Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 giugno 2016, n. 11942

Tributi - Accertamento analitico induttivo - Prelievi bancari imputati alla cassa contante aziendale - Debiti non documentati - Presunzione di ricavi non contabilizzati - Onere di prova contraria a carico del contribuente

 

Ritenuto in fatto

 

A seguito di processo verbale di constatazione del 27.5.2005, l'Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di S. spa, esercente l'attività di vendita all'ingrosso di prodotti per pasticceria e gelateria, un avviso di accertamento con il quale effettuava le seguenti riprese a tassazione: 1) importo di euro 125.481 del conto "debiti verso altri soggetti" considerato passività inesistente poiché costituito da pagamenti per debiti non documentati ed a favore di soggetti non individuati; 2) importo di euro 86.500 costituito da due prelevamenti bancari effettuati su conti della società con saldo a debito, contestualmente riversati sul conto cassa della società che invece presentava un saldo attivo di euro 367.000 e di euro 379.363: l'Ufficio considerava inverosimile, perché antieconomico, che tali prelievi fossero stati destinati dalla società a sé stessa e li qualificava ricavi non contabilizzati in forza della presunzione stabilita dall'art.32 comma 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600; 3) euro 12.080 di costi indeducibili per indimostrata inerenza, non essendo identificati i beneficiari quanto a spese di ristorazione, doni pasquali e natalizi, indumenti, e non essendo indicato il nome della società e l'automezzo quanto alle spese di carburante; considerate le irregolarità riscontrate nella contabilità, l'Ufficio procedeva alla ricostruzione dei ricavi applicando un ricarico medio del 23,86%, accertando i maggiori ricavi e il maggior reddito conseguente.

La società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Caserta che lo accoglieva parzialmente con sentenza del 20.11.2006.

L'Agenzia delle Entrate proponeva appello principale e la società si costituiva proponendo appello incidentale.

La Commissione tributaria regionale di Napoli con sentenza del 30.6.2008 rigettava l'appello principale dell'Ufficio ed accoglieva l'appello incidentale della società.

Contro la sentenza di appello l'Agenzia delle Entrate ricorre per i seguenti motivi: 1) violazione dell'art. 2687 cod. civ. ed omessa motivazione, in relazione agli artt. 360 comma primo n.3 e 5 cod. proc. civ. , nella parte in cui ha affermato che era onere dell'Ufficio anziché del contribuente dimostrare l'inesistenza dei finanziamenti soci addotti dalla società a giustificazione della posta passiva di euro 125.481; mancanza di motivazione nella parte in cui ritiene che la mera autorizzazione a richiedere finanziamenti ai soci costituisca prova della effettiva attuazione delle operazioni di finanziamento e della concreta restituzione di simili finanziamenti in misura corrispondente all'importo ripreso a tassazione; 2) violazione dell'art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 - omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 comma 1 n.3 e 5 cod. proc. civ.; 3) violazione dell’art. 75 d.P.R.22 dicembre 1986 n. 917 e 2697 cod.civ. in relazione all'art. 360 n.3 cod. proc. civ. nella parte in cui ha ritenuto deducibili costi, documentati da semplici scontrini, sulla base della mera plausibilità; 4) violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per extrapetizione in relazione all'art. 360 comma primo n.4 cod. proc. civ. nella parte in cui ha ritenuto l'insussistenza del presupposto costituito dalla inattendibilità complessiva delle scritture contabili; 5) violazione e falsa applicazione degli artt. 39 commi 1 e 2 e 40 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, in relazione all'art. 360 comma 1 n.3 cod. proc. civ. nella parte in cui ha ritenuto necessario il presupposto della globale inattendibilità delle scritture richiesto solo per l'accertamento induttivo puro e non per l'accertamento analitico-induttivo previsto dall'art. 39 comma 1 lett. d) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 applicato dall'Ufficio.

La società S. spa resiste con controricorso. Chiede di dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione  perché proposto oltre il termine di decadenza previsto dall'art. 327 cod. proc. civ. o comunque di rigettarlo.

 

Considerato in diritto

 

1. La preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso, perché proposto tardivamente, deve essere rigettata. L'affermazione della controricorrente, secondo cui la sospensione feriale dei termini non può applicarsi più di una volta, è priva di fondamento. Si deve invece ribadire che, in caso di interferenza con il periodo di sospensione feriale dei termini processuali, al termine annuale di decadenza dall'impugnazione previsto dall’art. 327 comma primo cod. proc. civ., vigente ratione temporis, devono aggiungersi 46 giorni computati numericamente ai sensi del combinato disposto dell'art. 155, primo comma, e art. 1, comma primo della legge 7 ottobre 1969, n. 742, non dovendosi tenere conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno. Ne consegue che si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine di decadenza dall'impugnazione non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale. (Sez. 5, Sentenza n. 22699 del 04/10/2013, Rv. 628576).Nel caso in esame è pacifico che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 30.6.2008 ed il ricorso per cassazione è stato notificato a mezzo del servizio postale in data 30.9.2009, con conseguente doppio computo del periodo di sospensione feriale dei termini.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato. Il giudice di appello ha ritenuto che: la posta passiva di euro 125.481, annotata nel conto debiti verso altri soggetti, era stata debitamente documentata mediante produzione di una delibera assembleare del 5.6.2000, che autorizzava l'amministratore a richiedere ai soci versamenti infruttiferi; che era " nell'ordine naturale delle cose" l'avvenuta restituzione di detti finanziamenti; che era onere dell'Ufficio dimostrare l'eventualità che i finanziamenti non fossero mai stati erogati, attraverso un controllo contabile degli anni precedenti. L'argomentazione è censurabile sia per violazione della regola di ripartizione dell'onere della prova stabilito dall'art. 2697 cod. civ., sia per vizio della motivazione. L'adozione di un verbale di assemblea che semplicemente autorizzi l'amministratore a richiedere finanziamenti ai soci (sino alla concorrenza di un determinato importo) non costituisce, sul piano logico, prova dell'effettiva dazione dei finanziamenti autorizzati e della loro successiva restituzione per l'importo indicato nel bilancio. Spetta al contribuente, che allega un fatto impeditivo della pretesa tributaria, l'onere di provare la effettiva sussistenza di componenti negativi del reddito di impresa, nonché l'inerenza degli stessi ad attività produttive di ricavi o altri proventi ai sensi dell'art. 109 comma 5 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917. (in senso conforme Sez. 5, Sentenza n. 25282 del 16/12/2015, Rv. 63800 Sez. 5, Sentenza n. 1691 del 29/01/2016, Rv. 638736 ).

3. Il secondo motivo è fondato. La Commissione tributaria regionale ha considerato i prelevamenti bancari giustificati "per urgenti necessità di cassa", ed ha ritenuto onere dell'Ufficio compiere accertamenti sulla consistenza della cassa al fine di verificare se nella formazione dell'attivo di euro 360.000 circa "fossero confluiti assegni ed effetti dì non immediata negoziabilità". Il giudice di merito non ha considerato che l'art. 32 comma 1 lett.b) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 determina un’inversione dell'onere della prova ponendo a carico del contribuente il compito di dimostrare chi sia il reale beneficiario del prelievi bancari, altrimenti considerati come ricavi non contabilizzati; inoltre ha indebitamente posto a carico dell'Amministrazione finanziaria l'onere di verificare la composizione della cassa al fine di accertare l'eventuale presenza di mezzi di pagamento non liquidi, tali da giustificare l'immissione di ulteriori disponibilità finanziarie prelevate da un conto bancario passivo. La motivazione è carente nella parte in cui attribuisce rilevanza probatoria ad una mera ipotesi circa asserite ma indimostrate "urgenze di cassa", e nella parte in cui non dà risposta alla argomentazione presuntiva dell'Ufficio circa la destinazione dei prelievi bancari a pagamenti di acquisti "in nero", desunta dalla natura palesemente antieconomica di una operazione di prelevamento di somme di denaro dal conto corrente, avente l'effetto di aggravare l'esposizione bancaria della società, al fine di riversare le medesime somme sul conto cassa avente un saldo attivo già elevato.

4. Il terzo motivo è fondato. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto la deducibilità dei costi per euro 12.080 sulla base della mera "plausibilità" della destinazione di tali somme all'acquisto di "strenne natalizie, doni pasquali ecc.", viola il disposto dell'art. 75 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, vigente ratione temporis, secondo cui le spese ed in genere i componenti negativi del reddito di impresa devono essere adeguatamente documentati in modo che ne risulti l'effettiva inerenza all'attività di impresa.

5. Il quarto motivo è infondato. Non vi è vizio di extrapetizione perché la società con l'appello incidentale (come con il ricorso introduttivo) ha contestato la complessiva ricostruzione dei ricavi effettuata dall'Ufficio, anche sotto il profilo della legittimità del metodo di accertamento adottato.

6. Il quinto motivo è fondato. Il giudice di appello ha annullato la determinazione induttiva dei maggiori ricavi ritenendo l'insussistenza del presupposto della inattendibilità complessiva delle scritture contabili richiesto dagli artt. 39 comma 1 lett. d) e 40 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600. Il presupposto della inattendibilità complessiva delle scritture contabili è invece richiesto dall'art. 39 comma 2 lett. d) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 per procedere all'accertamento induttivo puro o induttivo extracontabile, mentre nel caso in esame l'Ufficio ha proceduto all'accertamento analitico-induttivo previsto dall'art. 39 comma 1 lett. d) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio per nuovo giudizio, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso; rigetta il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.