Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 febbraio 2018, n. 4406

Tributi - Imposta di registro - Contratto di mutuo con garanzia ipotecaria su un immobile - Successivo conferimento del bene, da parte del contraente e quale socio, in una società con contestuale accollo del debito garantito - Effettiva natura dell’operazione - Vendita con indebito risparmio d’imposta

 

Fatti della causa

 

1. Con riguardo all'atto di trasferimento di un terreno conferito da G.F. nella società a responsabilità limitata P., veniva pagata l'imposta di registro sul valore dell'immobile al netto della passività, oggetto di accollo da parte della srl, costituita dall'obbligazione di restituire la somma di cui la G. si era resa mutuataria presso la B.I. spa, con iscrizione d'ipoteca sull'immobile stesso.

2. L'Agenzia delle Entrate, ritenendo la passività non inerente al bene perché la G. aveva, nel contratto di mutuo, dichiarato di assumere il prestito per "esigenze di liquidità" e perché la somma mutuata non era stata investita sul terreno, considerando che tra la stipula del mutuo ipotecario e il trasferimento del bene alla società erano passati solo due mesi di tempo, qualificava il trasferimento come compravendita in cui l'obbligo del pagamento del prezzo era stato assolto tramite accollo del mutuo e l'operazione complessiva, costituita dalla stipula del mutuo e dal trasferimento del terreno con accollo del mutuo, come (operazione) elusiva e pertanto emetteva un avviso di liquidazione della maggiore imposta calcolata sul puro valore del terreno.

3. L'avviso veniva impugnato davanti alla commissione tributaria provinciale di Bologna la quale rigettava l'impugnazione.

4. La commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna, con sentenza depositata il 23 maggio 2012, n. 44/01/12, riformava la decisione di primo grado e annullava l'avviso.

5. A base della suddetta sentenza erano poste due affermazioni: l'Agenzia delle Entrate, non limitandosi a valutare l'atto portato alla registrazione, in sé e per i suoi effetti giuridici, ma valutandolo tramite elementi d'interpretazione extratestuali e per i suoi effetti economici, aveva travalicato i limiti applicativi dell'art. 20 del d.P.R. 131/86 così da attribuire erroneamente alla norma uno scopo antielusivo per perseguire il quale avrebbe dovuto impiegare l'art. 37 - bis, d.P.R. 600/73; "l'ufficio non ha provato l'esistenza di una realtà diversa da quella rappresentata dal negozio giuridico in questione e la pretesa fiscale appare costruita su mere ipotesi non dimostrate".

6. L'Agenzia delle Entrate ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale.

7. La società P. resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

4. L'Agenzia, con il primo motivo di ricorso, deduce, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ed in riferimento alla prima affermazione della sentenza, che la commissione tributaria regionale ha violato o falsamente applicato l'art. 20 del d.P.R. 131/86, l'art. 42 del d.P.R. 131/86 (perché il limite dell'interpretazione fondata su dati testuali potrebbe essere riferito, tra i tre tipi di imposta previsti da quest'articolo, solo alla liquidazione dell'imposta principale e dell'imposta suppletiva, laddove, nel caso si trattava di liquidazione dell'imposta complementare), l'art. 50 del d.P.R. 131/86 (articolo, recante la disciplina delle passività inerenti ai beni oggetto di conferimento, e la cui applicazione era stata preclusa dal fatto che la Commissione aveva ritenuto assorbente quanto affermato riguardo all'art. 20), l'art. 4 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 131/86, nonché l'art. 37-bis del d.P.R. 600/73;

5. Il motivo di ricorso è fondato:

5.1 questa Corte, considerato che l'art. 20 del d.P.R. 131/86 ("L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente") chiaramente esprime il principio di prevalenza della sostanza sulla forma - principio a cui è correlata "l'evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa, avente come oggetto l'atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere in corrispettivo del servizio di registrazione, a quello dell'imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica" (Cass. 11873/2017), in coerenza con il rilievo per cui tale principio sarebbe svilito da una concezione che non consentisse di ricercare la sostanza dell'atto avvalendosi anche di elementi esterni al documento, ha più volte affermato che detto principio non solo consente, ma addirittura impone, laddove vi siano pattuizioni frazionate in più atti, anche non contestuali, oggettivamente idonee a produrre un certo effetto giuridico, di guardare, nell'applicazione dell'art. 20, non all'atto risultante dal documento singolarmente considerato ma all'effetto giuridico unitario derivante dai vari atti collegati (v., tra le più recenti, Cass. 11873/2017, che richiama Cass. n. 10216/2016, n. 1955/2015, n. 14150/2013, n. 6835/2013; Cass. 6578/2017; Cass. 3562/2017);

5.2 nella cornice di quanto precede, la Corte (ord. 26 settembre 2017, n. 18897; sent. 19 aprile 2013, n. 9541) ha specificamente riconosciuto che, in applicazione dell'art. 20 d.P.R. 131/86, il collegamento negoziale fra un contratto di mutuo o di apertura di credito in conto corrente, con garanzia ipotecaria su un immobile, ed il successivo conferimento del bene, da parte del contraente e quale socio, in una società (a tal fine costituita o meno), con contestuale accollo alla medesima del debito garantito, ai sensi dell'art. 50 del d.P.R. n. 131 del 1986, può essere individuato l'effetto obiettivo di una vendita con indebito risparmio dell'imposta di registro, pagata sul valore immobiliare al netto delle passività e degli oneri accollati, ove questi, anche se gravanti sui conferenti, non siano collegati all'oggetto del trasferimento;

5.2. la prima affermazione della commissione tributaria dell'Emilia Romagna (v. sopra, punto n.2) è in contrasto con il quadro e con l'enunciazioni specifiche di cui sopra;

5.3 né, per le ragioni messe in evidenza dalla pronuncia n. 11873/2017, e condivise da questo Collegio, quanto sostenuto nella sentenza impugnata può trovare valido appiglio nella isolata pronuncia resa da questa Corte n. 2054/2017;

5.4. nessun rilievo, infine, può essere annesso alla modifica apportata all'art. 20 del d.P.R. 131/86, dall'art. 1, comma 87, lett. a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 ("al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 20, comma 1: 1) le parole: «degli atti presentati» sono sostituite dalle seguenti: «dell'atto presentato »; 2) dopo la parola: «apparente» sono aggiunte le seguenti: «sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi »), atteso che trattasi, appunto, di modifica - come reso palese dalla lettera della norma - e quindi di innovazione - segnatamente di innovazione volta ad introdurre limiti all'attività di qualificazione giuridica della fattispecie, destinata, come tale, a valere solo pro futuro.

6. L’Agenzia delle Entrate, con il secondo motivo di ricorso, deduce, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che la commissione tributaria regionale ha motivato la decisione in modo non adeguato circa la valutazione degli elementi portati da essa ricorrente a sostegno della qualificazione dell'atto nel contesto della complessiva operazione ed ha motivato in modo contraddittorio riguardo alla possibilità, date all'Erario, di interpretare l'atto traslativo in questione ("Orbene, da un lato, i Giudici affermano che l'Ufficio deve valutare gli effetti giuridici dell'atto senza essere vincolato dal nomen iuris attribuito all'atto dalle parti, avendo riguardo alle disposizioni del codice civile, d'altro ritengono che l'ufficio non può prescindere dalla volontà delle parti. Delle due l'una: o l'ufficio può interpretare l'atto o non può").

7. Il motivo di ricorso è fondato: la Commissione, con la seconda delle affermazioni messe a base della sentenza, si è limitata a definire indimostrata la tesi dell'ufficio senza spiegare (sufficientemente) perché ha ritenuto che gli elementi dedotti dall'ufficio medesimo (v. sopra, punto 2 della esposizione in fatto) siano da ritenersi privi di capacità persuasiva.

8. Il ricorso va quindi accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla commissione tributaria dell'Emilia Romagna perché la stessa, in composizione diversa da quella che ha reso la sentenza impugnata, riesamini la fattispecie alla luce del principio di diritto di cui al punto 5.1. e provveda anche sulle spese.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Emilia Romagna, in diversa composizione.