Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 febbraio 2017, n. 2818

Dipendente Inps - Superiori mansioni dirigenziali - Differenze retributive

Svolgimento del processo

 

1. D. A. dipendente dell'INPS in servizio presso la sede di Roma Tiburtino con posizione C4, con ricorso al Tribunale di Roma, chiedeva che per il periodo compreso tra il 6 ottobre 1999 e il 24 aprile 2001 gli fossero riconosciute le differenze retributive correlate all'avvenuto svolgimento delle superiori mansioni dirigenziali, derivante dalla assunzione, nel suddetto periodo, delle funzioni di titolare della direzione dell'Ufficio di Riscossione Contributi e Vigilanza presso la predetta Sede di Roma Tiburtino.

2. In accoglimento del ricorso il Tribunale adito condannava l'INPS al pagamento delle richieste differenze retributive per il suindicato periodo.

3. La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 10 marzo 2010 attualmente impugnata, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio.

La Corte territoriale osservava che con il riassetto organizzativo disposto, con effetto immediato, dalla Deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 799 del 28 luglio 1998, adottata dall'Ente in virtù dei suoi poteri di autorganizzazione, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 27, comma 1, è stata disposta una riduzione delle figure dirigenziali e l'ufficio ricoperto dal ricorrente, benché fosse dirigenziale nel precedente organigramma, non è più stato considerato tale, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità.

4. Il ricorso di D.A., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con controricorso, l'INPS.

 

Motivi della decisione

 

I - Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in sei motivi

1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, terzo comma, e 437 cod. proc. civ., per avere la Corte d'appello ammesso e posto a base della propria decisione documentazione "nuova" prodotta solo in appello (in particolare: la Delibera del Consiglio Amministrazione INPS 28 luglio 1998, n. 799) e per avere consentito l'introduzione nel contraddittorio di tematiche i nuove, non oggetto del giudizio di primo grado.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 2, commi 1 e 2 e artt. 3, 4, 6, 17, 19, 21 e 27 bis, nel testo originario e in quello modificato dal d.lgs. n. 80 del 1998, in relazione all'Ordinamento dei Servizi dell'INPS, approvato con Delibera 27 luglio 1989, n. 770, ed al Regolamento di Organizzazione dell'INPS nonché all'Ordinamento dei Servizi approvato con Delibera 28 luglio 1998, n. 779 e del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 commi 3, 4 e 5, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998.

Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe correttamente considerato che gli organi di governo degli enti pubblici - e in particolare il Consiglio di Amministrazione dell'INPS - non hanno il potere di emanare, oltre agli atti normativi ed ai provvedimenti di cui del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 3, comma 1, anche le determinazioni operative per l'organizzazione degli uffici e i provvedimenti di gestione dei rapporti di lavoro con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro e che gli atti normativi e i provvedimenti di indirizzo politico amministrativo non hanno effetti diretti sui rapporti giuridici preesistenti, senza necessità di provvedimenti dei competenti organi della dirigenza.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., errata e falsa applicazione dell'art. 16 del Regolamento di Organizzazione di cui alla Delibera 28 luglio 1999 (recte: 1998), n. 799, in relazione al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 3, comma 2 e art. 17, nel testo originario e in quello modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998 , e all'art. 27-bis introdotto nel D.Lgs. n. 29 del 1993 dal D.Lgs. n. 80 del 1998. Ad avviso del ricorrente erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che l'art. 16 del Regolamento avesse ridisegnato le funzioni dirigenziali, poiché la disciplina delle attribuzioni, poteri e funzioni dei dirigenti è contenuta nelle norme citate, e non può essere modificata da provvedimenti amministrativi degli organi di governo degli enti.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., errata e la falsa applicazione dell'art. 13 del Regolamento di Organizzazione, approvato con Delibera n. 799 del 1998, in relazione al Regolamento di Organizzazione approvato con Delibera n. 770 del 1989 e al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 3, comma 2 e art. 17, nel testo originario e in quello modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998. Si assume che l'art. 13 aveva prorogato le competenze e le funzioni degli uffici dirigenziali dell'INPS in attesa dell'attuazione del nuovo modello organizzativo con l'adozione dei relativi provvedimenti da parte degli organi competenti della dirigenza, con la conseguenza che gli uffici qualificati dirigenziali dall'ordinamento dei servizi n. 770 del 1989 avevano conservato le competenze previste dall'ordinamento e i loro titolari le funzioni loro assegnate.

1.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 3, 17, 19 e 21, nel testo originario ed in quello modificato, nonché del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, commi 3, 4 e 5, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, in relazione all'accertato svolgimento di effettivo delle funzioni di dirigente dell'Ufficio di coordinamento riscossione contributi della sede regionale per il Lazio nonché al livello dirigenziale riconosciuto a tale Ufficio dall'Ordinamento dei Servizi approvato con Delibera n. 770 del 1989.

Si ribadisce che per il periodo compreso tra il 6 ottobre 1999 e il 24 aprile 2001 D.A. ha diretto l'Ufficio di Riscossione Contributi e Vigilanza presso la predetta Sede di Roma Tiburtino, a seguito di incarico formalmente conferitogli e che tali funzioni avevano natura dirigenziale e si aggiunge che l'ordinamento dei servizi n. 770 del 1989 era rimasto in vigore fino all'emanazione dei provvedimenti di attuazione del regolamento di organizzazione, avvenuta con l'ordine di servizio n. 36 dell'11 ottobre 1999.

1.6. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, relativamente alla asserita riduzione delle figure dirigenziali disposta dal Regolamento di Organizzazione n. 799 del 1998. Si sostiene che la Corte territoriale non avrebbe specificato in quale punto della relativa Deliberazione e in quale articolo del Regolamento sarebbe stata disposta tale riduzione e la sua entità. Si sostiene che, al contrario, nessuna modifica nell'organico era stata disposta prima della Delibera 12 luglio 2000, n. 409, che aveva fissato in 601 unità l'organico dei dirigenti.

II - Esame delle censure

2. Il ricorso non è da accogliere per le medesime ragioni da esposte da questa Corte in analoghe controversie (vedi, per tutte: Cass. 15 novembre 2015, n. 24062), che il Collegio condivide.

3. In particolare, il primo motivo è inammissibile per mancato rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione.

3.1. Premesso che della questione della tardività della produzione documentale non vi è traccia nella sentenza impugnata, il ricorrente omette di indicare quando la documentazione asseritamente "nuova" - e, in particolare: la Delibera del Consiglio Amministrazione INPS 28 luglio 1998, n. 799 - sarebbe stata Introdotta in giudizio e quando ed in che termini sarebbero state sollevate eccezioni in merito, sì da consentire a questa Corte di apprezzare la veridicità dell'anzidetta asserzione. Inoltre la parte non trascrive né produce unitamente al ricorso per cassazione la memoria difensiva dell'INPS da cui dovrebbe trarsi a contrario la prova della novità delle difese fondate sulla detta Delibera.

In tal modo la parte non rispetta il duplice onere imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall'art. 366 cod. proc. civ. , comma 1, n. 6 e, a pena di improcedibilità, dall'art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, il quale impone che, quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, o di un error in procedendo, ai sensi dei numeri 1, 2 e 4 della medesima norma, è necessario non solo che il contenuto dell'atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l'esatta allocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass. 6 novembre 2012, n. 19157; Cass. 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. 25 maggio 2007, n. 12239; vedi pure: Cass. 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass. 7 febbraio 2011, n. 2966).

3.2. Per contro, l'INPS, nel controricorso, ha trascritto la sua memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, da cui risulta (pagg. 2 e 3) che vi è stata una puntuale contestazione del diritto del C. alla qualifica di dirigente per effetto del nuovo assetto organizzativo e funzionale della sede regionale disposto dalla Delibera del Consiglio Amministrazione 28 luglio 1998, n. 799, nonché dalle Delibere 8 luglio 1999, n. 187 e 7 novembre 1998, n. 1128. A tali considerazioni deve aggiungersi che il rilievo attribuito dalla parte datoriale alla richiamata Delibera n. 799 del 1998 costituisce mera argomentazione difensiva nell'ambito della già espletata resistenza alle avversarie pretese (Cass. 18 gennaio 2012, n. 712), il che esclude che la questione soggiaccia a limiti e preclusioni.

3.3. Quanto alla tardività della produzione, essa non impedisce l'acquisizione del documento, in ragione della sua indispensabilità ai fini del giudizio, in quanto idoneo a sovvertirne l'esito, e tanto in forza dei poteri istruttori ufficiosi di cui dispone anche il giudice d'appello ai sensi dell'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. n. 712 del 2012, cit. ).

4. Gli ulteriori motivi di ricorso, la cui intima connessione ne consiglia la trattazione unitaria, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha già avuto modo di affrontare le tematiche giuridiche sollevate dal ricorrente (cfr., ex plurimis: Cass. 11 settembre 2007, n. 19025; Cass. 9 settembre 2008, n. 22890; Cass. 23 luglio 2010, n. 17367; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4757; Cass. 712 del 2012 cit.; Cass. 29 settembre 2014 n. 20466, Cass., 28 agosto 2015, n. 17290; Cass. 9 settembre 2015, n. 17841).

4.1. Nelle suddette sentenze è stato osservato che: a) in base al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 17 poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 27, comma 1, gli enti pubblici non economici nazionali, e quindi anche l'INPS, devono adeguare i propri ordinamenti a quelli stabiliti nel decreto legislativo, adottando appositi regolamenti di organizzazione; b) l'INPS ha adempiuto a tale dovere con la ricordata Delibera n. 799 del 1998; c) nell'art. 16 sono state ridisegnate le funzioni dirigenziali, e, diversamente da altre disposizioni di carattere organizzativo, per l'efficacia di quelle attinenti alla dirigenza non è stato previsto alcun differimento sino all'integrale realizzazione del nuovo modello organizzativo; d) dal rilievo secondo cui il differimento costituiva una conseguenza logicamente necessaria, non potendo le nuove mansioni dirigenziali essere esercitate senza quel modello, non può trarsi l'ulteriore conseguenza che le mansioni esercitate secondo il modello precedente mantenessero il loro carattere dirigenziale; e) una simile conclusione da un lato non considera che una siffatta classificazione avrebbe in definitiva comportato la reviviscenza di regole sulla dirigenza pubblica del tutto incompatibili con le norme recate dal D.Lgs. n. 80 del 1998 (poi consolidate con il D.Lgs. n. 165 del 2001 ) e, dall'altro lato, non tiene conto dei profili valutativi (e peraltro indirettamente regolativi) delle norme di cui alla citata Delibera; f) le suddette fonti normative, nonché il contratto collettivo nazionale di lavoro di settore 1998/2001 - sottoscritto nel febbraio 1999 ma riguardante, per volontà delle parti (art. 2, comma 1, del CCNL stesso), il periodo dal 1 gennaio 1998 - portano a concludere che le medesime mansioni che nel precedente regime pubblicistico venivano considerate dirigenziali possono essere diversamente qualificate nel regime privatistico del pubblico impiego, in considerazione del diverso contenuto e rilievo che ad esse è stato attribuito in tale ultimo regime; g) nel suindicato ambito è collocabile anche il personale del ruolo esaurimento (espressamente preso in considerazione dall'art. 13, comma 1, del citato CCNL 1998/2001) e, nel nostro caso, gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, di cui alla legge 9 marzo 1989, n. 88, art. 15, richiamato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3, in cui è confluito, fra l'altro, il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25 (sul punto vedi anche: Cons. Stato, sez. VI, sentenze n. 1887 e n. 1888 del 2005).

4.2. Conseguentemente, la tesi di D.A., fondata sul rilievo secondo cui la funzione di direzione dell'Ufficio di Riscossione Contributi e Vigilanza presso la predetta Sede di Roma Tiburtino avrebbe avuto natura e carattere dirigenziale, non è conferente, poiché, in base al ricordato D.Lgs. n. 80 del 1998, è dirigenziale solo la funzione che risponde al modello ivi disegnato, cosicché, qualora l'ente pubblico interessato si adegui alle nuove regole, pur mantenendo transitoriamente un assetto non corrispondente al nuovo modello, la valutazione delle funzioni che si esercitano in tale organizzazione, per stabilire se esse siano o no dirigenziali, dovrà essere riferita alle nuove regole e non a quelle precedenti.

IlI - Conclusioni

5. In sintesi, la sentenza impugnata ha correttamente ancorato la propria valutazione a questi principi, sicché essa non merita le censure pur diffuse ed articolate svolte nei motivi di ricorso (nello stesso senso, oltre alla richiamata Cass. 15 novembre 2015, n. 24062, vedi anche: Cass. 7 marzo 2014, n. 5332; Cass. 16 gennaio 2015, n. 664; Cass. 9 settembre 2015, n. 17841).

Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio si cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 4.000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge nonché rimborso spese generali al 15%.