Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 marzo 2017, n. 6176

Contenzioso tributario - Accertamento - Redditi d’impresa - Dichiarazione dei redditi

 

Ritenuto in fatto

 

La C.T.P. di Napoli, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla A.S. s.r.l. avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva rettificato i redditi dichiarati dalla società per l'anno di imposta 2003, rideterminava il reddito di impresa, oltre ad altre poste in contenzioso.

Proposto appello dall'Agenzia delle Entrate, la C.T.R. della Campania, con sentenza del 14 aprile 2009, confermava la decisione di primo grado.

Riteneva il giudice di appello, con riferimento alla rettifica operata sulla scorta della percentuale di ricarico applicata dall'Ufficio, che non sussistevano, in presenza di una regolare contabilità, i presupposti previsti dall'art. 39, comma 1, lett. d) D.P.R. n. 600/1973 per procedere ad accertamento induttivo. Quanto alle altre poste (IRAP e crediti non riscossi), la C.T.R. condivideva le argomentazioni del giudice di primo grado circa il mancato verificarsi di un danno per l'Erario nonché in ordine alla prova dei mancati pagamenti.

Avverso detta pronuncia, l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

La società contribuente, pur non presentando controricorso, ha partecipato all'udienza di discussione.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo, l'Agenzia delle Entrate deduce insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 350 n. 5 c.p.c., per avere la C.T.R. omesso di esaminare, con riguardo alla rettifica operata sulla scorta della percentuale di ricarico applicata dall'Ufficio, gli specifici rilievi svolti nell'atto di appello, con i quali si contestava la regolare tenuta della contabilità.

Il motivo è corredato dal momento di sintesi richiesto dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.

La doglianza è fondata.

L'Agenzia delle Entrate, a confutazione delle risultanze contabili, con l'atto di appello aveva rappresentato che: dalla verifica contabile effettuata era emerso che, nell'anno di imposta 2003, la società aveva realizzato una percentuale media di ricarico dell'utile lordo pari al 17,27%; la contribuente aveva omesso di contabilizzare costi, tra cui il costo del carburante effettivamente sostenuto, al fine di comprimere i ricavi d'esercizio; era stato convenuto, in contraddittorio con la contribuente nel corso della verifica, di ritenere come congrua una percentuale di ricarico dell'utile lordo pari ai 50% per le vendite al dettaglio, con riduzione del 5% riconosciuta in relazione all'esame di bilancio effettuato per l'anno precedente.

La C.T.R., a fronte di tali rilievi, si è limitata ad affermare che non ricorrevano, in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, i presupposti previsti dall'art. 39, comma 1, lett. d) D.P.R. n. 600/1973 per procedere ad accertamento induttivo, poiché i dati dichiarati dalla società contribuente non presentavano livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare la documentazione contabile di attendibilità; ciò in quanto "lo scostamento determinato dall'Ufficio risulta pari all'1,5% del totale dichiarato dalla società contribuente, e tale scostamento su 8 milioni di Euro non può essere considerato abnorme".

Il giudice di appello, dunque, non ha espresso alcuna considerazione in merito ai concreti elementi addotti dall'Ufficio volti a dimostrare l'incongruenza delle risultanze contabili, pervenendo alla decisione sul punto senza alcuna disamina logico-giuridica dell'atto di impugnazione, con motivazione che si palesa pertanto del tutto insufficiente.

2. Con il secondo motivo si deduce insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 350 n. 5 c.p.c. Censura la ricorrente la sentenza impugnata nella parte in cui la C.T.R., anziché confutare le ragioni poste a fondamento del gravame, ha osservato che "per le altre poste (IRAP e crediti non riscossi) l'Ufficio, argomentando come già fatto in primo grado, non porta alcun elemento idoneo a convincere il Collegio rispetto alle motivazioni del primo giudice circa il mancato danno all'Erario e le prove sull'effettività dei mancati pagamenti".

Il motivo è corredato dal momento di sintesi richiesto dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.

Anche questa doglianza è fondata.

L'Agenzia delle Entrate, con l'atto di appello, aveva dedotto: la legittimità della ripresa a tassazione di € 26.426,74 ai fini IRPEG posto che, per espressa previsione normativa, la deduzione della perdita era consentita solo in caso di assoggettamento del debitore a procedura concorsuale; la correttezza del disposto recupero dell'IRAP non potendosi ritenere meramente formale la svista commessa dalla contribuente nell'indicare l'importo di € 66.226,00 in luogo di quello corretto di € 60.584,00, atteso che l'errore compilativo produceva comunque un danno erariale; l'insussistenza della deducibilità IRAP di € 42.913,00 per mancata dimostrazione della partecipazione delle spese sostenute per detto importo alla formazione del valore della produzione, non esistendo in atti alcun documento idoneo a dimostrare il diritto di godere di tale beneficio.

La C.T.R. ha respinto tali specifiche doglianze senza nulla argomentare al riguardo, limitandosi ad operare un generico riferimento alle motivazioni del primo giudice circa "il mancato danno all'Erario e le prove sull'effettività dei mancati pagamenti", omettendo di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento e le ragioni della reiezione delle censure, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e logicità del suo ragionamento.

Né può ritenersi che la sentenza sia validamente motivata per relationem rispetto alla decisione di primo grado, non avendo la C.T.R. espresso, neppure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti ed omettendo di riportare il contenuto essenziale della sentenza di primo grado, in modo da rendere chiaro il percorso decisionale cui il giudice di appello ha ritenuto di aderire.

3. Va, infine, osservato che la nuova disciplina dettata dal D.L. n. 193 del 2006 non concerne gli avvisi di accertamento ma solo le cartelle di pagamento.

4. In conclusione, il ricorso deve essere accolto. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.