Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 maggio 2018, n. 11834

Licenziamento disciplinare - Preventiva contestazione - Grave condotta del lavoratore

 

Fatti di causa

 

Il Tribunale di Teramo accoglieva la domanda proposta da C. R. nei confronti della s.r.l. Q. S. intesa a conseguire pronuncia di nullità del licenziamento disciplinare intimatole in data 1/6/2012 per difetto di osservanza delle garanzie procedimentali sancite dall'art. 7 l. 300/70 concernenti la preventiva contestazione degli addebiti, e condannava la parte datoriale alla reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro con gli effetti risarcitori sanciti dall'art.18 L. 300/70 nella versione di testo applicabile ratione temporis.

Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza resa pubblica il 10/12/2015.

Nel proprio iter argomentativo la Corte distrettuale rimarcava il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, benché in relazione ad un fatto qualificato come reato con sentenza passata in giudicato, e indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica regolamentazione del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 circa la contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la società affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.

Il Collegio ha autorizzato la stesura di motivazione semplificata ai sensi del decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 420 c. 5 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Lamenta che la Corte distrettuale non abbia autorizzato l'acquisizione dei verbali raccolti dalla Polizia Giudiziaria nell'ambito delle indagini relative al procedimento penale intrapreso a carico della lavoratrice e di una serie di prove documentali - idonee a definire la gravità della condotta assunta dalla dipendente - pervenute nella propria disponibilità successivamente al radicarsi del giudizio di primo grado, dolendosi, nel contempo, della mancata ammissione della prova per interpello e testi articolata in primo grado e reiterata in sede di gravame.

2. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell'art. 7 l. 300/70 e dell'art. 2119 c.c. ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si lamenta che la Corte distrettuale abbia omesso di valutare debitamente le ragioni che avrebbero legittimato l'esercizio del diritto di recesso per giusta causa, cristallizzate nella documentazione di cui erroneamente non era stata disposta acquisizione.

3. La terza critica concerne la medesima carenza contestata con pregresso motivo sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo del giudizio ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.

4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono inammissibili, non essendo idonei ad inficiare le ragioni sulle quali si fonda la sentenza impugnata.

E', invero, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al "decisum" della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.

Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l'esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (vedi Cass. 3/8/2007 n. 17125 cui adde Cass. 18/2/11 n.4036), mediante censure che siano idonee a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (cfr. Cass. 26/3/2010 n. 7375, Cass. 5. U. 21/6/2007 n. 14385, Cass. 12/05/2008 n. 11650 con riferimento al quesito richiesto dall'art. 366 "bis" cod. proc. Civ. ritenuto inconferente ed equiparato al quesito inesistente).

5. Nello specifico, come fatto cenno nello storico di lite, la Corte distrettuale è pervenuta alla reiezione dei motivi di gravame sollevati dalla società facendo leva sui principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 nel testo risultante a seguito della declaratoria di parziale illegittimità di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 30 novembre 1982, circa la contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa (vedi Cass. 13/8/2007 n.17652 cui adde Cass. 9/8/2012 n. 14326, Cass. 30/7/2013 n. 18270).

Orbene, deve rimarcarsi che il presente ricorso non attinge specificamente la statuizione impugnata laddove accerta la nullità del recesso per inottemperanza agli oneri di contestazione sanciti dalla richiamata disposizione statutaria, focalizzandosi esclusivamente sulla nozione di gravità della condotta inadempiente posta in essere dalla lavoratrice, che non risulta oggetto di delibazione alcuna da parte dei giudici del gravame, i quali, nel proprio incedere argomentativo, correttamente hanno limitato il loro scrutinio alla questione, assorbente sotto il profilo logico-giuridico, della nullità del recesso intimato per la violazione dei dettami di cui alla disposizione statutaria innanzi richiamata.

Al lume delle superiori argomentazioni il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Il governo delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità, segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 e di provvedere in conformità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 3,comma 1- quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1-bis.