Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 gennaio 2018, n. 1965

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Atti impugnabili - Autotutela in materia tributaria - Impugnazione del rifiuto - Deduzione di erronea imposizione - Sindacato del giudice tributario - Ammissibilità - Esclusione

 

Fatti di causa

 

1. La società contribuente impugnava - unitamente agli avvisi di accertamento - gli atti di diniego di autotutela, relativi alla Tarsu per le annualità 2003-2005, adottati dal Comune di Terni a seguito dell'interlocuzione con la contribuente, volta a verificare la corretta individuazione delle superfici tassabili, diniego emesso dopo che era stata disposta la sospensione della riscossione.

La CTP di Terni rigettava il ricorso, ritenendo inammissibile il ricorso avverso il diniego dell'autotutela, nonché la tardività dell'impugnazione degli avvisi di accertamento, essendo decorso il termine di 60 giorni dalla loro notifica.

2. La contribuente impugnava la sentenza di primo grado, lamentando che la CTP non avrebbe esattamente colto i motivi del ricorso, basati sulla mancata considerazione degli elementi addotti dalla ricorrente nel corso della fase di riesame, tant'è che il diniego dell'autotutela non aveva motivato sulle ragioni per cui non veniva accolta la richiesta di riduzione delle superfici tassabili. Si deduceva, inoltre, che la CTP non aveva considerato come l'impugnazione si fondasse sulla dedotta prospettazione di un interesse pubblico all'annullamento degli avvisi di accertamento, consistente nella tutela del principio della correttezza dell'attività impositiva. Infine, veniva dedotta la violazione dell'art. 2 quater, comma 1 quinquies, d.l. n. 564 del 1994, sostenendosi la legittima impugnazione del diniego di autotutela, trattandosi di atto confermativo degli avvisi.

La CTR per l'Umbria rigettava l'appello, ritenendo corretta la tesi della CTP secondo cui l'omessa impugnazione degli avvisi di accertamento rendeva inammissibile il successivo ricorso proposto anche avverso il diniego di autotutela.

3. Avverso tale pronuncia, la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria. Il Comune di Terni resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod.proc.civ., la violazione dell'art. 2 quater, comma 1 quinquies, d.l. n. 564 del 1994. Sostiene la ricorrente che l'inammissibilità del ricorso ritenuta in entrambe le decisioni della fase di merito non sussisterebbe, in quanto la citata norma consente espressamente al contribuente di impugnare, insieme all'atto impositivo, anche l'atto modificativo o confermativo. Secondo tale impostazione, il diniego di autotutela non integrerebbe un mero rigetto della sollecitazione ad esercitare un potere discrezionalmente rimesso all'ente impositore, bensì integrerebbe una nuova ed ulteriore decisione, sia pur di conferma dell'avviso in precedenza emesso.

Per giungere a tale conclusione, la ricorrente evidenzia come il Comune di Terni, a seguito della richiesta di riesame, decideva di sospendere l'esecuzione, in attesa della definizione dell'istanza di autotutela, impegnandosi a non procedere alla riscossione coattiva.

1.1. Il motivo è infondato. Come correttamente evidenziato dalla controricorrente, il Comune di Terni si è limitato ad informare la contribuente che, in attesa della definizione della fase di autotutela, si sarebbe astenuto dalla riscossione coattiva, senza che ciò abbia in alcun modo determinato alcuna incidenza sull'efficacia e validità degli avvisi di accertamento. Dirimente a tal riguardo è che la volontaria sospensione dell'esecuzione è intervenuta (con atto del 5.3.2010) dopo che era già decorso (in data 3.3.2010) il termine per impugnare gli avvisi di accertamento, con la conseguente definitività degli stessi. In conclusione, si ritiene che il diniego dell'autotutela non contiene affatto un contenuto precettivo autonomo, sia pur di mera conferma dei precedenti avvisi, sicché va riconosciuta l'inammissibilità dell'intero ricorso.

Va ribadito, infatti, il consolidato orientamento secondo cui la presentazione di deduzioni difensive riguardanti un atto proprio del procedimento di accertamento e liquidazione tributaria, non è idonea a sospendere il termine di decadenza previsto dall'art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 ai fini dell'impugnazione davanti al giudice tributario, ma può svolgere esclusivamente la funzione di sollecitare l'esercizio del potere dell'Amministrazione, di natura discrezionale, di annullamento d'ufficio o di revoca dell'atto contestato (Sez. U, n. 16097 del 2009).

1.2. Sostiene la ricorrente che la citata giurisprudenza non sarebbe applicabile al caso di specie, che si caratterizzerebbe per la circostanza che l'autotutela è stata sollecitata prima che gli avvisi di accertamento divenissero definitivi per mancata impugnazione. La tesi non è condivisibile, atteso che - a prescindere dal momento in cui l'autotela viene richiesta - ciò che rileva è che i presupposti impositivi ed il quantum richiesto non più contestabile una volta scaduto il termine per impugnare l'accertamento. La sollecitazione all'utilizzo del potere di autotutela, in quanto diretta a favorire l'esercizio di un potere discrezionale della P.A., non determina di per sé alcun effetto rispetto alla definitività dell'accertamento conseguente alla mancata impugnazione.

2. Con il secondo motivo, parzialmente sovrapponibile al primo, si deduce la violazione dell'art. 7, comma 2, lett. b) l. n. 212 del 2000, con riferimento all'art. 2 quater, comma 1 quinquies, d.l. n. 564 del 1994 ed ai principi in materia di motivazione dell'atto amministrativo, oltre che di imparzialità e buona andamento della pubblica amministrazione. Si assume, infatti, che la CTR avrebbe erroneamente disconosciuto la natura di atto confermativo in senso proprio del diniego di autotutela, omettendo anche di considerare che l'autotutela si fondava su ragioni di interesse generale.

2.2. Il motivo è infondato. Per quanto concerne l'esclusione della natura di atto confermativo in senso proprio del diniego di autotutela valgono le considerazioni già espresse con riferimento al primo motivo di ricorso.

Mentre, in relazione all'ulteriore aspetto concernente la dedotta deduzione di un "interesse generale", va in primo luogo ribadito il principio secondo cui il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell'Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Sez. 5, n. 3442 del 2015).

Ciò detto, non si ritiene che nel caso in esame il contribuente abbia dedotto un "rilevante interesse generale" legittimante l'autotutela, dovendosi affermare il principio per cui l'interesse generale non può consistere nella mera deduzione dell'erronea imposizione, trattandosi quest'ultimo di un profilo inerente in via esclusiva l'interesse privato ad evitare una tassazione superiore rispetto a quella che si ritiene dovuta.

3. Le osservazioni finora svolte consentono anche di rigettare il terzo motivo di ricorso, con il quale si censura, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod.proc.pen., l'omesso riconoscimento di un "interesse generale" a baste della richiesta di autotutela.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese nei confronti del Comune di Terni, che liquida in €10.200,00 per compensi, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.