Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 luglio 2016, n. 14075

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Sentenza - Contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione - Provvedimento inidoneo a consentire l'individuazione del concreto comando giudiziale - Nullità della sentenza

 

Osserva

 

La CTR di Milano ha "confermato la sentenza impugnata" decidendo sull’appello principale di "Equitalia Nord spa" e sull’appello incidentale dell’Agenzia, appelli proposti contro la sentenza n. 292/08/2012 della CTP di Milano che aveva integralmente accolto il ricorso del "Fallimento A. spa" avverso cartella di pagamento emessa dalla concessionaria per iscrizioni a ruolo di IRAP 2010-IRES 2011 oltre a sanzioni ed interessi su entrambe le imposte menzionate, accoglimento che (come si desume dalla pronuncia qui impugnata) era stato determinato dalla ritenuta fondatezza della tesi di parte ricorrente "secondo la quale l’Ufficio e l’Agente della riscossione avrebbero dovuto chiedere direttamente l’ammissione al passivo e non procedere alla emissione del ruolo e della cartella".

La predetta CTR - dopo avere dato atto che con provvedimento 13.3.2012, e perciò antecedente alla proposizione dell’appello, l’Agenzia aveva disposto lo sgravio integrale in autotutela della partita di ruolo relativa ad IRAP e dopo avere dato atto della posizione difensiva delle parti sia nel primo grado che nel grado di appello - ha argomentato la decisione evidenziando che doveva essere respinta l’eccezione di parte appellata ("peraltro sostanzialmente abbandonata in appello") di nullità della cartella per vizio formale di motivazione, risultando sufficiente in quest’ottica l’evidenziazione della somma da pagare e l’indicazione della causale tramite apposito numero di codice. Quanto alle questioni poste dagli appellanti - e dopo avere precisato che "la causa verte esclusivamente sulla debenza di sanzioni per omesso versamento, interessi ed aggi, come specificato dal fallimento medesimo" - la CTR argomentava nel senso che - riguardando la questione gli obblighi del curatore fallimentare circa gli adempimenti successivi alla presentazione delle dichiarazioni fiscali - la legge fallimentare faceva espresso divieto al curatore di effettuare qualunque pagamento o esecuzione di ripartizione dell’attivo prima di avere proceduto ad eseguire tutte le procedure previste dalla legge, ed avere ottenuto l’autorizzazione dal giudice fallimentare. Da qui il rigetto degli appelli interposti dalla concessionaria e dall’Agenzia che andavano condannate anche alla rifusione delle spese del grado di appello. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La parte contribuente si è difesa con controricorso.

Il ricorso ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 comma 2 cpc) la ricorrente si duole della sentenza di secondo grado per il contrasto insanabile tra la motivazione ed il dispositivo, avendo il giudicante - nella motivazione - "delimitato l’oggetto della sua pronuncia alla sola questione della debenza delle sanzioni, degli interessi e degli aggi, affermando che gli stessi non risultavano dovuti stante il divieto del curatore fallimentare di effettuare qualunque pagamento o ripartizione dell’attivo prima di avere eseguito tutte le procedure previste dalla legge ed avere ottenuto l’autorizzazione del giudice fallimentare", ma non avendo poi (in coerenza con detta limitazione) provveduto al parziale accoglimento dell’atto di appello principale e di quello incidentale (con annullamento del provvedimento limitatamente a sanzioni ed aggi). Confermando integralmente la sentenza di primo grado, il giudice di appello aveva confermato l’integrale annullamento del provvedimento esattivo, così coinvolgendo anche le imposte IRES che - a seguito dello sgravio dell’IRAP - erano rimaste oggetto dell’attività esattiva, oltre a sanzioni ed interessi. Ne era risultato un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, non potendosi individuare la concreta statuizione del giudice attraverso il confronto tra Luna e l’altro.

La doglianza appare fondata e da condividersi, nei limiti di cui si dirà.

Invero, è principio numerose volte affermato dalla Suprema Corte quello secondo cui: "Sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 156 e 360 n. 4 cod. proc. civ., nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l'individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mercè valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14966 del 02/07/2007); "È viziata da nullità la sentenza il cui dispositivo non contenga una precisa determinazione del diritto che riconosce o del bene che tende a far conseguire, così da lasciare assoluta incertezza sul contenuto e sulla portata della decisione e, quindi, sul concreto comando giudiziale" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16448 del 15/07/2009).

E ciò perché è assodato che la possibilità del ricorso all'interpretazione complessiva della decisione presuppone una sostanziale coerenza delle diverse parti delle proposizioni della medesima, in difetto di che non è dato né di utilizzare il procedimento di correzione di cui agli art. 287 e 288 c.p.c., né di ricorrere all’interpretazione della portata precettiva (individuando l'esatto contenuto della sentenza non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l'effettiva volontà del giudice o ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del "dictum" giudiziale), sicché non resta che la declaratoria della nullità di tale provvedimento (art. 156 e 360 n. 4 c.p.c.) per la sua inidoneità a consentire l'individuazione della portata e dell’efficacia del concreto comando giudiziale (Cass. 13 maggio 1999, n. 4754; Cass. 24 febbraio 1992, n. 2281; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17910 del 10/09/2015; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 15088 del 17/07/2015).

Nella specie di causa non vi è dubbio (per quanto riferito dalla pronuncia impugnata) che la parte ricorrente avesse chiesto l’annullamento integrale della cartella e (solo in subordine) "l’annullamento dei compensi di riscossione quanto alla iscrizione IRAP e l’annullamento di interessi, sanzioni e compensi di riscossione quanto alla iscrizione IRES", ottenendo l’accoglimento della domanda principale da parte del primo giudice sul presupposto che l’ufficio e l’agente della riscossione avrebbero dovuto chiedere l’ammissione al passivo e non procedere alla emissione del ruolo e della cartella, pronuncia che per implicita concordia delle parti sul punto - non può che ritenersi avere coinvolto anche il residuo capitale (per IRES), oltre agli importi oggetto della domanda subordinata.

Essendosi gli appelli appuntati contro detta pronuncia nella sua integralità (per la ritenuta violazione dell’art. 87 del DPR n. 602/1973 ed altro), il giudice di secondo grado ha ritenuto di recuperare l’esame dell’eccezione di parte appellata (circa il difetto di motivazione del provvedimento), per quanto ne abbia rilevato il sostanziale "abbandono" in appello e per quanto su detto punto non risulti essere stato proposto appello incidentale, sull’evidente (se pur implicito) presupposto che il giudice di primo grado non ne avesse fatto esame. Si deve perciò desumerne che il giudice di primo grado abbia accolto la domanda principale per una ragione diversa ed autonoma rispetto a quest’ultima (in tal modo riesumata), così che non può neppure argomentarsi nel senso che il rigetto dell’assunto circa il difetto di motivazione del provvedimento esattivo abbia indotto il giudice di appello a considerare integralmente priva di sostegno la domanda principale (con conseguente alimento della soluzione desumibile dal criterio di interpretazione del dispositivo della pronuncia alla stregua della "autolimitazione" del petitum di cui oltre si dirà).

Ciò detto, il giudicante ha messo in evidenza di dover pronunciare esclusivamente sulla debenza di sanzioni per omesso versamento, interessi ed aggi, "come specificato dal fallimento medesimo", e perciò sostanzialmente recependo una sorta di "autolimitazione" della domanda originaria da parte della contribuente, nonostante il più ampio ambito di efficacia della pronuncia di primo grado, senza però fame conseguire una declaratoria (tra le molte prospettabili) di riduzione dell’accoglimento integrale della domanda principale formulata dalla contribuente stessa, della quale è ribadito l’accoglimento integrale - nel dispositivo - mercè la formula: "conferma la sentenza impugnata". Non par dubbio che ne derivi un insormontabile ostacolo alla precisa individuazione del diritto che nella impugnata sentenza si riconosce (rectius: si disconosce), così che è lasciata assoluta incertezza sul contenuto e sulla portata della decisione e quindi sul concreto comando giudiziale, quanto meno a riguardo del bene della vita diverso dalle somme che sono state oggetto della domanda subordinata (a riguardo delle quali ultime è da considerarsi chiaro e cristallino l’intento del giudicante e la ratio della decisione adottata, che non è stata fatta oggetto di specifica censura, senza che possa considerarsi tale il secondo motivo di impugnazione centrato sulla nullità della sentenza per omessa motivazione, siccome siffatta censura non può essere sollevata a riguardo di un solo capo della decisione ma deve investirla nella sua integralità, non potendosi annullare i capi provvisti di motivazione per conseguenza del difetto di motivazione su altri). E ciò è - per così dire - avvalorato dalla circostanza che la parte intimata (che effettivamente altro onere non ha nella presente sede: si confronti sul punto Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13325 del 21/06/2005) insiste nel ritenere che la portata del provvedimento giudiziale qui impugnato coincida esattamente con la portata del provvedimento giudiziale adottato dal giudice di primo grado, per conseguenza della perfetta armonia tra motivazione e dispositivo, in perfetta antitesi con la tesi di parte qui ricorrente.

Non resta che concludere che la sentenza impugnata merita cassazione - per le ragioni dianzi precisate ed in accoglimento del primo motivo di ricorso, con rigetto del secondo - in relazione e limitatamente al capo della decisione con il quale è stato annullato il provvedimento esattivo anche a riguardo dell’IRES per l’anno 2011, con conseguente restituzione della lite al giudice del merito affinché rinnovi l’apprezzamento delle censure di appello limitatamente al predetto petitum di impugnazione.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.

Ritenuto inoltre:

- che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto a riguardo del primo motivo (con assorbimento del secondo); che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la decisione impugnata limitatamente al capo della decisione con il quale è stato annullato il provvedimento esattivo anche a riguardo dell’IRES per l’anno 2011 e rinvia alla CTR Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.