Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 maggio 2017, n. 13340

Accertamento - Dichiarazione dei redditi - Quote sociali - Donazione - Incremento patrimoniale

 

Svolgimento del processo

 

P.P. ricorre per la cassazione della sentenza della CTR di Napoli, sezione distaccata di Salerno n. 123 del 25/2/2013, dep. 20/3/2013, con cui è stato accolto l'appello proposto dall'Ufficio avverso la decisione della CTP di Avellino che, in parziale accoglimento del ricorso del contribuente, aveva escluso dal reddito come accertato dall'Ufficio gli importi inerenti l'incremento patrimoniale in ordine all'acquisto di quote sociali, ritenute donate e non vendute dai propri figli N. ed A..

Al riguardo, dopo avere ripercorso le vicende relative ai primi due gradi di giudizio (pagg. 1-12), la difesa del contribuente articola undici motivi di ricorso.

Resiste all'impugnazione, con controricorso, l'Agenzia delle entrate che ne chiede il rigetto.

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo di ricorso con cui si eccepisce l'inammissibilità dell'appello dell'Ufficio in quanto col relativo gravame avrebbe censurato soltanto la prima delle ratione deciderteli poste a fondamento dell'accoglimento del ricorso da parte del giudice di primo grado (ossia la natura gratuita anziché onerosa del trasferimento di quote societarie avvenute tra padre e figli), omettendo di muovere doglianza alla seconda (dimostrazione di disponibilità finanziarie comunque sufficienti a giustificare l'incremento patrimoniale), è infondato. Invero, la CTR, allorché ha ritenuto fondato il primo motivo di impugnazione doveva necessariamente verificare se tale accoglimento era dirimente ai fini del decidere e del corretto esercizio del potere decisorio in relazione all'ambito di efficacia della propria pronuncia, che, altrimenti, sarebbe stata data in presenza proprio di altro profilo di merito che in ipotesi ne avrebbe potuto "paralizzare" l'efficacia. E ciò non solo ai fini di un corretto e ragionevole esercizio del potere decisorio conferito al giudice del gravame (evitandosi anche contrasti interni di giudicato), ma anche a salvaguardia della stessa posizione soggettiva del contribuente che risultava vittorioso su entrambi gli aspetti, da ritenersi, pertanto, necessariamente connessi e logico sviluppo l'uno dell'altro e, dunque, necessariamente devoluti e censurati con l'atto di gravame spiegato dall'Ufficio.

Peraltro, per completezza sul punto, va anche rilevata l'errata prospettazione del motivo proposto dal contribuente con riguardo al petitum. Questi, infatti, a fronte del rilievo che il giudice di appello avrebbe pronunciato su profilo di merito non devoluto alla sua cognizione, ne fa discendere l'inammissibilità dell'appello spiegato dall'Ufficio, anziché, in ipotesi, un profilo di nullità della sentenza che avrebbe deliberato "ultra petita". Le considerazioni sopra svolte depongono per l'infondatezza anche del secondo motivo proposto, in quanto danno altresì conto della sussistenza dell'interesse ad agire dell'Ufficio con riguardo ad entrambi i profili di merito affrontati dalla decisione di primo grado, nonché dell'ottavo motivo articolato col ricorso.

Inammissibili risultano poi i motivi articolati dai punti 3 e 7, tanto sotto il profilo della violazione di legge, quanto della apparenza (e/o mancanza) della motivazione. A fronte, infatti, di una decisione i cui diversi passaggi logici risultano strettamente connessi in una sequela di argomentazioni volte a dimostrare, per un verso, il corretto operare dell'Ufficio ai fini dell'accertamento sintetico del reddito e, per altro, l'assenza di un'adeguata prova sulla natura simulata del contratto di vendita di quote societarie, il contribuente, attraverso la scomposizione del ragionamento seguito dalla Corte territoriale, censura mere parti della motivazione estrapolate dal complessivo contenuto dell'atto processuale, al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei suoi contenuti argomentativi. Le censure cosi articolate risultano inammissibili per genericità.

Infondato è il nono motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., a proposito dell'affermazione della Corte territoriale secondo cui l'eccezione subordinata proposta dal contribuente, fondata sulla disponibilità aliunde dei fondi necessari all'acquisto delle quote societarie, sarebbe inconciliabile con quanto primariamente sostenuto a fondamento dell'impugnativa, ovvero la sussistenza di una donazione dissimulata. Anche a voler ammettere la compatibilità logica - quale subordinata difensiva - delle due prospettazioni, rinvenendone un rapporto di esplicita "derivazione" nell’esame e risoluzione delle questioni di merito, va tuttavia osservato che la Corte territoriale si è anche espressamente confrontata col merito dell'eccezione "subordinata" sollevata, ritenendola infondata. E ciò è avvenuto con motivazione congrua e scevra da vizi logici, con cui si è evidenziato come la ricostruzione finanziaria proposta risultasse largamente lacunosa sul piano probatorio sia in quanto parte degli importi documentati in assegni sono di data successiva al rogito (nel quale si attesta che il corrispettivo è stato versato) e soprattutto in quanto non risulta comprovata l'originaria erogazione del prestito da parte del contribuente a favore della P. snc (la F.) che sarebbe stato restituito con gli assegni versati in atti.

Infondato è poi anche il decimo motivo di ricorso, con cui si deduce l'abnormità della motivazione (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.), nella parte in cui la Corte territoriale nel rilevare come alcuni degli assegni (per la precisione 2 per l'importo di euro 65.000) siano successivi al rogito, avrebbe disatteso la compatibilità dell'ulteriore provvista finanziaria ricavabile dai pregressi versamenti per complessivi euro 375.000. Al contrario, invece, nell'economia del ragionamento svolto dalla Corte territoriale, il riferimento ai due successivi titoli (correttamente da scomputarsi) serve per evidenziare la lacunosità in punto di prova proprio della pregressa disponibilità fatta valere dal contribuente, in quanto di per sé numericamente inidonea a supportare una capacità di sostenere un acquisto di quote per un prezzo comunque superiore. Inoltre la documentazione prodotta dal ricorrente se da un lato è idonea a dimostrare che il contribuente ricevette, in tempi diversi, dalla F. P. snc di P.P. (cioè dell'omonimo ricorrente), a titolo di restituzione prestito soci, una certa somma di denaro (pari ad euro 375.000,00 rispetto ad euro 473.198,00 imputata dall'accertamento sintetico), dall'altro nulla dimostra che tale somma - ricevuta in un arco temporale che va da marzo a fine agosto 2006 (la stipula dell'acquisto delle quote è datata 15/9/2006) e di importo, per come osservato, inferiore al prezzo di acquisto - non sia stata destinata per far fronte ad altre spese, in quanto il contribuente nulla ha documentato con riguardo ai propri estratti conto ed alla destinazione degli assegni emessi dalla F. a suo favore.

Parimenti non fondato risulta anche l'ultimo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600/73 (in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). L'aver ritenuto, sotto il profilo probatorio, lacunosa la ricostruzione di disponibilità finanziaria offerta dal contribuente anche in ragione dell'assenza di prova dell'originaria erogazione del prestito da parte del P. a favore della omonima F., lungi dal costituire una limitazione ingiustificata del diritto di prova contraria spettante al contribuente, rappresenta, invece, il corretto esercizio di quel potere di verifica della bontà di tale prova (contraria) che il giudice del merito è chiamato a svolgere proprio ai sensi dell'art. 38 d.P.R. n. 600/73 e che è insindacabile in questa sede laddove adeguatamente e congruamente motivato, come avvenuto nel caso di specie.

Va, pertanto, rigettato il ricorso.

Quanto alle spese del giudizio di legittimità, queste, ai sensi dell'art. 385, primo comma, c.p.c., seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in complessive euro 3.000,00, oltre accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.