Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 marzo 2017, n. 6542

Esposizione all’amianto - Benefici previdenziali - Domanda - Pensione di anzianità - Mancanza del requisito contributivo - Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Milano con la sentenza n. 353 del 2010, in parziale accoglimento dell'appello proposto dall'Inps, dichiarò il diritto di D.V. alla rivalutazione contributiva per esposizione all'amianto nel periodo lavorativo dal 24 gennaio 1979 al 31 dicembre 1992 secondo il regime di cui all'articolo 47 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, anziché, come aveva fatto il primo giudice, ai sensi dell'articolo 13 comma 8 della legge n. 257 del 1992.

2. La Corte territoriale argomentò che la domanda di riconoscimento dei benefici previdenziali era stata presentata dal V. in epoca successiva al 2/10/2003, che egli non aveva a quella data causa pendente per il riconoscimento del beneficio previdenziale e che, pur con il riconoscimento dei benefici previdenziali della rivalutazione contributiva ex art. 13 comma 8 della legge n. 257 del 1992, egli non avrebbe maturato il diritto alla pensione di anzianità a far tempo dal 2 ottobre 2003, per la mancanza del requisito contributivo richiesto, in relazione all'età anagrafica, pari a 1924 contributi, avendo maturato, pur con la detta rivalutazione, una contribuzione complessiva di 1916 settimane.

3. Per la cassazione della sentenza D.V. ha proposto ricorso, affidato ad un unico articolato motivo, cui ha resistito l'Inps con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. A sostegno del ricorso, il V. deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 13 comma 8 della legge n. 257 del 1992 (come sostituito dall'art. 1 comma 1 del d.l. n. 169 del 1993, conv. in legge n. 271 del 1993), 47 del d.l. n. 269 del 2003 (conv. in legge n. 326 del 2003), art. 3 comma 132 della legge n. 350 del 2003; art. 1 comma secondo del d.m. 27/10/2004; legge n. 247 del 24/12/2007; 1, 2 e 12 disp. prel. cod. civ.; legge n. 297 del 1982-motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria.

1.1. Sostiene che la salvezza della previgente disciplina dovrebbe operare non solo per i lavoratori che alla data di entrata in vigore del d.l. n. 269 avevano già maturato il diritto al trattamento pensionistico, ma per tutti i lavoratori che alla medesima data avessero già maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'articolo 13 comma otto della legge n. 257 del 1992 e successive modificazioni, sicché il nuovo regime dovrebbe applicarsi soltanto a quei lavoratori che, pur essendo stati esposti per un periodo ultradecennale all'azione dell'amianto prima del 2 ottobre 2003, non erano assoggettati alla predetta assicurazione obbligatoria.

1.2. Aggiunge che la diversa interpretazione della normativa richiamata sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, 32 e 38 della Costituzione. Essa violerebbe infatti il principio dell'affidamento, in materia incidente sul diritto alla salute e sul conseguimento dei benefici previdenziali; inoltre, lederebbe il principio di eguaglianza e ragionevolezza, non essendo la retroattività della nuova disciplina sostenuta da un'adeguata ratio giustificatrice per l'arbitraria parificazione di situazioni differenti (essendo stata regolata in ugual modo la situazione di coloro che avevano subito l'esposizione all'amianto in attività soggette alla relativa assicurazione obbligatoria e quella di coloro che a tale assicurazione non erano assoggettati) e per arbitraria discriminazione tra situazioni uguali (essendo stata fatta salva l'applicazione della vecchia disciplina per coloro che alla data di entrata in vigore avevano già maturato il diritto al trattamento pensionistico; per coloro che, alla stessa data, avevano già avviato un procedimento amministrativo o giurisdizionale per l'accertamento del diritto a conseguire i benefici in parola; per coloro che, sempre prima dell'entrata in vigore del decreto legge, avevano presentato una domanda, anche in sede amministrativa, per il riconoscimento del beneficio); da ciò la richiesta del ricorrente, in via gradata, di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa di riferimento per contrasto con gli artt. 3, 24, 32 e 38 Cost..

2. Il ricorso non è fondato.

2.1. La Corte territoriale si è attenuta al principio, che costituisce ormai appannaggio della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo il quale in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto, l'art. 3, comma 132, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che, con riferimento alla disciplina introdotta dall'art. 47, comma 1, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, ha fatto salva l'applicabilità della precedente normativa di cui all'art. 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 avessero maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali ivi previsto, va interpretato nel senso che la clausola di salvezza concerne gli assicurati in possesso di tutti i requisiti richiesti per la maturazione del diritto al conseguimento degli originari benefici e, dunque, sia del requisito specifico dell'esposizione all'amianto, per il periodo prescritto, in attività assoggettate all'assicurazione obbligatoria, sia dei requisiti pensionistici generali (in ispecie, contributivo e anagrafico). Ci si richiama in particolare a Cass. 22/04/2014, n. 9096 e ancora, da ultimo, 25/8/2016 n. 17732, le cui motivazioni si condividono ed alle quali ci si richiama, non essendo formulate convincenti argomentazioni di segno contrario.

2.2. I richiamati arresti hanno fugato anche i sospetti di illegittimità costituzionale prospettati anche nel ricorso in rassegna, argomentando (v. anche Cass. n. 17503 del 2014) che «secondo ¡principi enunciati a più riprese dalla Corte Costituzionale (cfr., ex plurimis, Corte Costituzionale, nn. 349/1985; 822/1988; 573/1990; 390/1995), le disposizioni modificative in senso sfavorevole della precedente disciplina dei rapporti di durata emanate dal legislatore ai fini pensionistici, non devono concretare un regolamento irrazionale ed arbitrario, lesivo delle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti e frustrare l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, che è elemento fondamentale dello Stato di diritto. Nella specie, tuttavia, la (comunque solo parziale) frustrazione delle aspettative pensionistiche dei destinatari della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 (per quanto, ovviamente, già non avessero maturato il diritto alla pensione) non si connota da arbitrarietà ed irrazionalità, inserendosi al contrario in un complessivo quadro di trasformazione radicale dell'istituto, nei termini e per le ragioni già diffusamente esposti» .

2.3. Inoltre, quanto alla dedotta arbitraria discriminazione tra situazioni reputate uguali, i dubbi sollevati trovano già risposta, nel senso della loro infondatezza, nelle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 376 del 2008, ove viene puntualizzato che il legislatore ha dettato la disciplina transitoria inerente al passaggio da un regime ad un altro in correlazione con il mutamento di funzione e di struttura della misura disciplinata e che, considerando che tale passaggio comportava un trattamento meno favorevole, ha voluto far salve alcune situazioni ritenute meritevoli di tutela, introducendo disposizioni derogatorie rispetto all'immediata applicazione della nuova disciplina; ciò nell'ambito di quell'ampia discrezionalità che, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, va riconosciuta al legislatore «nella fissazione delle norme di carattere transitorio dettate per agevolare il passaggio da un regime ad un altro, tanto più ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio comportante scelte connesse all'individuazione delle categorie dei beneficiari delle prestazioni di carattere previdenziale» (ancora, Cass. n. 17503 del 2014 e n. 17732 del 2016, già citata).

3. Segue coerente il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, non risultando assolto dal ricorrente l'onere autocertificativo di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 2.600,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.