Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 settembre 2017, n. 21564

Indennità di disoccupazione agricola - Lavoratore straniero agricolo a tempo determinato - Allontamento dal territorio dello Stato - Decurtazione dell’importo della prestazione - Non sussiste - Lavoratori extracomunitari equiparati ai cittadini italiani

 

Ritenuto

 

che a S.X., lavoratore agricolo a tempo determinato, proveniente dall'Albania, era stata concessa l'indennità di disoccupazione agricola, che però era stata limitata dall'INPS nella somma di € 1762,35 anziché in quella maturata di € 2.629,06 a causa della circostanza che, dopo aver lavorato nell'anno 2002 per 156 giornate, egli si era allontanato nello stesso anno dal territorio nazionale per far ritorno nel suo paese di origine (per 67 giorni);

che, richiesto dal lavoratore il pagamento dell'indennità per tutto il periodo di riferimento, rigettata la domanda e proposto appello dall'assicurato, la Corte d'Appello di Lecce (sentenza 29.11.10) accoglieva l'impugnazione e condannava l'INPS a pagare la differenza non versata;

che propone ricorso l'INPS con un unico articolato motivo, illustrato da memoria, sostenendo che l'indennità di disoccupazione presuppone l'involontarietà dello stato di disoccupazione e che l'allontanamento del lavoratore dal territorio nazionale o UE comporta, la perdita dell'indennità di disoccupazione (come affermato in alcuni precedenti di legittimità);

che S.X. ha resistito con controricorso illustrato da memoria;

 

Considerato

 

che il ricorso è infondato, anzitutto, perché i lavoratori extracomunitari sono equiparati ai cittadini italiani sotto il profilo della tutela dei diritti del lavoro e delle prestazioni assicurative sociali in forza del principio generale sancito dall'art. 2, del t.u. approvato con d.lgs. 25.7.1998, secondo cui "lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano", salvo che le convenzioni internazionali o lo stesso testo unico non dispongano diversamente;

che, in secondo luogo, nessuna previsione normativa prevede la decurtazione del diritto al trattamento previdenziale, già acquisito in forza dei vari requisiti stabiliti dalla legge per i diversi tipi di trattamento di disoccupazione, per il periodo in cui il lavoratore (di qualsiasi nazionalità) si rechi all'estero;

che ciò vale a maggior ragione per il trattamento speciale di disoccupazione per i lavoratori agricoli a tempo determinato di cui si discute, come per quello a requisiti ridotti (quest'ultimo abrogato dalla legge 92/2012); i quali prescindono dallo stato occupazionale del beneficiario al momento dell'erogazione della prestazione previdenziale e sono pagati in un'unica soluzione in relazione al numero di giornate lavorative effettuate nell'anno precedente;

che si tratta di trattamenti contrassegnati da una loro specificità la quale - come riconosciuto da ultimo dalla Corte Cost. n. 53/2017, che richiama la sentenza 18 luglio 1996, n. 6491 delle Sezioni Unite di questa Corte - "emerge nella predominante funzione di integrazione del reddito che si manifesta nella cesura tra il sorgere del diritto e l'erogazione nel corso dell'anno successivo e nel peculiare meccanismo di liquidazione, ancorato alle giornate di lavoro e non a quelle di disoccupazione";

che in pratica il trattamento speciale di disoccupazione agricola (ma anche quello a requisiti ridotti non più in vigore) è diretto ad indennizzare la precarietà, la discontinuità o stagionalità dell'attività svolta; ed è legato ad un meccanismo di calcolo in base al quale l'indennità aumenta (non diminuisce) in relazione al numero di giornate lavorate effettuate (fino ad un certa soglia); mentre ai fini del riconoscimento del trattamento neppure è previsto l'onere dell'iscrizione all'ufficio di collocamento (essendo l'integrazione corrisposta per il lavoro già svolto nell'anno precedente);

che, più in generale, la mancanza di involontarietà dello stato di disoccupazione o addirittura lo stato di occupazione all'estero non possono dedursi dalla semplice assenza del lavoratore dallo Stato (tanto meno per il lavoratore migrante che torna brevemente al proprio paese di origine, da cui era partito per mancanza di lavoro);

che la contraria tesi sostenuta dall'INPS si fonda su una presunzione assoluta che limita di fatto il godimento del diritto in mancanza di fondamento legale, in quanto la legge non prevede che il diritto al trattamento di disoccupazione (tanto meno per quello speciale od a requisiti ridotti) venga ridotto per il solo fatto che l'Inps non abbia potuto attivare un controllo sullo stato di disoccupazione al di fuori del nostro Paese; mentre dalla giurisprudenza costituzionale in materia (sentenze Corte Cost. 160/1974 e 132/1991) risulta che il diritto al trattamento di disoccupazione sia collegato soltanto al comportamento attivo prescritto dall'ordinamento, ratione temporis applicabile, (essendo in particolare previsto per quella ordinaria soltanto che alla perdita del lavoro il lavoratore si iscriva all'ufficio di collocamento e non rifiuti una offerta congrua di lavoro; senza alcun'altra condizione);

che le considerazioni svolte e l'evoluzione giurisprudenziale nella materia (cfr. anche le recenti sentenze di questa Sezione n. 17397/2016 in materia di esportabili delle prestazioni previdenziali all'estero; e n. 16997/2017 in materia di disoccupazione ordinaria) impongono perciò di superare il diverso orientamento assunto sul punto da questa Corte con sentenza n. 22151/2008 (e dalla successiva 17936/2013 che la richiama), e sulle quali si basano le censure sollevate in giudizio dall'INPS;

che il ricorso deve essere dunque rigettato, mentre vanno compensate le spese del giudizio di legittimità in considerazione dei precedenti contrari sopra richiamati.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.