Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 marzo 2018, n. 7565

Natura disciplinare del licenziamento - Condotta ingiuriosa - Insubordinazione - Illegittimità

 

Fatti di causa

 

La Corte di Appello di Catanzaro con la sentenza n. 291/2015, aveva accolto l'appello proposto da S.S. avverso la sentenza del Tribunale di Crotone, ed aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato al S. dalla O.S. srl, anche condannando la società alla reintegrazione del lavoratore nel suo posto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, con detrazione di quanto percepito a titolo di "aliunde perceptum", oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

La Corte territoriale aveva rilevato la natura disciplinare del licenziamento irrogato per la condotta ingiuriosa con vie di fatto tenuta dal lavoratore ed aveva a riguardo ritenuto non osservate le garanzie procedimentali previste dall'art. 7 della legge n. 300/70, e dunque valutato illegittimo, per tale motivo, il recesso datoriale.

Il Giudice del gravame aveva inoltre rigettato l'appello incidentale proposto dalla Società, relativo al risarcimento del danno subito in ragione della condotta tenuta dal S., in quanto non provato il nesso causale tra eventuali perdite della società ed il comportamento del dipendente.

La Società ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.

Il S. ha resistito con controricorso preliminarmente eccependo la inammissibilità del ricorso per la mancata indicazione del legale rappresentante sia nella procura che nella intestazione del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1) La preliminare eccezione di inammissibilità sollevata dal S. per la mancata indicazione del legale rappresentante della società ricorrente sia nella intestazione del ricorso che nella procura a margine dello stesso non merita accoglimento.

Deve darsi seguito all'orientamento già espresso da questa Corte secondo il quale la mancata indicazione della persona fisica che agisce in rappresentanza della società e che abbia firmato la procura è irrilevante se pur il nome del sottoscrittore non sia evincibile dalla procura e neppure dalla intestazione dell'atto cui questa accede, o, ancora, dalla certificazione d'autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell'atto, purché detto nome sia con certezza desumibile dall'indicazione di una specifica funzione o carica, espressamente indicata, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese (Cass. n. 6497/2012; Cass. n. 4143/2012; Cass. n. 4199/2012; Cass. 20596/07; Cass. SU n. 4814/2005).

La indicazione della funzione o della carica rivestita (nel caso di specie quella di legale rappresentante della società) risulta quindi elemento sufficiente per poter identificare, anche attraverso altra documentazione inerente il processo, la persona fisica sottoscrittrice della procura.

2) Con il primo motivo la Società ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2119 c.c. in relazione all'art. 360 nn. 1, 3, 5 c.p.c. poiché la Corte di Appello aveva erroneamente ritenuto che i fatti oggetto del ricorso e dei quali si era reso responsabile il S., non costituissero insubordinazione o comunque notevole inadempimento, quando invece gli stessi avevano determinato grave violazione dell'elemento fiduciario posto a base del rapporto di lavoro. La ricorrente deduce a riguardo gravi carenze nella motivazione della Corte d'appello in riferimento alla natura disciplinare del licenziamento.

Il motivo di censura risulta inammissibile perché ha ad oggetto la valutazione di merito operata dalla Corte territoriale sulla natura e qualità della condotta del lavoratore. Deve anche sottolinearsi che il presupposto della decisione assunta dal Giudice d'appello era costituito dalla pacificità della natura disciplinare del licenziamento, atteso che lo stesso datore di lavoro aveva ribadito come il provvedimento espulsivo fosse stato cagionato dalla condotta ingiuriosa del lavoratore, anche passato alle vie di fatto.

L'assunto non risulta intaccato dalla censura odierna poiché non contestato espressamente dalla società, che solo richiede una differente qualificazione della ragione espulsiva e non smentisce la ragione di fatto posta a base del licenziamento. Ogni valutazione a riguardo attiene al giudizio di merito ed è dunque inammissibile in questa sede.

3) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e vizio di motivazione, con riferimento all'art. 360 n. 1, 3 e 5, c.p.c. per aver, la Corte territoriale, ritenuto la mancanza di concreti elementi di fatto a conforto della ipotizzata insubordinazione da parte del S., atteso che lo stesso si era reso protagonista di un attacco fisico al legale rappresentante della società a seguito del rifiuto opposto alla richiesta di prestazione di lavoro straordinario. La ricorrente lamentava a riguardo l'errata valutazione delle prove testimoniali.

Anche tale motivo deve essere ritenuto inammissibile poiché si fa richiesta, in sede di legittimità, di svolgere nuova valutazione degli elementi istruttori e ciò al fine di individuare e sanzionare la motivazione della sentenza impugnata, ritenuta insufficiente e contraddittoria, non considerando, peraltro, che la Corte di appello aveva fondato la propria decisione solo sulla mancata osservanza delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7 della legge n. 300/70, non entrando nel merito della valutazione delle condotte del lavoratore. L'attuale censura risulta pertanto estranea al decisum del Giudice d'appello ed inconferente rispetto alla decisione.

4) Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c.e 2697 c.c. in relazione all'art. 5 della legge n. 604/1966, all'art. 18 della legge n. 300/70, agli artt. 420 e 437 c.p.c., all'art. 2104 c.c., ai sensi dell'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., per contraddittoria motivazione in ordine alla prova del danno all'immagine procurato alla ricorrente società.

Il Giudice d'appello aveva disatteso l'appello incidentale proposto dalla società ritenendo non provata la sussistenza del danno lamentato e comunque non provato il nesso causale tra comportamento del lavoratore e danno.

Anche in questo caso la doglianza è diretta a sollecitare una valutazione del merito delle controversia, dei fatti che la hanno caratterizzata e delle circostanze ritenute non considerate dalla Corte territoriale, non consentita in sede di legittimità. La carenza di indicazioni inerenti gli specifici vizi in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale con riguardo al danno lamentato, alle sue caratteristiche ed alla sua entità, rende non scrutinabile il motivo di censura.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 5.000,00 per compensi professionali ed E. 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.