Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 marzo 2018, n. 7582

Nullità del termine apposto al contratto - Esigenze riorganizzative aziendali - Accordi di mobilità

Rilevato

 

che con sentenza in data 16 ottobre 2012, la Corte d'appello di Ancona condannava Poste Italiane s.p.a. al pagamento, in favore di C. L. a titolo di indennità ai sensi dell’art. 32, quinto comma I. 183/2010, di otto mensilità di retribuzione: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra le parti, ai sensi dell’art. 1 d.lg. 368/2001 per esigenze riorganizzative aziendali conseguenti ad innovazioni tecnologiche e in adempimento di accordi di mobilità, nonché in attuazione degli accordi sindacali del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, per il periodo dal 2 maggio al 29 giugno 2002, con le conseguenti pronunce, in particolare di condanna risarcitoria e rigettando nel resto l'appello della società;

che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ricorreva per cassazione con tre motivi, cui resisteva la lavoratrice con controricorso;

che entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis n. 1 c.p.c.; che il P.G. ha comunicato le sue conclusioni scritte nel senso del rigetto del primo motivo di ricorso, di accoglimento del secondo e di assorbimento del terzo;

 

Considerato

 

che la ricorrente deduce violazione degli artt. 1362, 1375 c.c., per la risoluzione del contratto per mutuo consenso, tenuto conto dell’ampio periodo di inerzia della lavoratrice (oltre quattro anni), in relazione alla breve durata del rapporto di lavoro e del termine di 270 giorni stabilito dall'art. 32 I. 183/2010 per l'impugnazione giudiziale del licenziamento da quella stragiudiziale, utilizzabile in via interpretativa per l'esperimento dell'azione di nullità del termine del contratto di lavoro, in applicazione del principio di correttezza e buona fede (primo motivo); erronea interpretazione di una norma di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti, quale la ritenuta insufficiente specificità delle causali riorganizzative indicate nel contratto a tempo determinato e precisate dal richiamo degli accordi sindacali in particolare del 17, 18 e 23 ottobre 2001, coinvolgenti l'intero territorio nazionale e quindi anche l'unità produttiva (CPO di Ascoli Piceno) cui era addetta la lavoratrice, senza alcuna considerazione degli elementi essenziali dell'insufficienza di organico presso l'ufficio postale di Ascoli Piceno e del programma, comprovato dai citati accordi di mobilità del personale eccedente (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell'art. 32, quinto comma I. 183/2010 in relazione all'art. 8 I. 604/1966 ed omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti, per l'erronea determinazione dell'indennità, senza adeguata valutazione in particolare dell'esigua anzianità di servizio della lavoratrice e del rilevante intervallo temporale tra la cessazione del rapporto e la sua impugnazione;

che il collegio ritiene che il primo motivo sia infondato;

che l'accertamento dell'idoneità o meno del decorso del tempo, insieme con il concorso di circostanze significative di una chiara e certa comune volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 1 luglio 2015, n. 13535; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25844), quali in particolare il reperimento di altra occupazione (Cass. 9 ottobre 2014, n. 21310; Cass. 11 febbraio 2016, n. 2732) è giudizio che attiene al merito in quanto valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2906; Cass. s.u. 27 ottobre 2016, n. 21691, p.to 57), senza che il convincimento da questi espresso in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale e non con riferimento singolare a ciascuno di essi (nel caso di specie operata in senso negativo dalla Corte territoriale, per le ragioni espresse dal p.to 5.4. di pg. 3 al p.to 5.9 di pg. 4 della sentenza), possa essere suscettibile di un diverso o rinnovato apprezzamento in sede di legittimità; che il secondo motivo è inammissibile;

che esso neppure reca l'indicazione della norma denunciata di violazione, sicché è in contrasto con il disposto dell'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c., secondo cui il motivo deve, a pena d'inammissibilità, essere dedotto non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 1 dicembre 2014, n. 25419; Cass. 20 gennaio 2016, n. 287);

che il mezzo è pure generico, in violazione sempre dell'art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che ne esige l'illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 6 luglio 2007, n. 15952) che, infatti, esso omette di confutare, tanto meno specificamente, l’argomentata esclusione, non tanto di specificità della causale, quanto di prova del nesso causale della concreta ricorrenza nell'ufficio di destinazione della lavoratrice (per le ragioni esposte ai p.ti 6, 6.1. e 6.3. di pg. 5 e 6 della sentenza); che il terzo motivo è pure inammissibile;

che non è censurabile, in sede di legittimità se non per motivazione assente, illogica o contraddittoria (invece congrua nel caso di specie, per le ragioni esposte al p.to 10 di p. 9 della sentenza), la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell'indennità prevista dall'art. 32 I. 183/2010, spettante al giudice di merito, (Cass. 22 gennaio 2014, n. 1320): del tutto analogamente alla valutazione per la determinazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 8 I. 604/1966 (Cass. 8 giugno 2006, n. 13380), espressamente richiamata dalla prima nei suoi criteri di liquidazione;

che pertanto il ricorso deve essere rigettato con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e liquidate come in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna Poste Italiane s.p.a. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.