Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 maggio 2018, n. 11995

Ricorso per revocazione, per errore di fatto - Esclusione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia - Carattere d'impugnazione eccezionale della revocazione, per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge

 

Fatti di causa

 

1. Questa Corte, con ordinanza n. 16574 del 5 luglio 2017, in accoglimento del ricorso proposto da T.D. nei confronti dell'INPS ed avverso la decisione della Corte di appello di Napoli del 9 giugno 2011, n. 3629, ha cassato, con rinvio, la sentenza impugnata.

2. Di tale decisione l'INPS chiede la revocazione, ex art. 395, primo comma, n. 4 cod.proc.civ., fondando il ricorso su un motivo.

3. La parte intimata non ha resistito.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con il motivo di ricorso si deduce che l'ordinanza n. 16574 del 2017 sarebbe suscettibile di revocazione, per errore di fatto, perché la Corte di legittimità, decidendo sul gravame incentrato esclusivamente sulla natura retributiva dell'obbligazione, per le ultime tre mensilità, dovute dal datore di lavoro insolvente e a carico del Fondo di garanzia, in giudizio volto ad ottenere la riliquidazione della prestazione, ha affermato un principio di diritto - la sospensione del decorso della prescrizione annuale del diritto alle ultime tre mensilità fino alla conclusione del relativo procedimento amministrativo - tenendo conto dell'esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa dall'assistito, che ha sempre dedotto in causa la riliquidazione, e non già la liquidazione, della prestazione.

5. L'INPS interroga la Corte sulla configurabilità dell'errore revocatorio emendabile nel provvedimento decisorio che ha ritenuto sospeso il decorso della prescrizione annuale, afferente alla riliquidazione della prestazione delle ultime tre mensilità a carico del Fondo di garanzia, a mente dell'art. 2 del decreto legislativo n.80 del 1992, sulla base dell'inesistente presupposto dell'avvenuta presentazione di una domanda amministrativa volta ad ottenere la riliquidazione della prestazione.

6. Espone l'Istituto di previdenza, nell'illustrare il ricorso, che l'assicurato, proposta la domanda per la liquidazione della prestazione, all'esito dell'erogazione della prestazione, ha agito in giudizio per la riliquidazione reputandosi non soddisfatto dal pagamento ricevuto, e rimarca, pertanto, che nella fattispecie all'esame della Corte non venivano in rilievo la presentazione di una domanda amministrativa e il consequenziale procedimento amministrativo (che, intervenuti sulla domanda di liquidazione, avevano già esaurito i loro effetti), non implicando la richiesta giudiziale di riliquidazione alcuna domanda amministrativa con svolgimento di un procedimento amministrativo (all'uopo richiamando Cass., Sez. U. nn. 6491 del 1996 e 12720 del 2009).

7. Ed ancora, assume l’INPS che non solo non doveva esservi alcuna domanda amministrativa ma che l'unico procedimento amministrativo era quello afferente all'originaria domanda di liquidazione della prestazione, proposta dal lavoratore il 5 giugno 2001, che aveva esaurito i propri effetti giuridici sospensivi del termine annuale nello stesso 2001.

8. Per effetto di tale errore di fatto, chiede l'INPS la revocazione dell'ordinanza camerale che ha disposto la sospensione del termine annuale di prescrizione delle ultime tre mensilità durante lo svolgimento del procedimento amministrativo, per essere state già liquidate le predette mensilità, nel 2001, in seguito alla presentazione della specifica domanda e per essere stata proposta, dalla parte, soltanto la domanda giudiziaria del settembre 2006 per la riliquidazione, data nella quale era abbondantemente maturato il termine annuale di prescrizione decorrente dalla liquidazione della prestazione.

9. Tanto premesso, osserva il Collegio che la cornice nella quale inscrivere l'errore di fatto revocatorio è stata disegnata, da ultimo, dalle Sezioni unite della Corte, con la sentenza 27 dicembre 2017, n. 30994 (ed altre coeve), nei termini di seguito richiamati.

10. «La combinazione dell'art. 391 - bis e dell'art. 395, n. 4) cod.proc.civ., non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l'errore di diritto sostanziale o processuale e l'errore di giudizio o di valutazione.

11. Né, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall'art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, e che non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell'appello e del ricorso per cassazione (Cass. 16 settembre 2011, n. 18897).

12. Inoltre, quanto all'effettività della tutela giudiziaria, anche la Corte di giustizia dell'UE riconosce la necessità che le decisioni giurisdizionali, divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili (o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi), non possano più essere rimesse in discussione, e ciò al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia l'ordinata amministrazione della giustizia (Cass. Sez.U., 28 maggio 2013, n. 13181; cfr. Corte giust., 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub; Corte giust., 30 settembre 2003, in causa C-224/01, CD Kobler; Corte giust., 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer).

13. Gli approdi nomofilattici sopra ricostruiti trovano riscontro univoco nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 17 del 1986, n. 36 del 1991, n. 207 del 2009), laddove essa segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di sviste o di puri equivoci e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, così recependo il ristretto ambito dell'errore di fatto previsto dell'art. 395, n. 4), cod.proc.civ., anche rispetto alla svolta normativa in direzione di un più ampio controllo (legge 26 novembre 1990, n. 353; d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40).

14. In particolare, la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 207 del 2009 si è limitata ad estendere alle ordinanze pronunciate dalla Corte di cassazione il rimedio della revocazione per errore di fatto, ma non ha alterato l'ambito di operatività dell'istituto della revocazione per errore di fatto, anzi ribadendo trattarsi di un errore di tipo percettivo (Cass. n. 9673 del 2017, cit.).

15. L'interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure quella costituzionalmente e convenzionalmente orientata, dell’art. 391-bis e art. 395, n. 4) portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia, rispondendo la non ulteriore impugnabilità in generale all'esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l'immutabilità e definitività della pronuncia all'esito di un sistema variamente strutturato (Cass., 29 aprile 2016, n. 8472).

16. Il carattere d'impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l'inammissibilità di ogni censura non compresa (Cass. 7 maggio 2014, n. 9865), ivi inclusa ogni ipotetica actio nullitatis.

17. Resta, quindi, esclusa, dall'area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logicogiuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass. 14 aprile 2017, n. 9673).

18. Così, ad esempio, è stato escluso l'errore revocatorio per: l'inesatta considerazione degli effetti di una specifica riforma normativa (Cass., 3 giugno 2002, n. 8023); l'inapplicabilità dello jus superveniens (Cass., Sez.U., 23 gennaio 2009, n. 1666); l'applicazione di una normativa piuttosto che di un'altra (Cass., 29 marzo 2006, n. 7127); l'erronea comprensione del contenuto giuridico-concettuale delle difese (Cass., 22 marzo 2005, n. 6198) e l'inesatta qualificazione dei fatti ivi esposti (Cass., 10 giugno 2009, n. 13367); l'omesso rilievo del litisconsorzio necessario (Cass., 5 aprile 2001, n. 5055); l'inesatta applicazione dell'art. 149 cod.proc.civ. (Cass., 30 novembre 2005, n. 26074); l'erronea presupposizione del giudicato (Cass. Sez.U., 17 novembre 2005, n. 23242); l'omessa rilevazione officiosa di vizi (Cass., 10 novembre 2005, n. 21830); la violazione del diritto comunitario (Cass., 10 novembre 2005, n. 21830); il mancato rilievo di nullità della notifica del ricorso (Cass., 15 novembre 2013, n. 25654)» (così Cass. Sez.U., n. 30994 del 2017, cit.).

19. Ebbene, dall'ordinanza della quale si chiede la revocazione si evince, dalla premessa in fatto, che T.: «ottenuto un pagamento che assumeva solo parziale ricorse al giudice del lavoro ...per conseguire il pagamento delle differenze, pari ad euro 1.309,31» e, dunque, che la disamina della Corte si è snodata, con la ratio decidendi in riferimento alla liquidazione della prestazione, muovendo dalla premessa di fatto della proposizione di una domanda di riliquidazione della prestazione e, tanto esclude che si versi in ipotesi di errata percezione del fatto, tale da avere indotto il giudice a supporre l'esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile.

20. Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso va dichiarato inammissibile.

21. Non si provvede alla regolazione delle spese per non avere la parte intimata svolto attività difensiva.

22. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 17 ottobre 2014, n. 22035 e numerose successive conformi) e di provvedere in conformità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; nulla spese. Dichiara sussistenti i presupposti per l'applicabilità del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.