Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 maggio 2017, n. 11028

Contratti a tempo determinato - Impugnazione - Conversione in rapporti a tempo indeterminato - Risarcimento - Prescrizione quinquennale

 

Svolgimento del processo

 

1. Le attuali ricorrenti adivano il Giudice del lavoro di Massa per impugnare i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il Comune di Massa e chiederne la conversione in rapporti a tempo indeterminato o, in subordine, ottenere la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno ex art. 36 d.lgs. n. 165/01. Il Giudice adito, ritenuta tempestiva la domanda giudiziale, accoglieva l'eccezione di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento e così, nel merito, affermata la non convertibilità del rapporto, rigettava ogni domanda.

2. Sull'appello proposto dalle lavoratrici, la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 674/2013, esaminata preliminarmente l'eccezione di decadenza riproposta dal Comune di Massa ex art. 346 c.p.c., l'accoglieva per non avere le ricorrenti agito in giudizio entro il termine di duecentosettanta giorni dall'impugnativa stragiudiziale, osservando che detto termine trovava applicazione dall'entrata in vigore della legge n.183 del 2010 (24 novembre 2010). Le appellanti avevano impugnato i contratti in sede stragiudiziale entro il termine stabilito di sessanta giorni, ma le domande giudiziali erano state introdotte tardivamente, in data 18 ottobre 2011 per la Elia e in data 26 settembre 2012 per la Casolari.

3. Per la cassazione di tale sentenza le lavoratrici propongono ricorso affidato a tre motivi, cui si aggiunge la riproposizione (formalmente articolata in altri due motivi di ricorso) delle ulteriori questioni non esaminate dai giudici di merito in quanto rimaste assorbite. Resiste il Comune di Massa con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 329 e 346 c.p.c. e dell'art. 2909 c.c. Il Comune di Massa si era costituito in appello con memoria difensiva riproponendo le stesse eccezioni di primo grado e, tra queste, quella di decadenza delle attrici dall'impugnazione giudiziale del termine. Poiché tale eccezione era stata espressamente respinta dal Giudice di primo grado, il Comune avrebbe dovuto proporre appello incidentale avverso tale capo della sentenza, mentre si era limitato a reiterare l'eccezione ex art. 346 c.p.c. La Corte di appello aveva dunque errato nel non ritenere precluso l'esame della questione per intervenuto giudicato interno.

2. Con il secondo, subordinato motivo si denuncia violazione dell'art. 32 L. 183 del 2010, come modificato dall'art. 2, co. 54, d.l. 225 del 2010, conv. in L. n. 10 del 2011. La Corte di appello aveva fornito una erronea interpretazione della normativa che regola il termine di decadenza sostanziale di duecentosettanta giorni previsto per l'instaurazione del giudizio.

3. Il terzo motivo verte sulla prescrizione del diritto al risarcimento del danno, contestandosi specificamente l'applicabilità del termine quinquennale. L'art. 36 d.lgs. 165/01, quale norma speciale, non impedisce l'applicazione dell'art. 1 d.lgs. 368/2001 e dell'art. 1419 c.c., ma incide solo sulle successive conseguenze, impedendo che il contratto possa convertirsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; tuttavia, esso interviene a sanzionare una violazione contrattuale che si è già determinata.

4. Il primo motivo è infondato.

4.1. La questione posta concerne la necessità per la parte vittoriosa nel merito di proporre appello incidentale per far valere davanti al giudice della impugnazione il mancato accoglimento di una eccezione pregiudiziale. Trattasi in altri termini di stabilire se sia idonea ad impedire la preclusione da giudicato la mera riproposizione della eccezione - come prevede l'articolo 346 c.p.c. - o se piuttosto occorra una vera e propria impugnazione - in via incidentale - della sentenza.

4.2. Questa Corte ha già affermato (Cass. n. 14086 e n. 24021 del 2010, n. 19828 del 2013 e n. 24124 del 2016; v. pure Cass. n. 8317 del 2015, n. 14086 del 2010), con orientamento che qui si conferma, che la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l'onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione "le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado", da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l'eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'art. 346 c.p.c.

4.3 Occorre, difatti, distinguere la soccombenza teorica, che riguarda le eccezioni assorbite o respinte ma sempre inerenti alla domanda sulla quale la parte è rimasta vittoriosa, e la soccombenza che riguarda le eccezioni autonome che, se respinte, comportano una soccombenza parziale, per la cui rimozione occorre un appello incidentale.

4.4. Nel caso in esame, deve escludersi la necessità dell'appello incidentale da parte del Comune che si era visto rigettare l'eccezione di decadenza per tardività della domanda, essendo la pretesa delle lavoratrici stata comunque respinta dal primo giudice per altre ragioni.

6. Il secondo motivo è fondato e va, pertanto, accolto.

6.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciando in fattispecie del tutto analoghe a quella in esame, relative ad altri contratti a termine stipulati dal Comune di Massa, hanno respinto (sentenza n. 4913 del 2016) i motivi di ricorso proposti dall'Ente locale avverso la statuizione del giudice di appello che aveva ritenuto tempestivi i ricorsi proposti dalle lavoratrici per effetto della proroga disposta dal comma 1 bis, aggiunto all'art. 32 dalla legge n. 10 del 2011, di conversione del d.l. n. 225 del 2010, riferibile a tutti i casi per i quali il citato art. 32 ha introdotto la nuova disciplina decadenziale, con efficacia retroattiva, come desumibile chiaramente dall'inciso "in sede di prima applicazione", oltre che dalla ratio legis.

6.2. Le S.U. hanno osservato che correttamente la Corte d'appello aveva ritenuto inoperante il termine di decadenza per l'azione diretta a far valere l'illegittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro quale introdotto dall'art. 32 legge n. 183 del 2010, stante quanto disposto dal comma 1 bis aggiunto a tale disposizione dalla legge 26 febbraio 2011 n. 10, di conversione del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225, che ha previsto che le disposizioni di cui al novellato art. 6, primo comma, legge n. 604/1966, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere 31 dicembre 2011. Tale differimento dell'efficacia della nuova disciplina decadenziale, introdotta dall'art. 32, deve infatti ritenersi operante per tutte le fattispecie alle quali questa nuova disciplina si riferisce.

6.3. Considerato che la ratio del differimento dell'applicabilità del nuovo regime decadenziale risiede nell'esigenza di evitare che l'immediata decorrenza di un termine decadenziale, prima non previsto, potesse pregiudicare chi, intenzionato a contestare la cessazione del rapporto di lavoro o le altre tipologie di atti datoriali indicati nell'art. 32 cit., si trovasse ad incorrere inconsapevolemente nella decadenza, non sarebbe giustificata, a fronte del principio di eguaglianza, una differenziazione che limitasse tale differimento alla sola ipotesi dell'impugnativa del licenziamento ed escludesse le altre, tra cui la contestazione della legittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro. Deve pertanto ritenersi che il legislatore abbia inteso posticipare l'applicabilità del nuovo regime decadenziale nel suo complesso con riferimento a tutti i termini introdotti dall'art. 32 cit. (cfr., negli stessi termini, tra le più recenti, oltre alle citate sentenze delle S.U., Cass. n. 1684, 1683, 1682, 1681 e 1680 del 2017, in fattispecie riguardanti ipotesi di contratti a temine stipulati da P.A.)

7. L'esame del terzo motivo resta assorbito. Premesso che la Corte di appello non ha pronunciato sull'eccezione di prescrizione, occorre osservare che nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell'accoglimento di un'eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l'accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l'esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio (cfr. Cass. n. 23558 del 2014).

7.1. Le restanti questioni di cui al quarto e quinto motivo attengono al merito e devono ritenersi proposte da parte ricorrente a fini meramente cautelari in sede di legittimità, non essendo state esaminate neppure dal giudice di primo grado in quanto rimaste assorbite nella dichiarata prescrizione.

8. In conclusione, respinto il primo motivo, va accolto il secondo, assorbito il terzo. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte di appello di Genova in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.