Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 novembre 2017, n. 26712

Tributi - Accertamento - Condono - Istanza di definizione automatica ex art. 9 della l. n. 289/2002 - Decadenza potestà di accertamento - Proroga biennale - Applicabilità

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 - bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

La CTR dell’Emilia - Romagna, con sentenza n. 1185/15/2014, depositata il 9 giugno 2014, non notificata, rigettò l’appello proposto nei confronti del sig. F.T. dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTP di Bologna, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento, con il quale l'Ufficio aveva recuperato per l’anno 2000 ai fini IRPEF le plusvalenze assunte come conseguite dal T. sulla cessione delle azioni S.I.G. S.p.A., della quale il T. era azionista, in ragione della qualità di soggetti interposti delle tre società portoghesi cessionarie, in quanto riconducibili alle stesse persone fisiche proprietarie delle azioni S..

La CTR ritenne l’Amministrazione decaduta dalla potestà di accertamento, avendo il contribuente presentato istanza di definizione automatica ex art. 9 della l. n. 289/2002, sostenendo che fosse sufficiente, per escludere l’applicazione della proroga biennale, la presentazione dell’istanza di condono, indipendentemente dal suo accoglimento o diniego.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.

Il contribuente si è limitato a depositare tardivamente (13.9.2017, ore 10,45) procura.

Con l’unico motivo, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della l. n. 289/2002, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., assumendo che erroneamente la pronuncia impugnata avrebbe escluso nella fattispecie in esame l’applicabilità della proroga biennale prevista dalla citata norma, in considerazione della ratio della stessa, finalizzata a tutelare il preminente interesse dell’Amministrazione finanziaria al regolare accertamento ed alla conseguente riscossione delle imposte nei confronti del contribuente che non si avvalga dell’agevolazione, indipendentemente dalla ragione, giuridica o di fatto, per la quale non si sia avvalso della relativa definizione.

L’avere l’Amministrazione opposto diniego all’istanza di condono fa sì, secondo la ricorrente, che risulti comunque integrata la condizione prevista dall’art. 10 della l. n. 289/2002 (non essersi il contribuente avvalso delle disposizioni recate dagli artt. 7, 8 e 9 della citata legge), per l’operatività della proroga biennale del potere di accertamento sui termini di cui agli artt. 43 del d.P.R. n. 600/1973 per le imposte dirette e 57 del d.P.R. n. 633/1972 per l’IVA.

Sennonché, prima ancora di poter affrontare la questione alla stregua dei principi affermati da questa Corte circa le condizioni per l’applicabilità della proroga biennale di cui al succitato art. 10 della l. n. 289/2002, occorre rilevare che nelle more è intervenuta decisione definitiva della controversia che ha visto contrapposte le medesime parti in ordine alla legittimità del diniego opposto dall’Amministrazione alla richiesta di condono avanzata dal T., sul presupposto che fosse stata omessa nella relativa istanza proprio l’annualità 2000, peraltro successivamente integrata, con istanza di autoliquidazione della maggiore imposta, oltre interessi e sanzioni.

In detto giudizio è passata in giudicato la decisione, resa dalla CTP in primo grado e confermata in grado d’appello dalla CTR dell’Emilia - Romagna con sentenza n. 97/03/2008, che ha accolto il ricorso del contribuente avverso il diniego di condono, per effetto della pronuncia resa da questa Corte (Cass. sez. 5, 24 giugno 2016, n. 13106), che ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la succitata sentenza n. 97/03/2008 della CTR dell’Emilia - Romagna per omessa impugnazione di autonoma ratio decidenti.

Si è dunque formato il giudicato esterno, rilevabile anche d’ufficio, sulla legittimità dell’istanza di definizione automatica ex art. 9 della l. n. 289/2002, alla quale l’Ufficio si era opposto con il provvedimento di diniego impugnato, con esito dunque favorevole, dal contribuente.

Ciò comporta che, nel presente giudizio, il ricorso dell’Amministrazione, basato sulla circostanza che l’originario diniego avesse determinato una situazione equiparabile al non essersi avvalso il contribuente della disposizione di cui all’art. 9 della L. n. 289/2002, debba essere rigettato, per l’effetto del sopravvenuto giudicato che ha comportato l’annullamento del provvedimento di diniego all’istanza di condono, essendo in fatto pacifico tra le parti che la notifica dell’avviso di accertamento relativo all’anno 2000, avvenuta in data 12 dicembre 2007, senza il computo della proroga biennale, risulti tardiva in relazione al termine di decadenza di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 nella sua formulazione applicabile, ratio ne temporis, al presente giudizio.

L’Agenzia delle Entrate, con la memoria depositata in atti, ha, criticando la conforme proposta del relatore depositata in atti, insistito sul fatto che l’applicabilità del richiamato giudicato esterno sarebbe preclusa dall’essersi invece formato giudicato interno di segno opposto, nella parte in cui la decisione della CTR avrebbe implicitamente affermato l’invalidità dell’istanza di definizione proposta dal contribuente ai sensi dell’art. 9 della l. n. 289/2002, ponendosi detta questione in rapporto di pregiudizialità logica rispetto a quella, decisa dalla stessa CTR, in ordine all’interpretazione fornita dalla stessa CTR dell’art. 10 della citata legge nel senso di ritenere o meno applicabile la proroga alle istanze di condono non valide.

Tale argomentazione non può essere condivisa.

Diversamente da quanto ipotizza l’Amministrazione, la pronuncia in esame non contiene un accertamento in fatto dell’invalidità dell’istanza di condono di cui si discute, limitandosi ad una statuizione in diritto, per mezzo della quale, attraverso il richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale 25 luglio 2011, n. 247, si è affermato che, per escludere l’applicazione della proroga biennale è sufficiente la presentazione dell’istanza di condono, indipendentemente dal suo accoglimento o diniego, quindi quand’anche fosse da ritenere invalida la richiesta di condono.

Non sussiste, dunque, alla stregua di quanto sopra osservato, alcun giudicato interno di segno opposto impeditivo dell’applicabilità del giudicato esterno su richiamato, formatosi sull’accoglimento di altro ricorso del contribuente avverso il diniego di condono.

Nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità, non avendo il contribuente svolto difese.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2012, n. 115.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.