianza di violazione dell'art. 112 c.p.c., né può soccorrere alla parte ricorrente la qualificazione giuridica del vizio lamentato come error in procedendo, in relazione al quale la Corte è anche "giudice del fatto", con la possibilità di accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito, atteso che le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che, nei casi di vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità, pur non dovendo limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, "è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)" (Cass. SS. UU. n. 8077 del 2012; conformi v. Cass. n. 9888 del 2016; Cass. n. 19410 del 2015; Cass. n. 17049 del 2015; Cass. 26900 del 2014; Cass. n. 22544 del 2014; Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 6225 del 2005), senza che siano sufficienti meri stralci o generici rinvii (da ultimo Cass. n. 17252 del 2016), anche laddove sia denunciata la violazione dell'art. 112 c.p.c. (Cass. n. 6361 del 2007; Cass. n. 21226 del 2010; Cass. n. 4220 del 2012; Cass. n. 1435 del 2013; Cass. n. 8569 del 2013; Cass. n. 15367 del 2014), mentre nel caso il motivo in esame risulta formulato in violazione degli orientamenti di legittimità richiamati perché la ricorrente si limita a riportare degli atti processuali rilevanti (ricorso introduttivo) una sintesi e poi, nel corpo del motivo stesso, scarni passaggi testuali ovvero meri rinvii anche a documenti di cui non viene riportato neanche il contenuto, sì da rendere impossibile a questa Corte di verificare, sulla base di tali inadeguate indicazioni, la sussistenza del denunciato vizio;

che il secondo motivo - con cui si lamenta violazione degli artt. 2112 e 2120 c.c. e vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto che la società subentrante non era tenuta al pagamento delle somme originariamente quantificate dal Tribunale - è infondato in ragione del costante insegnamento di questa Corte secondo cui la disciplina posta dal secondo comma dell'art. 2112 c.c., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d'azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d'azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l'applicabilità dell'art. 2560 cod. civ. che contempla, in generale la responsabilità dell'acquirente per i debiti dell'azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori (tra le altre: Cass. n. 4598 del 2015; Cass. n. 7517 del 2010); nella specie la Corte di Appello ha negato la responsabilità solidale della cessionaria per crediti maturati rispetto a rapporti di lavoro pregressi e ritenuti già esauriti al momento del trasferimento d'azienda, con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità;

che il terzo motivo del ricorso denuncia "error in procedendo per violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 163 c.p.c. ed omessa pronuncia su domanda avanzata in causa" nonché "motivazione omessa, contraddittoria e comunque insufficiente su un punto controverso e decisivo per il giudizio" per avere la Corte siciliana ritenuto che la domanda della M. si riferisse esclusivamente alla inadeguatezza dei periodi di lavoro "in nero" e non anche per quelli successivi me risultante dalla CTU espletata in primo grado;

che tale doglianza soffre delle medesime ragioni di inammissibilità esposte per il primo motivo ed inoltre è priva di adeguata specificità perché non riporta i contenuti della consulenza tecnica d'ufficio in modo tale da verificare che le somme per le quali era stata pronunciata condanna in primo grado riguardassero anche periodi lavorativi alle dirette dipendenze di I. Srl;

che, conclusivamente, il ricorso va rigettato, con spese liquidate secondo soccombenza come da dispositivo,

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori come per legge e spese generali al 15%.