Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 dicembre 2017, n. 30621

Cartella esattoriale - Contributi previdenziali e somme aggiuntive - Censura di violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato - Deduzione della doglianza come violazione di una norma processuale - Nullità della sentenza e del procedimento

 

Fatti di causa

 

Con sentenza n.5703/2011 la Corte d'Appello di Roma rigettava il gravame proposto da (...) GE.SE.PU. S.p.A. avverso la sentenza con cui il tribunale di Roma aveva rigettato la sua opposizione a cartella esattoriale emessa a favore dell'Inps, notificata il 12.3.2008, per euro 462.478,13, a titolo di contributi previdenziali e somme aggiuntive.

A sostegno della pronuncia la Corte sosteneva l'infondatezza dei motivi di appello posto che i rilievi formali, ivi compreso quello riferito alla nullità insanabile della cartella per omessa notifica di qualsivoglia verbale di accertamento, andavano ritenuti assorbiti per la tardiva proposizione della opposizione; il motivo relativo all'eccezione di prescrizione, oltre ad essere generico, era infondato alla luce dell'interruzione ritualmente effettuata dall'INPS in forza di lettera di diffida dell'aprile 2007; il motivo concernente la mancata ammissione dei mezzi istruttori era inammissibile non essendo stata contestata la tardività delle stesse istanze, peraltro sicuramente tardive; la censura riferita all'onere della prova in materia di obbligo contributivo era irrilevante in quanto nel ricorso introduttivo non erano stati proposti rilievi attinenti al merito della pretesa; il motivo riguardante l'erronea valutazione delle sentenze della commissione tributaria prodotte era inammissibile difettando di specificità ed in ogni caso era tardivo perché il ricorso in opposizione non conteneva rilievi in ordine al merito.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (...) GE.SE.PU. S.p.a. con nove motivi di censura illustrati da memoria. Resiste l'Inps con controricorso. Equitalia Gerit S.p.A. è rimasta intimata.

 

Ragioni della decisione

 

1. - Col primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione - ex art. 360 numero 3 c.p.c. - dell'articolo 25 decreto legislativo numero 46/1999 nonché dell'articolo 112 c.p.c. Omessa pronuncia sulla formulata eccezione di decadenza; posto che i giudici di merito, tanto in primo che in secondo grado, non si erano minimamente pronunciati sull'eccezione in questione ritualmente proposta; immotivatamente trascurando che l'iscrizione a ruolo dei contributi in questione, relativi agli anni dal 2002 al 2005, fosse avvenuta oltre il termine di cui all'art. 25 ovvero oltre il 31 dicembre dell'anno successivo alla data dell'accertamento (31 novembre 2005, assumendo come tale quella di notifica del verbale della Guardia di Finanza); nel caso in esame il ruolo era stato infatti reso esecutivo in data 20 dicembre 2007, e quindi oltre il termine decadenziale previsto dalla legge.

1.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato. Anzitutto perché la censura di omessa pronuncia integra una violazione dell'art. 112 c.p.c., e quindi una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto tale ultima censura presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto. Solo la corretta deduzione della doglianza come violazione di una norma processuale può consentire al giudice di legittimità l'esame degli atti del giudizio al fine di verificare la effettiva deduzione come motivo di appello della censura la cui mancata considerazione da parte del giudice di secondo grado è dedotta come motivo di gravame nel ricorso per cassazione (Cass. 24/02/2004, n. 3646; 23/01/2004, n. 1170; Cass. 17/10/2003, n. 15555; Cass. 15/07/2003, n. 11034; Cass. 18/06/2003, n. 9707; Cass.17/01/2003, n. 604). Nella fattispecie, invece, la ricorrente ha proposto il ricorso esclusivamente sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., nn. 3, con conseguente ragione di inammissibilità del motivo.

1.2. - In ogni caso la doglianza è anche infondata nel merito. A tal fine va considerato che la decadenza prevista dall'art. 25 d.leg. 26 febbraio 1999 n. 46 era riferita "ai contributi e premi non versati ed agli accertamenti notificati successivamente alla data del 1° luglio 1999" (ai sensi degli art. 36, 6° comma, e 39). Successivi interventi normativi di proroga hanno fatto slittare la data di efficacia della norma al 31 dicembre 2012 (art. 4, 25° comma, I. 24 dicembre 2003 n. 350; art. 38, 12° comma, d.l. 11 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, in I. 30 luglio 2010 n. 122); l'art. 38 cit. ha infatti stabilito che "le disposizioni contenute nell'articolo 25 d.leg. 26 febbraio 1999 n. 46, non si applicano, limitatamente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2010 e il 31 dicembre 2012, ai contributi non versati e agli accertamenti notificati successivamente alla data del 1° gennaio 2004, dall'ente creditore". Nel caso in esame si tratta di accertamento notificato 31 novembre 2005 successivamente alla suddetta data; talché la decadenza non poteva operare.

2. - Col secondo motivo il ricorso deduce la violazione e la falsa applicazione, ex articolo 360 numero tre c.p.c. della legge n. 335 del 1995, articolo 3, comma 9 e 10 in combinato disposto con l'articolo 2943 comma 3 c.c. e con l'articolo 2697 c.c.. Intervenuta prescrizione dei crediti azionati. Inidoneità della nota dell'Inps del 19 aprile 2007 ad interrompere il corso della prescrizione.

3. - Col terzo motivo viene dedotta la violazione falsa applicazione - ex articolo 360 numero tre c.p.c. - della legge 335 del 1995, articolo 3, commi 9 e 10, in combinato disposto con l'articolo 2943 comma 3 c.c. e con gli artt. da 1362 a 1371 c.c. Intervenuta prescrizione dei crediti azionati. Errata interpretazione del contenuto negoziale della nota i \s dell'Inps del 19 aprile 2007. Inidoneità della stessa ad interrompere il corso della prescrizione.

4. Col quarto motivo si deduce la motivazione insufficiente, contraddittoria circa un fatto controverso decisivo del giudizio articolo 360 numero cinque c.p.c. in ordine al contenuto della diffida dell'Inps del 19 aprile 2007 e della sua idoneità ad interrompere il corso della prescrizione.

Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, attenendo all'eccezione di prescrizione del credito dell'INPS, possono essere esaminati unitariamente. Ad illustrazione delle censure, sollevate con i medesimi motivi, si sostiene che la nota dell'INPS del 19 aprile 1007, non potesse costituire idoneo atto di messa in mora in quanto non richiamava il rapporto contributivo, non specificava le singole posizioni lavorative, non menzionava in maniera intelligibile le singole asserite violazioni contributive, non indicava neppure i distinti importi ed i titoli della pretesa creditoria; tutti elementi non desumibili dal richiamato verbale della Guardia di Finanza che pacificamente non faceva menzione di contribuzione previdenziale alcuna. Inoltre, a fronte dell'eccezione di prescrizione avanzata in ricorso, l'INPS non aveva assolto l'onere su di esso incombente di provare la sussistenza di un valido atto interruttivo del termine. La diffida in questione non soddisfaceva neppure i requisiti minimi previsti dalla prassi dell'Inps (circolare numero 31 del 2012; numero 55 del 2000; numero 18 del 1996). La sentenza impugnata violava pure le richiamate regole di ermeneutica negoziale. Ed era gravemente illogica sotto il profilo motivazionale avendo dato rilievo a fatti decisivi, ma assenti nel documento in questione.

I motivi in esame sono tutti inammissibili e comunque infondati. Nella sentenza d'appello si afferma al riguardo che l'appellante non avesse reiterato con precisione in fase di gravame l'eccezione di prescrizione non articolandola in uno specifico motivo di appello; ed inoltre che in primo grado la società non avesse indicato la durata della prescrizione e la decorrenza. A fronte di tali distinte ratio decidendi (mancanza di specificità del motivo di appello e genericità della eccezione di prescrizione per come già sollevata in primo grado) il ricorrente avrebbe dovuto impugnare la sentenza con apposite censure (oltre a indicare il motivo dell'appello e trascrivere l'eccezione di prescrizione); in mancanza delle quali i motivi di ricorso afferenti alla prescrizione sono inammissibili per essersi formato il giudicato interno sulla questione relativa alla genericità della stessa eccezione ed alla mancanza di specificità del motivo di appello. D'altra parte nella stessa parte del ricorso in cui si richiamano i motivi dell'appello, risulta che l'eccezione sollevata in fase di gravame, riguardasse l'esistenza di un valido atto interruttivo del termine prescrizionale quinquennale riferito a periodi contributivi anteriori al 12/3/2003; laddove in questo giudizio si discute dell'idoneità della lettera di diffida in relazione alla totalità del credito dell'INPS.

5. Col quinto motivo il ricorso denuncia la violazione falsa applicazione - ex articolo 360 numero 3 c.p.c. - dell'articolo 2697 c.c. in combinato disposto con l'articolo 112 c.p.c.; nonché - ex articolo 360 numero 5 c.p.c. - l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio, e ciò in quanto nessuno dei giudici di merito aveva ritenuto di dover prendere posizione sulla eccezione relativa alla mancata prova della notifica dei modelli DM10/V, unici atti nei quali avrebbe potuto prendersi cognizione dei valori, dei titoli e degli importi della partite contributive asseritamente omesse.

Il motivo è inammissibile sia perché l'omessa pronuncia deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento), e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, ed a maggior ragione come vizio motivazionale a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 5 (attenendo quest'ultimo esclusivamente all'accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia). Sia perché la censura non illustra comunque la rilevanza del motivo alla luce della tesi esposta nella sentenza impugnata secondo cui col ricorso introduttivo non erano stati proposti rilievi attinenti al merito della pretesa contributiva.

6. - Con il sesto motivo il ricorso denuncia, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., violazione falsa applicazione degli articoli 20, 23, comma 3, 27 del decreto legislativo 276/2003, mancato rilievo dell'effetto liberatorio del coobligato; violazione dell'articolo 1292 c.p.c. nonché omessa insufficiente contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso decisivo, con riferimento all'articolo 360 numero 5 c.p.c. atteso che vertendosi, in base al verbale della guardia di Finanza 30.11.2005 in materia di somministrazione irregolare, nessun provvedimento di riqualificazione dei rapporti di lavoro era stato mai notificato alla ricorrente ed inoltre andava tenuto conto del pagamento del coobligato ed accertato perciò preliminarmente in quale misura la cooperativa si fosse mostrata inadempiente all'obbligo contributivo.

Il sesto motivo è parimenti inammissibile, a fronte del contenuto della sentenza d'appello la quale sostiene che nel ricorso in opposizione non fossero stati proposti rilievi attinenti al merito della pretesa. Il ricorrente avrebbe dovuto impugnare la sentenza d'appello per violazione dell'art. 112 ex art. 360 n. 4 c.p.c. deducendo di aver tempestivamente proposto le medesime questioni nei precedenti gradi di giudizio.

7. - Il settimo motivo lamenta l'omessa insufficiente contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio ex articolo 360 numero 5 c.p.c.. Mancata pronuncia sulla domanda volta ad accertare l'esattezza dei criteri di determinazione delle così dette somme aggiuntive.

Il motivo è inammissibile per mancata impugnazione ex articolo 360 n. 4;

Inoltre nella parte del ricorso che riproduce le doglianze sollevate in primo grado si evince che con riferimento alle somme aggiuntive il ricorrente avesse sostenuto soltanto la prescrizione parziale e non la mancata specificazione dei criteri di computo o la loro erroneità o l'erronea determinazione dell'importo delle somme aggiuntive.

8. - Con l'ottavo motivo il ricorso denuncia l'omessa insufficiente contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio ex articolo 360 n. 5 c.p.c. lamenta in proposito la ricorrente che, nonostante la produzione, già in primo grado, di quattro fondamentali decisioni adottate dai giudici tributari - rispetto agli avvisi di accertamento che trovavano la loro fonte nel processo verbale della guardia di finanza del 30.11.2005 - la Corte d'appello abbia affermato che la ricorrente non avesse reiterato alcuna deduzione specifica al riguardo e non avesse precisato in che modo l'accertamento tributario incidesse sul merito dell'obbligo contributivo.

Il motivo è infondato, atteso che non risulta in alcun modo dimostrato che il ricorrente abbia contestato già in primo grado il credito contributivo, anche in relazione al suo comprovato collegamento con l'accertamento negativo del credito tributario di cui alle citate sentenze. Al contrario, come più volte affermato, la sentenza impugnata ha escluso che il ricorso in opposizione alla cartella contenesse una qualsivoglia contestazione nel merito. D'altra parte solo con la memoria ex art. 378 c.p.c. la società ricorrente ha chiarito, per la prima volta, che il supposto collegamento tra le due vicende fosse da intendere riferito alla non iscrivibilità a ruolo della pretesa contributiva in pendenza dei giudizi di opposizione agli avvisi di accertamento di natura tributaria, ai sensi dell'art. 24, comma 3 del d.lgs. 46/1999; questione della quale l'impugnata sentenza non parla affatto.

9. - Con il nono motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 numero 3 c.p.c., della legge numero 335/95, articolo 3 comma 20, in correlazione con: gli articoli 2697 c.c., decreto legislativo numero 276/2003, art. 102 c.p.c., art. 2943 comma 3 c.c., art. 24 Costituzione. Necessità di redazione di appositi verbali da notificare sia ai soggetti asseritamente violatori di norme imperative in materia di somministrazione di lavoro. Rivenienza di differenziali contributivi da operazioni (ri)qualificatorie di rapporti di lavoro e di attribuzione della relativa titolarità in capo soggetti diversi da quelli formali. Preclusione artificiosa ed iniqua dell'accesso alla prova del pagamento del debito da parte del terzo (cooperativa il Picchio Lavoratore ed altri). Mancata integrazione del contraddittorio. Violazione del principio in materia assolutoria del ne bis in idem. Violazione del principio costituzionale del diritto alla difesa violazione del principio di prossimità della prova. Violazione del principio di parità delle armi del processo civile nonché: omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio con riferimento all'articolo 360 numero 5 c.p.c.

A contenuto della doglianza il ricorrente ha dedotto la violazione del contraddittorio per non essere stata accolta la propria istanza di integrazione con la società cooperativa il P.L. a r.l.; e che con ogni probabilità i due soggetti protagonisti della controversia avessero pagato due volte la stessa partita, senza essersi mai visti notificare alcun verbale ai sensi dell'art. 3, comma 20 della I. 335/1995.

Il motivo è inammissibile posto che il ricorrente deduce una pluralità di questioni di merito che risultano contraddistinte da assoluta novità rispetto a quanto emerge dalla sentenza impugnata e che pertanto non sono deducibili per la prima nel ricorso per cassazione. Inoltre, quanto alla questione di nullità insanabile della cartella per omessa notifica del verbale di accertamento, la stessa doglianza era stata disattesa nella sentenza impugnata perché ritenuta assorbita per tardiva notifica dell'opposizione; e la medesima statuizione non risulta oggetto di uno specifico motivo di censura.

10. In conclusione, la sentenza impugnata si sottrae alle censure esposte nei motivi di ricorso il quale va pertanto rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive € 7200 di cui € 7000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge.