Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 novembre 2016, n. 22769

Accertamento fiscale - Determinazione dei ricavi - Applicazione studi di settore

 

Svolgimento del processo

 

Nei confronti di C.E.M.A.R. immobiliare s.r.l. venne emesso relativamente all'anno d'imposta 2005 avviso di accertamento con cui si rideterminavano i ricavi facendo applicazione degli studi di settore. La CTP rigettò il ricorso della contribuente. Anche l'appello venne disatteso dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria sulla base della seguente motivazione.

La sentenza impugnata è correttamente motivata in punto di valutazione della prova. "Ove l'accertamento sia fondato esclusivamente sugli studi di settore, esso deve poggiare non semplicemente sulla formale e asettica comparazione di dati, ma sulla esistenza di gravi incongruenze, intendendosi per tali dati contabili economicamente e logicamente inconciliabili e non meramente discordanti. Nella fattispecie il collegio ritiene che oggettivamente non possa qualificarsi come "grave incongruenza" lo scostamento di oltre il 50% fra il risultato dichiarato e quello atteso, tenuto conto altresì che la contribuente non ha opposto, né nella fase procedimentale del contraddittorio né in sede giudiziale, dati obiettivi e plausibili volti a vincere la presunzione de qua. Donde la conferma della sentenza".

Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di quattro motivo. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia motivazione contraddittoria ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la contribuente che la CTR, nonostante abbia qualificato come non grave incongruenza lo scostamento di oltre il 50% fra il dichiarato e l'accertato, abbia confermato la decisione di primo grado.

Il motivo è infondato. Non è sufficiente, perché la motivazione di una sentenza sia definita "contraddittoria", che un'espressione contenuta in questa sia in contrasto con altra, essendo indispensabile, altresì, che si sia in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la "ratio decidendi" che sorregge il "decisum" adottato. Non sussiste, pertanto, motivazione contraddittoria allorché dalla lettura della sentenza sia agevole accertare che si versa in una ipotesi di errore materiale nella redazione della sentenza stessa e che, dunque, non sussistono incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Cass. 6 aprile 2006, n. 8106; 22 dicembre 2010, n. 25984; 18 febbraio 2015, n. 3270). Si intende agevolmente dalla lettura della sentenza che a causa di errore materiale non risulta scritto "non" fra "possa" e "qualificarsi", sicché il passaggio testuale, secondo l'intendimento dell'estensore del provvedimento, doveva essere "oggettivamente non possa non qualificarsi come "grave incongruenza" lo scostamento di oltre il 50%". Lo si evince non solo dal contenuto del medesimo passaggio motivazionale, che riferisce di uno scostamento fra dichiarato e accertato di oltre il 50%, ma anche da quanto affermato subito dopo circa la mancata neutralizzazione della presunzione da parte del contribuente e da quanto esposto in premessa circa la condivisione da parte della CTR della motivazione della sentenza di primo grado quanto a valutazione della prova. Alla stregua di tale complesso di rilievi risulta chiara la "ratio decidendi" della sentenza impugnata. Del resto, che si tratti di un errore materiale, lo riconosce la stessa contribuente, secondo quanto risulta dal contenuto del motivo seguente.

Con il secondo motivo si denuncia motivazione insufficiente ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente che la CTR ha parlato di uno scostamento fra dichiarato e accertato di oltre il 50% senza indicazione dei relativi elementi di fatto e della fonte probatoria di una simile affermazione.

Il motivo è infondato. Il giudice di merito ha, come è evidente, tratto il dato dello scostamento fra dichiarato e accertato di oltre il 50% dallo studio di settore alla base dell'atto impositivo.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, d.p.r. n. 600/1973 ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che, essendo intervenuta l'abrogazione dell'art. 35, commi 2 e 3 d. I. n. 223/2006 che consentiva di utilizzare il valore normale ricavabile da presunzioni in materia edilizia, la CTR non ha considerato che l'utilizzazione delle presunzioni nel campo dell'edilizia richiede una prudenza particolare e che uno spostamento di ricavi nella misura di euro 224.477,00 escludeva l'attendibilità della contabilità, sicché si stava operando non un accertamento

analitico, ma un accertamento induttivo senza che ne ricorressero i presupposti.

Il motivo è infondato. La presunzione alla base dell'atto impositivo, secondo quanto risulta dall'accertamento del giudice di merito, discende dall'applicazione degli studi di settore, il cui presupposto di legittimità risiede nello svolgimento del contraddittorio, e senza che rilevi la questione del valore normale di cui all'art. 35, commi 2 e 3 d. I. n. 223/2006, di cui non vi è traccia nell'accertamento svolto dal giudice tributario. Peraltro non può sfuggire la genericità della censura laddove vi è il richiamo alla prudenza particolare che si sarebbe dovuta mantenere. Non si comprende in concreto in cosa tale "prudenza" si sarebbe dovuta concretizzare ai fini della valutazione della denuncia di violazione di legge.

Con il quarto motivo si denuncia omessa motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR ha fatto applicazione dello studio di settore senza considerare la particolarità del settore dell'edilizia, nel quale i ricavi risultano oggettivamente dal prezzo di vendita indicato nell'atto pubblico, e l'evoluzione normativa con riguardo all'abrogazione dell'art. 35, commi 2 e 3 d. I. n. 223/2006.

Il motivo è inammissibile. Trattasi di censura mediante cui non si denuncia un vizio della motivazione ma una divergenza di valutazioni con riferimento all'apprezzamento di merito delle circostanze del caso, che è profilo non sindacabile nella presente sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 5.600,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.